Oristano
17 Ottobre 2014
Cari amici,
l’Italia in questo
momento mi sembra una di quelle famiglie che fino a ieri ha condotto un tenore di vita alto, al di sopra
delle sue possibilità, e che improvvisamente, per necessità, si ritrova a dover
ridimensionare notevolmente le spese a causa di una drastica riduzione delle
entrate.
Immaginatevi i diversi comportamenti di marito, moglie e figli, relativamente
alle rinunce da fare: in linea di massima ognuno pensa che debbano essere gli
altri a rinunciare, perché le proprie abitudini non si toccano! Il capo
famiglia difficilmente rinuncerà alle sue passioni sportive, la moglie allo
shopping, i figli alla palestra, motorino, abbigliamento firmato, discoteca
etc.. Senza parlare delle uscite fuori porta nei fine settimana, ristorante,
pizzeria, cinema e teatro. In casa ci saranno discussioni a non finire, su chi
debba rinunciare, partendo dal presupposto che le proprie abitudini proprio non
si toccano!
E’ quello che sta
succedendo, senza troppe differenze, nel nostro Paese! Che per uscire dalla
crisi sia necessaria una seria politica di contenimento delle spese non vi è
dubbio. Come in una famiglia che ha contratto debiti pesantissimi,
riequilibrare il bilancio significhi rinunciare a tutta una serie di spese non
proprio necessarie, lo stesso ragionamento deve essere applicato alla “grande
famiglia” qual è la Nazione.
La difficoltà maggiore, però, non è nel quanto tagliare ma dove e come tagliare! Come
nella famiglia che ho usato prima come esempio, tutti vogliono mantenere il
proprio budget, suggerendo di tagliare quello degli altri. Questa politica del “taglia pure, purché non tocchi il mio”,
l’abbiamo vista fin dall’inizio: politici, magistrati, manager pubblici, tutti
titolari di emolumenti nettamente superiori alla media, hanno urlato allo
scandalo quando si è cercato di ridimensionare cifre a dir poco scandalose. Su
questa linea, poi, si sono allineati gli altri, chiedendo a gran voce, ognuno
nella salvaguardia del proprio giardinetto, di cercare i tagli altrove.
Mestiere difficile
quello del Commissario alla spending review Carlo Cottarelli che, come Diogene,
continua a cercare in lungo e in largo i rami improduttivi da tagliare, cercando di stare
attento però a non far seccare l’albero. Considerato che troppe ipotesi di “taglio”
sono andate praticamente a vuoto, recentemente una delle ultime idee messe
sul tappeto da Cottarelli è quella di far dimagrire la struttura periferica dello Stato,
ovvero ridurre il numero dei Comuni. Dopo l’ipotesi di accorpare le Regioni, sopprimere le
Provincie, ora è la volta dei Comuni che, per sopravvivere, dovrebbero
accorparsi. In Italia esistono troppi Comuni, sono circa 8 mila ed è necessario
ridurli. "Ottomila
comuni sono troppi, bisognerebbe pensare ad una riduzione che renda più facile
il coordinamento", ha sentenziato recentemente
il commissario Cottarelli, in audizione alla Commissione sull'anagrafe
tributaria. Bisognerebbe anche prevedere "un meccanismo premiale per i comuni
che si mettono assieme", ha aggiunto.
Cari amici, la
riflessione che qui mi sento di fare è, innanzitutto, che il potere centrale
(quello di Roma, che in periferia ha contribuito a definire “Roma ladrona”), ne in passato, ne oggi
e sicuramente anche domani, ha mai inteso rinunciare ai grandi privilegi di cui
è titolare il Governo Centrale. Se c’è da risparmiare, se c’è da “dimagrire”, certamente questo lo
debbono fare gli altri, quelli che hanno sempre fatto i sacrifici, tanto loro sono abituati
a vivere con poco! Ecco perché, essendo impossibile tagliare a Roma, i tagli
scenderanno in periferia; saranno i comuni, piccoli, medi e grandi a vedere
drasticamente ridimensionati i già magri bilanci. La recente annunciata manovra
da 36 miliardi di euro, che come si è già visto ha innescato la forte
sollevazione dell’Associazione dei Comuni, credo vada proprio su questa strada.
Entrando nel merito della
proposta Cottarelli di snellire il numero dei Comuni, alcuni dei quali sono
proprio minuscoli (Morterone, in provincia di Lecco, in Lombardia, il paese che
contende a Pedesina il titolo di comune più piccolo d’Italia, conta solo 36
abitanti), pur trovandola interessante, credo che l’operazione debba essere
portata avanti con grande attenzione, altrimenti si rischia di cadere dalla
padella nella brace. “Se lo Stato ci metterà in condizione si
potrà farlo, altrimenti potrebbe verificarsi addirittura un aggravio di costi”,
sostiene Antonella Invernizzi, sindaco di Morterone, il piccolo comune citato
prima. Poi aggiunge: “Certo, il discorso del risparmio è
inevitabile. Noi siamo pronti a unire le forze con altri ma bisogna stare
attenti. La gestione associata, se non si rispettano alcune condizioni, lungi
dal farci risparmiare, potrebbe richiedere addirittura ulteriori sforzi
economici”.
Cari amici, l’Italia
non è fatta di grandi centri urbani. Nei piccoli comuni italiani vivono circa
10 milioni di persone che si trovano però a gestire circa il 50% del
territorio. Il 72% dei comuni, infatti, ha meno di 5.000 abitanti (1.960 di
essi, pensate, contano meno di mille abitanti), eppure rappresentano una realtà
importantissima per la difesa dell’ambiente, dell’agricoltura e della cultura. Basti
pensare che vi si trova il 16% dei musei, monumenti e aree archeologiche e vi
si produce la gran parte dei nostri prodotti riconosciuti. L’identità del
nostro Paese è costituita dall’Italia dei mille campanili. Una realtà però da
tempo messa in pericolo per lo spopolamento, che non conosce sosta e che
indirettamente sta aggravando la già precaria situazione di rischio
idrogeologico, conseguente all’abbandono delle campagne.
La Sardegna, in
particolare, soffre incredibilmente di questo male: entro i prossimi 60 anni
rischiano di scomparire 33 comuni. Sardegna, come noto, da sempre poco popolata: esclusi i 4 storici capoluoghi e Olbia, il resto dei centri urbani è costituito
da realtà molto piccole (Baradili, in Provincia di Oristano con 95 abitanti è il Comune meno popolato). Evitare lo spopolamento dei piccoli paesi risulterà
essenziale anche per la salvaguardia del territorio che, ripopolato, potrà
anche creare nuove opportunità per il lavoro giovanile. Purtroppo il centralismo
che sembra connotare anche l’attuale governo (i ripetuti tentativi per una
maggiore autonomia degli Enti locali sono sempre falliti) difficilmente troverà
valide soluzioni per riportare la gente nei piccoli centri ripopolando le
nostre campagne.
Amici, se risparmiare
in questo momento è indispensabile, farlo in modo sbagliato potrebbe essere
ancora più nefasto. Quando il malato è grave, se è vero che ha bisogno di cure
adeguate, è pur vero che è necessario sostenerlo con un’apposita cura
ricostituente, altrimenti con le sole medicine corre il serissimo rischio d
morire. Non vorrei che, come a volte succede in ospedale al termine di certe
difficili operazioni, il medico dica ai familiari che “l’intervento è andato
benissimo, ma il paziente, debole fisicamente, non lo ha superato”.
Che dite cari amici è così anche per Voi ? Io dico: Speriamo bene….!
Mario
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