Oristano 6 Luglio 2013
Cari amici,
la complessa storia del credito in Sardegna vive oggi, dopo un tormentato percorso, una vita non certo sgombra di ombre e di incertezze.
Il sistema creditizio sardo ha faticato più di altri a raggiungere gli attuali livelli. Alla base, forse, ci sono stati gli stessi motivi che hanno fatto uscire in ritardo l’Isola dal feudalesimo: la diffidenza, la mancanza di fiducia. La diffidenza dei sardi, frutto dei lunghi periodi di dominazione straniera, unita all’isolamento geografico, non ha mai agevolato e incentivato gli scambi commerciali e culturali con gli altri popoli. La cultura imposta dai dominatori ha creato sudditanza e quindi diffidenza. Millenni di dominazione hanno rafforzato l’individualismo a scapito dell’associazionismo.
Tutto questo ha nel tempo frenato sia la crescita interna che l’interscambio con l’esterno. Ma questo modo di essere, oggi, ha ancora senso o valore? Le nostre diffidenze, prima o poi, dovranno prima allentarsi e poi definitivamente cadere. L’individualismo dovrà lasciare spazio alla condivisione, alla cooperazione: il gioco individuale dovrà lasciare spazio al gioco di squadra. Oggi la fiducia, come sostengono i nuovo manuali di sociologia ( Giddens, Luhmann), non può più essere limitata dalla conoscenza “personale”, accordata solo dopo aver vinto l’iniziale diffidenza, ma estesa, aperta, rivolta a tutta un serie di strutture invisibili ma sperimentate e capaci. E’ la fiducia nei sistemi esperti. E’ il mondo della globalizzazione che lo richiede, quello in cui viviamo, e che detta le nuove regole a cui nessuno è concesso di sottrarsi.
Qualcuno ha ricordato la preoccupazione dei sardi quando nel lontano 1844-45 si passò dai vecchi sistemi di misurazione in uso nella regione al sistema metrico decimale. La stessa preoccupazione si è ripetuta nel 2002, anno di introduzione dell’Euro.
E’ la “paura del nuovo”, la paura dell’ignoto, che ieri ci ha impedito di partecipare a pieno titolo ai progressi dell’economia e anche oggi è capace di limitarci. La Sardegna non può continuare ad arroccarsi nel suo lungo, anche se giustificato, isolamento. Il sistema produttivo sardo deve uscire dal guscio, confrontarsi e competere con quello del resto del mondo! Tramontata la grande industria, sogno di riscatto degli anni Sessanta, cadute le forti agevolazioni pubbliche, il cui spreco fa ancora gridare allo scandalo, gli imprenditori sardi oggi devono lottare con le proprie forze per proiettarsi all’esterno per far crescere le loro aziende. Solo la consapevolezza che il ricco mercato dell’Unione Europea è non solo vicino ma anche a portata di mano può stimolare la competizione. Le banche, in particolare il Banco di Sardegna, possono e debbono giocare un ruolo decisivo. Investire in Sardegna dovrebbe essere il fine prioritario di una banca (Il Banco di Sardegna) che continua a detenere oltre la metà del risparmio dei sardi! Aiutare le aziende sarde a decollare dovrebbe venire prima, in ordine di importanza, di sostenere altri gruppi che con la Sardegna poco hanno a che fare. La Sardegna è in grado di portare avanti produzioni di alto valore e di grande qualità: il futuro per le aziende sarde esisterà solo se produzioni di qualità e costi competitivi, andranno di pari passo con il giusto sostegno finanziario.
Le analisi di mercato mettono in luce l’alto potenziale dell’Isola che, un adeguato supporto promozionale e di marketing, possono sviluppare senza timore. Altra risorsa di cui l’Isola può avvantaggiarsi è la valorizzazione del suo territorio, sfruttandone turisticamente le risorse naturali sotto alcuni aspetti uniche. La sua posizione al centro del Mediterraneo, il clima particolarmente adatto all’industria delle vacanze, la bassa densità abitativa, unite alla bellezza delle coste ed alle caratteristiche uniche possedute (archeologia, bio-diversità, natura incontaminata etc.), possono trasformare in risorsa quello che in passato era una sterile cartolina di benvenuto.
Per fare questo è importante che i sardi, i giovani soprattutto, raggiungano gli stessi livelli sociali e culturali del resto dell’Europa. Solo a parità di condizioni, conoscenze e cultura, il confronto sarà ad armi pari. La nostra sfida potrà essere vincente solo se saremo capaci di fare quel salto di qualità che i nuovi mercati impongono. Fare mercato oggi in Sardegna significa valorizzare le risorse locali, produrre in modo non frammentario i prodotti che il vasto mercato richiede; tradotto in pratica significa immettere sul mercato vino, latte, formaggi e tante altre nostre produzioni con le caratteristiche di “alta qualità” (incrementare l’industria agro-alimentare, soprattutto sul biologico, è ancora un sogno). Competere nel mercato globale non significa lavorare solo prodotti “standardizzati”, ma anche valorizzare le produzioni di nicchia, ricche di saperi (e sapori) locali, la cui identità e unicità possono avere notevoli potenzialità. Per fare tutto questo l’Isola, oltre la “mano finanziaria” necessita anche della mano pubblica. A differenza del passato non più contributi concessi a pioggia, che si disperdono in mille rivoli, ma progetti mirati sulle infrastrutture e sui servizi ed agevolazioni che richiamino nell’Isola investimenti importanti, capaci di affiancare l’imprenditoria locale.
Sarà in grado la Sardegna di vincere questa importante sfida? Io la considero una sfida possibile, se tutti, ognuno per la sua parte, imboccheranno la stessa direzione. Credo che questo sia il sogno di tutti i sardi. Se questo dovesse accadere, i sardi, soprattutto i giovani, potrebbero dire di aver sconfitto quei mali endemici che i lunghi anni di dominazione ci hanno portato: diffidenza e individualismo. Potremo tutti, finalmente, sorridere al ricordo dell’antico detto ci definiva inequivocabilmente: pocos, locos y mal unidos.
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