Oristano
14 Ottobre 2014
Cari amici,
il trascorre del tempo è inesorabile, ma per i sardi l’immobilismo è forse anche più forte del tempo che
passa! I non pochi conquistatori che imperversarono sulla nostra Isola
(compresi quelli che ancora indebitamente la calpestano) se ne resero subito
conto, tant’è che gli spagnoli (il detto è attribuito all’imperatore Carlo V)
non esitarono a definirci “Pocos, Locos
y mal Unidos”.
Oggi apro la mia riflessione quotidiana pensando, col
sorriso amaro, alla nostra antica storia, in particolare a quella nuragica,
rappresentata in particolare dai Giganti
di Mont’e Prama. Telenovela, quest’ultima, tipicamente sarda, che a
raccontarla ad un estraneo, poco esperto delle nostre cattive abitudini, potrebbe
apparire addirittura kafkiana. Ripercorriamola velocemente insieme.
I Giganti di Mont’e
Prama sono straordinarie sculture nuragiche in arenaria. Furono trovate
casualmente in un campo, in località Mont'e Prama nel Sinis di Cabras, da un
agricoltore, certo Sisinnio Poddi, nel Marzo del 1974 durante le operazioni di aratura.
La notizia del ritrovamento delle statue (definite ‘giganti’ proprio per la
loro altezza che varia tra i 2 e i 2,5 metri), rinvenute spezzate in numerosi
frammenti, fece molto scalpore: tutto il
mondo archeologico isolano e nazionale si precipitò nel Sinis per visionare
l’incredibile ritrovamento, a partire dal padre della nostra archeologia Giovanni Lilliu. Esaurito l’entusiasmo
iniziale,
le statue (dalle grandi teste ai busti, dalle basi d’appoggio ai numerosissimi
frammenti), furono trasferite negli scantinati del museo di Cagliari, dove
ripresero il loro lungo sonno, eccezionalmente interrotto dall’agricoltore di
Cabras nel ‘74, riposo che durò ancora per ulteriori trent’anni.
Eppure la scoperta
aveva dell’incredibile: nelle successive quattro campagne di scavo effettuate
fra il 1975 e il 1979, furono rinvenuti
5.178 frammenti, tra i quali 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143
frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo! Ciononostante, a parte
l’esposizione presso il museo di Cagliari di alcune teste e busti meglio
conservati, il resto fu totalmente ignorato per lungo tempo. Solo nel 2005 il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione Sardegna, diedero il
via al restauro delle statue, che sono state ripulite assemblate e ricomposte,
presso i locali del Centro di restauro e conservazione dei beni culturali di Li
Punti a Sassari. Le sculture rimesse in sesto sono risultate in totale
trentotto, suddivise in cinque arcieri, quattro guerrieri, sedici pugilatori e
tredici modelli di nuraghe.
Durante il restauro,
gli esami a cui le statue furono sottoposte, hanno attribuito ai Kolossoi, come
li battezzò l'archeologo Giovanni Lilliu, una datazione che oscilla dall'VIII
secolo a.C. al IX o addirittura al X secolo a.C., ipotesi che potrebbero far
considerare le statue fra le più antiche di tutto il bacino mediterraneo, in
quanto antecedenti ai Kouroi della Grecia antica, dopo le sculture egizie.
Nonostante tutto questo, l’incredibile scoperta del Sinis, che avrebbe potuto
catapultare la Sardegna alla ribalta di tutto il mondo, continua invece a
creare solo grandi e piccole beghe e gelosie di bottega: dalla spartizione delle
statue tra i vari musei di Cagliari e/o Sassari e Cabras, al “diritto di
primogenitura” sull’effettuazione degli scavi, ora portati avanti dalle Università
di Cagliari e Sassari. Recenti episodi di insofferenza, avvenuti nel sito
degli scavi (una pubblica lite tra un rappresentante della Soprintendenza ed il
prof. Momo Zucca, filmata da un telefonino ha già fatto il giro del Web), dimostrano
che la lotta per la gelosa e contestata “titolarità” della scoperta, tra la Soprintendenza,
organo di tutela nazionale, e la Regione Sardegna non sarà certo a favore della
cultura e delle nostre Università. Sarebbe l’ennesima dimostrazione dell’arroganza
di Roma nei confronti della nostra autonomia.
Polemiche inutili, a
mio avviso, quelle in atto: perché la collocazione delle statue nei musei di
Cagliari o di Cabras è solo pretestuosa e ininfluente, in quanto, pur senza
nulla togliere alla bellezza e importanza dei pezzi rinvenuti, è il sito
millenario di ritrovamento quello da valorizzare, che riveste valore uguale se
non superiore, a quello delle statue ritrovate. Per comprendere il mio pensiero
utilizzo un esempio banale: è come se volessimo ricostruire il Colosseo a New
York! Fuori dal suo contesto originario non potrebbe rivestire lo stesso
fascino e la stessa importanza.
