giovedì, settembre 27, 2007

LA CHIRURGIA IN SARDEGNA ALL'EPOCA ROMANA







CONFERENZA DEL PROF. RAIMONDO ZUCCA AL ROTARY CLUB DI ORISTANO

LA CHIRURGIA IN SARDEGNA IN EPOCA ROMANA

I bronzi chirurgici recentemente ritrovati ed appartenenti ad un valetudinarium (ospedale) di Forum Traiani (Fordongianus) dimostrano l’importanza dell’Isola in epoca romana e, in particolare, del centro terapeutico di Fordongianus le cui acque termali erano note nell’antichità come Acquae Ypsitanae.


La Sardegna, collocata al centro del Mediterraneo, è stata sempre considerata terra strategica dai tanti popoli naviganti che fin dall’antichità hanno in lungo e in largo non solo utilizzato i suoi approdi ma anche colonizzato sia le coste che ampie zone dell’interno introducendo nuova cultura. Tra i tanti popoli dominatori i Romani hanno recitato il ruolo certamente più importante.
Il club di Oristano ha voluto dare inizio al nuovo anno rotariano, nella prima conviviale di Luglio, con un’interessante conferenza del prof. Raimondo Zucca, docente universitario, archeologo, scrittore e direttore del museo di Oristano “Antiquarium Arborense”, sul recente straordinario ritrovamento di alcuni strumenti chirurgici di epoca romana, ora custoditi nel museo da lui diretto. Il prof. Zucca, con la sua brillante capacità oratoria, ha prima introdotto l’argomento, parlando dell’importanza dell’isola nel periodo romano, e, in particolare, della rilevanza attribuita al centro termale di “Forum Traiani”, oggi Fordongianus, nell’epoca imperiale.
Narra il prof. Zucca che non pochi importanti uomini politici transitarono in questa località, ubicata a 27 chilometri a nord-est di Oristano, per godere dei benefici delle calde Acquae Ypsitanae, non escluso, addirittura, l’imperatore. La fama del luogo convogliava alle Thermae personaggi ai vertici della vita politica, giudiziaria e civile, che raggiungevano Forum Traiani accompagnati, cosa non comune per l’epoca, anche dalle loro mogli. Le acque della stazione termale dovevano essere di grande validità curativa, se importanti personaggi della capitale affrontavano i rischi e le difficoltà del viaggio per goderne i benefici. In questa città sarda, dal contesto eccezionalmente mondano per l’epoca, paragonabile a quello di una grande città della penisola, operava un grande ospedale, allora detto Valetudinarium di cui sono rimasti pochi resti. In questo splendido angolo di Sardegna operava certamente il chirurgo proprietario degli attrezzi in bronzo ora felicemente ritrovati.
“I bronzi, esaminati preliminarmente dall’archeologo Dottor Sebastiano Demurtas, costituiscono uno dei più straordinari complessi di attrezzatura chirurgica della Sardinia, benché singoli strumenti chirurgici provengano da Tharros e da Turris Libissonis (oggi Porto Torres)...”, ha dichiarato il prof. Zucca.
Collezioni ben più importanti (costituite anche da 150 strumenti) sono state ritrovate a Pompei ed Ercolano, continua il prof. Zucca, ma la perfezione degli strumenti e lo splendido stato di conservazione dei dieci strumenti recentemente ritrovati in Sardegna fanno di questi uno straordinario documento che testimonia, tra l’altro, l’importanza rivestita dalla Sardegna nella medicina dell’epoca, in particolare nella chirurgia, dove la precisione degli strumenti e la capacità del chirurgo erano essenziali per la sopravvivenza del malato che, in assenza di antibiotici, era spesso preda delle infezioni che si sviluppavano nei tessuti incisi o tagliati dal chirurgo, con esito in molti casi letale.
La conferenza, tenuta in una delle sale dell’Hotel “Mistral 2”, sede del club, è stata seguita ed apprezzata da un pubblico numeroso di soci, familiari ed ospiti.
Nella sala, attrezzata per la proiezione su schermo, scorrevano le immagini degli strumenti, mentre il prof. Zucca commentava, man mano che le diapositive avanzavano, illustrando le caratteristiche dei singoli bronzi chirurgici, decantandone, oltre che la perfezione la bellezza ed evidenziando, infine, per alcuni la straordinaria somiglianza con gli attuali strumenti in uso.
Anche la Sardegna, dunque, recitava migliaia di anni fa un ruolo importante nel campo della medicina dell’epoca ed, in particolare, la città di Forum Traiani, dove la classe medica, nelle sue varie specializzazioni, era certamente di alto livello.
La conferenza ha avuto l’apprezzamento generale ed, in particolare, quello dei numerosi medici presenti che hanno, poi, avviato un interessante dibattito.
Le conversazioni scaturite dall’argomento hanno ribadito, per quanto non ce ne fosse bisogno, che l’isola, per le sue caratteristiche di centralità nel mediterraneo è sempre stata una terra ricca di civiltà ben prima della dominazione romana, a partire dalla civiltà nuragica e dalla successiva fenicio-punica.
Alla conferenza è seguita la conviviale, dove non sono mancate ulteriori interessanti domande poste al relatore, non ultima la richiesta di un possibile nuovo incontro sui recenti ritrovamenti ( romani e fenicio-punici) a Tharros, di cui il prof. Zucca è profondo conoscitore.

