Oristano
16 Ottobre 2014
Cari amici,
chi come me è nato
nella prima metà del secolo scorso, conosce bene il sistema di vita dell’epoca.
Alla famiglia patriarcale, allora in auge, si sovrapponeva un’altra struttura più
complessa: il Vicinato, formato da
un certo numero di famiglie, accomunate dallo stare in abitazioni attigue.
Struttura coesa il vicinato, quasi una “famiglia
allargata”, al cui interno ci si muoveva nell’ottica della condivisione,
del conseguimento del massimo risultato con lo sforzo minore. In quei tempi
(io ero un figlio della guerra, essendo nato nel 1945), nei quali mancava
praticamente tutto, anche l’indispensabile, il vicinato metteva in condizioni
le famiglie di organizzare gli eventi gioiosi, come i matrimoni, i battesimi,
le cresime e i compleanni, così come si occupava delle note tristi, come
malattie e decessi, portando il necessario sostegno alla famiglia colpita. Era
uno stare insieme fraterno, un modo di condividere il poco a disposizione, che
consentiva di guardare avanti con dignità, aiutandosi l’un l’altro, come una
vera e propria famiglia, dove gioie e dolori, abbondanza e carestia, erano
equamente condivise, all’interno della piccola Comunità che, così, si auto
proteggeva.
L’incredibile
evoluzione (non sempre in positivo) della famiglia patriarcale, che in meno di
un secolo si è radicalmente trasformata, ha prima inaridito e poi totalmente
soppresso quello “spirito di corpo”, quella coesione e quella forza che le
famiglie possedevano, all’interno della struttura del vicinato. Da anni, ormai,
le nostre città vivono un’aridità di
rapporti umani che rasenta l’assurdo: la regola è ignorarsi totalmente l’un
l’altro, anche se coabitanti in palazzi-alveare, separati solo da un sottile
divisorio di cemento e mattoni. Anche nei luoghi deputati all’incontro,
all’evasione ed al tempo libero (Vie, Piazze, Parchi e così via), si vedono solo persone che ne incrociano altre, sempre in
totale indifferenza, senza comunicare tra di loro, nella logica egoistica dell’esclusione
degli altri.
E’ la solitudine
dell’uomo moderno, l’arido stare insieme della “folla solitaria”, come David Riesman l’ha ben definita. Eppure, in
questa società malata di egoismo, seppure lentamente, qualcosa si muove in
senso positivo: è in atto quasi una riscoperta – seppur in chiave moderna –
dell’antico vicinato. Anche in Italia ha iniziato a prendere piede un modo
nuovo di “stare insieme”: si chiama Co
Housing, termine inglese (ormai linguaggio universale) che significa
“Coabitare
in maniera collaborativa”. In termini pratici significa soprattutto riprendere
a vivere insieme in “maniera sostenibile”, attraverso un modello di
collaborazione reciproca, effettuata nell’ottica del risparmio e della
convenienza.
Il sistema Co housing, significa
proprio “mettere in comune”: uno spazio abitativo, un servizio per i condomini,
o addirittura un’idea nuova di convivenza più impegnativa; è un modello abitativo
sviluppatosi nel Nord Europa e negli
Stati Uniti, all’incirca negli anni ’70 del secolo scorso, che successivamente
si è esteso. La sua applicazione ha permesso di riscoprire la socialità e la
cooperazione tra vicini di casa, appagando l’interiore bisogno di vivere la vita in
modo meno individualistico e più sociale, meno consumistico e più creativo,
meno costoso e più sereno. Tutti valori, questi, che, nel tempo, erano praticamente svaniti. Col trascorrere del tempo l’idea di pochi di riprendere a vivere insieme in Comunità,
con progetti condivisi, ha contagiato molti altri e, conseguentemente, sono state
progettate numerose abitazioni condominiali, nelle quali era possibile iniziare a rifare
“quella vita comune” che per troppi anni era stato impossibile fare.
Da qualche tempo anche
il Italia il Co-housing ha iniziato a muovere timidamente i primi passi. A
Torino come a Milano ed in altre città minori, sono già nate moderne “abitazioni partecipate”, condomini in
cui ogni nucleo familiare ha il suo appartamento ma condivide gli spazi comuni, fruibili
da tutti: un locale che ospita un micro nido, un laboratorio per il bricolage,
un terrazzo o un piccolo spazio verde. Ma lo stare insieme ha messo in moto
numerose forme di aggregazione che hanno portato vantaggi ben più consistenti. Dalla
lavanderia alla palestra, dall'acqua
agli acquisti comunitari di viveri, fino alla condivisione della badante, della
babysitter e dell’auto: nel co-housing dei moderni condomini collaborativi,
tutto può diventare condivisibile!
Cari amici, ricreare oggi un nuovo modello di “Famiglia allargata”, sulla falsariga dell'antico vicinato, attraverso la
positiva ristrutturazione dei moderni gruppi condominiali, non apporterà solo benefici
di natura economica. Il nuovo modello di convivenza aggregata tra persone e
famiglie, sarà in grado di produrre risultati di ben altra natura ed a lungo
termine. Il costante dialogare insieme per risolvere i problemi materiali, oltre
che consolidare la neonata amicizia tra persone, creerà un nuovo spirito di appartenenza al gruppo,
che diventerà una realtà viva e condivisa; stare insieme non significherà solo imparare
a prendere decisioni con gli altri, ma anche aprirsi alla solidarietà, rendersi disponibili verso
l’esterno, dare e ricevere aiuto: insomma gestire quel mutuo soccorso capace di
alleviare i tanti problemi della vita quotidiana, con piena soddisfazione di tutti.
Personalmente questo
ritorno all’antico, per quanto adattato all’età moderna, mi riempie di grande gioia.
Ho conosciuto da ragazzo la grande forza del vicinato, che oggi sostanzialmente
torna in auge, che sarà capace di ricreare quella solidarietà per tanto tempo
sfrattata dall’egoismo. Il condominio, cari amici, rimasto per lungo tempo nell’immaginario
collettivo sede di litigi, seccature e battibecchi
a non finire, potrà tornare ad essere la sede operativa di quella grande famiglia
allargata, erede del rimpianto Vicinato del passato! Anche se ora, per seguire
la moda, lo chiameremo pomposamente CO HOUSING!
Ciao a tutti.
Mario
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