Oggi, dopo trent’anni
di oblio, dopo il meraviglioso lavoro di restauro fatto a Sassari, le statue
sono state “divise” tra Cagliari e Cabras. Anche gli scavi a Mont’e Prama, dopo
tante pressioni e richieste, sono ripresi, conseguendo da subito risultati
straordinari.
Con l’aiuto del Georadar sono già state rinvenute altre due
statue, tra cui una praticamente quasi intera! Si spera in altri ulteriori
ritrovamenti, in modo da far scoprire anche qualcosa che sciolga i non pochi
dubbi degli archeologi. Ho assistito pochi giorni fa ad una conferenza, tenuta
dal Prof. Zucca all’Università della Terza Età di Oristano, nella quale sono
state mostrate le foto dei nuovi ritrovamenti e appreso, dalla viva voce del
professore-archeologo, della straordinaria valenza storica del sito. Ieri 13
Ottobre, con mille cautele, uno dei nuovi giganti è stato già portato al museo
di Cabras.
Eppure, nonostante la
Sardegna possa vantare il possesso di questi straordinari gioielli del passato,
poco viene fatto per valorizzarli. Il sito è tutt’ora incustodito, è stato oggetto
di profanazione da parte di “tombaroli”, e manca dei fondi necessari per
continuare gli scavi. Recenti notizie di stampa (ad ieri) parlavano di ripetute “lotte
intestine” tra la Sovrintendenza e l’Università che sta portando avanti gli
scavi! E’ notizia ufficiale di oggi (L’Unione Sarda) che il braccio di ferro
tra il Ministero ai Beni e le Attività Culturali e le Università sarde è sfociato in un “ben servito” a queste ultime, avendo il Ministero stabilito di “gestire direttamente” gli ulteriori lavori di scavo nel sito, attraverso la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici
della Sardegna. Allo notizia dello “sfratto” degli archeologi delle Università sarde, ne fa seguito un’altra, ancora più nefasta: sarà una società romagnola, con la
sua struttura, a proseguire gli scavi, quale aggiudicataria del finanziamento ministeriale
di circa 500mila euro. E la Regione...sta a guardare?
Quest’arroganza romana,
che ricorda quella dei tempi della tentata conquista dell’Isola in epoca
imperiale, non fa che dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che la Sardegna
continua ad essere considerata solo ed esclusivamente una “colonia”, da parte
del conquistatore di turno. Continuando di questo passo credo che potremo
scordarci anche la collocazione delle statue in Sardegna: magari noi sardi
andremo a vederle nel Museo Nazionale a Roma! E’ tempo, cari amici, che una certa arroganza
vada contestata nel modo più consono. I Giganti sono opera dei nostri antenati,
sono importantissimi reperti del nostro passato, e quindi, a tutti gli effetti,
beni di tutto il Popolo Sardo, senza ombra di dubbio!E debbono restare in Sardegna, nel luogo dove si trovano.
I nostro Giganti sono
beni straordinari, unici, che non siamo disponibili a cedere a nessuno! Essi
dimostrano nel mondo la grandezza dei sardi e dell’intera Sardegna, fin dal
periodo nuragico, capaci oggi di lanciare l’Isola alla ribalta internazionale,
calamitando flussi turistici importanti, in grado di creare ricchezza e posti di
lavoro.
Cari amici, la mia amarissima
considerazione di oggi è che ai “Giganti
di ieri” si contrappongono i “Nani
di oggi”, incapaci di gestire un tesoro unico al mondo, ignorando o
sminuendo la grandezza di gioielli straordinari, capaci di dimostrare al
mondo intero la grandezza dei sardi del passato! Ecco perché ho voluto iniziare
questa riflessione ricordando le parole, attribuite a Carlo V, sui sardi. Se
noi sardi, oggi, continueremo a comportarci con la stessa sudditanza del
passato, finiremo davvero per scomparire, come cultura e come popolo. Siamo
sempre stati pochi (ora sempre di meno), ci siamo arresi alla sudditanza,
manchiamo d’iniziativa e conseguentemente ci ritroviamo con tanti giovani senza
lavoro. Essere “Nani” oggi,
significa rinnegare e gettare alle ortiche la nostra grande storia passata,
ma soprattutto significa togliere definitivamente la speranza ai giovani, che –
come ieri – continueranno ad emigrare.
Proviamo a riflettere
tutti, nessuno escluso.
Mario
Il Sinis di Cabras: località Mont'e Prama.
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