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Mario Virdis
Presidente Rotary club di Oristano

giovedì, luglio 26, 2007

I LIMITI ALLA LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO: DALLA CENSURA CINEMATOGRAFICA AL MONDO DI INTERNET









UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN EDITORIA, COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE E GIORNALISMO



I LIMITI ALLA LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO :
DALLA CENSURA CINEMATOGRAFICA AL MONDO DI INTERNET







SAGGIO DI MARIO VIRDIS, matricola 30019800
Esame di: DIRITTO PUBBLICO DELL’ INFORMAZIONE
DOCENTE PROF. STEFANIA PARISI



INTRODUZIONE


“Pietra angolare di tutti gli ordinamenti di matrice liberale, a partire dalla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, è la libertà di manifestazione del pensiero…”[1], senza la quale il valore della democrazia risulterebbe privo di contenuto. A nulla vale, infatti, permettere la partecipazione attiva della comunità alla vita politica, ampiamente intesa, se non è contemporaneamente riconosciuto il diritto di esprimere le proprie idee. Recepito anche nell’ordinamento internazionale e in quello comunitario, il principio della libertà di espressione trova in ogni regime democratico limiti distinti, ma accomunati da un’intenzione quanto più permissiva di garantire ad ognuno tale libertà.
Nella convivenza con altri valori giuridici, anche il diritto in questione subisce delle compressioni e degli adattamenti. Tuttavia, dato il suo carattere primario, nel concreto bilanciamento tra principi supremi dell’ordinamento spesso risulta gerarchicamente superiore ad altri.
In Italia l’art. 21 Cost. prevede, quale suo unico limite espresso, il buon costume, oltre a vincoli esterni posti soprattutto a tutela dell’onore e della riservatezza altrui. La definizione di buon costume, essendo una clausola generale, ha subito nel tempo modifiche rilevanti, che potrebbero riassumersi nel passaggio da espressione della morale corrente, intesa nello specifico come morale sessuale, a espressione della tutela dei minori e del loro sviluppo psichico.
Scopo di questa relazione è di effettuare una breve analisi sull’attuale regolamentazione della censura cinematografica, che necessita di indifferibili modifiche da tempo proposte, confrontandola e rapportandola al nuovo strumento di comunicazione: Internet e la rete.
Nel ripercorrere la storia giuridica della censura cinematografica si rileva che le forme di controllo preventivo, previste dal nostro ordinamento, sono retaggio dell’epoca precostituzionale. Qui, infatti, più che altrove, si può percepire il peso dei limiti alla manifestazione del pensiero, considerate le libertà allora vigenti, che impedivano o cercavano di impedire la diffusione delle idee prima ancora della loro divulgazione. La censura preventiva, retaggio quindi di quell’epoca, è tutt’ora prevista nella legge attualmente in vigore.
La Legge 21 aprile 1962, n. 161 – revisione dei film e dei lavori teatrali - prevede, per la proiezione in pubblico dei film, il nulla-osta del Ministero del Turismo e Spettacolo[2]. Il nulla-osta è rilasciato dal Ministero, su parere conforme, previo esame del film, di speciali Commissioni di primo grado e di appello, la cui composizione e competenze sono dettagliate nella legge.
Le Commissioni sia di primo che di secondo grado, nel dare parere per il rilascio del nulla osta, stabiliscono anche se alla proiezione del film possono assistere minori di anni 14 o minori di anni 18, in relazione alla particolare sensibilità dell’età evolutiva ed alle esigenze della tutela morale del minore.
Le Commissioni, pertanto, esaminano in via preventiva se quel film violi l’ultimo comma dell’art. 21 della Costituzione, ove recita “ sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume…” . L’analisi preventiva e di revisione dei film dovrebbe sottolineare, pertanto, tempo per tempo, l’evoluzione dell’interpretazione circa il buon costume, che sta via via modificandosi soprattutto in relazione alla tutela dei minori.
La costante della “protezione dei minori” è presente non solo nelle commissioni di censura, ma anche presso il legislatore, atteso che, da anni, si sta tentando, con scarso successo, una riforma della legge sulla revisione cinematografica che abbia come unica ratio la tutela della sensibilità e della crescita dei più giovani.
La cinematografia, insofferente ad una concezione superata di buon costume e ad un sistema di controllo corporativo che sembra poco adatto ad una società evoluta che non reputa più il cinema “scuola di vizio e crimine”, sembra ormai esigere con forza una modifica sostanziale della Legge n. 161/1962, semplicemente aggiornata nel tempo con pochi accorgimenti.
Pur in presenza di modifiche che hanno abrogato la revisione degli spettacoli teatrali e mutato la composizione delle commissioni censorie, il passo più importante per una definitiva abrogazione del nulla osta generale alla proiezione dei film ancora non è stato fatto. Nonostante siano state formulate diverse proposte di legge che mantengano in vita solo il diniego alla visione per i minori, queste non sono mai riuscite a diventare legge. Il Governo, tuttavia, sembra ormai deciso a portare in Parlamento una serie di modiche sull'istituto della censura cinematografica.
L’ultimo disegno di legge di iniziativa governativa, in corso di presentazione al Consiglio dei Ministri, si propone di tutelare i minori in varie fasce di età, con l’obiettivo di “ aiutare le famiglie ed i minori a una fruizione corretta e appropriata dello spettacolo cinematografico…” ma anche “fornire un sistema semplice e chiaro d’individuazione e di corretta informazione dei contenuti dei film…”.
Un primo risultato, in caso di approvazione della proposta di legge, la fine della Commissione introdotta nel 1962, alla quale è subordinata la concessione del “Nulla Osta preventivo”, sostituita dalla “Commissione per la classificazione dei film per la tutela dei minori”, che, invece dovrebbe operare a livello di “controllo”, a posteriori. Toccherà, infatti, alle imprese di produzione e distribuzione cinematografica provvedere alla classificazione delle pellicole da inviare nelle sale. Senza classificazione il film non potrà essere proiettato e le imprese avranno la facoltà, non l’obbligo, di chiedere alla Commissione ministeriale di convalidare la classificazione effettuata. La nuova classificazione dei film risulta articolata nelle seguenti fasce di età:
- film la cui visione è consentita a tutti;
- film vietati ai minori di 18 anni;
- film vietati ai minori di 14 anni;
- film vietati ai minori di 10 anni.
Il disegno di legge dell’Esecutivo con la nuova proposta prevede una particolare focalizzazione del contesto narrativo generale, in relazione alla possibilità di creare possibili comportamenti emulativi, in rapporto all’età degli spettatori. Gli elementi oggetto di verifica: linguaggio, violenza, pornografia, uso di sostanze stupefacenti, condotte criminali, discriminazioni, disabilità, maltrattamenti, etc., non dissimili dagli indicatori precedenti.
Esaminiamo brevemente, ora, il caso PULP FICTION, esempio inequivocabile di decisioni contrastanti relative alla censura cinematografica..



CAPITOLO PRIMO


CASO “PULP FICTION”, DI QUENTIN TARANTINO
DUE SENTENZE DI OPPOSTO TENORE A CONFRONTO
TAR LAZIO, SEZ. I, 21 APRILE 1995, N.709
CONSIGLIO DI STATO, SEZ.IV, 30 GENNAIO 1996, N.139


Sintesi dei fatti.

La Cecchi Gori Group, di fronte al diniego di visione del film ai minori di anni 18, stabilito dalle Commissioni di primo e secondo grado, impugna il provvedimento di fronte al T.A.R. del Lazio. Diversi i motivi di impugnazione: dall'interpretazione dell'art. 5 della L.161/1962 e dell'art.9 del D.P.R. 2029/1963, ad asserite omissioni procedurali nel lavoro delle Commissioni, all'eccessiva genericità dei provvedimenti impugnati, alla mancanza di considerazione della proposta della società di effettuare dei tagli alla pellicola. La società richiede, inoltre, di abbassare il divieto di ammissione alla proiezione del film ai minori degli anni 14, anche in relazione al valore artistico del film e alla sua natura tanto grottesca e paradossale quanto evidente.
Il TAR del Lazio sostanzialmente conferma quanto già deciso dalle Commissioni di revisione e rigetta tutte le argomentazioni della Cecchi Gori Group, con le seguenti motivazioni.
Gli art. 5 della L.161/1962 e 9 del D.P.R. 2029/1963, regolamento esecutivo della L.161/1962, devono essere interpretati in modo sistematico; le omissioni procedurali nel lavoro delle Commissioni non sussistono. Sostiene, inoltre, il TAR che la natura ironica e paradossale dell'opera è sottile, "talmente evanescente" da non essere percepibile con chiarezza dallo spettatore non adulto. In sintesi il film "finisce per proporre allo spettatore minore personaggi che ben potrebbero assurgere a modelli negativi di comportamento" e potrebbe "insinuare nella sua psicologia un'idea di normalità rispetto ad atti, comportamenti e filosofie di vita, oggettivamente del tutto anormali perché propriamente delinquenziali".
La Cecchi Gori Group appella la sentenza del Tar di fronte al Consiglio di Stato, riproponendo per la maggior parte le considerazioni già svolte. In più, richiama l'attenzione sui giudizi critici, anche di esperti della psicologia, estremamente favorevoli al film. Sottolinea, inoltre, come il concetto di pregiudizio dell'età evolutiva dei minori sia storicamente condizionato, con un significato e una portata che cambiano col mutare del contesto storico e sociale di riferimento.
Il Consiglio di Stato, si può dire, ribalta la sentenza di primo grado.
Pur confermando le motivazioni in diritto sulla corretta interpretazione sistematica dell'art. 5, L.161/1962 e dell'art. 9, del D. P. R. 2029/1963 e ribadendo la possibilità di giudizio dei soli magistrati senza necessità di ricorrere a perizia tecnica, valuta che la pellicola in questione " pur nella crudezza delle immagini non costituisce, in massima parte, un attentato alla tutela morale del minore e un motivo di superamento della sensibilità dell'età evolutiva. Infatti non difettano nel film stesso messaggi che rappresentano possibilità di riscatto da parte delle persone dedite al male…", per cui non risulta un pericolo per il minore, ma anzi può essere addirittura utile.
A conferma di questa tesi evidenzia come in alcune scene, tra le più forti contenute nel film, sia possibile ravvisare messaggi positivi e di riscatto dei personaggi, o di repulsione verso, ad esempio, le sostanze stupefacenti. Nella sentenza, ogni singola scena presa in considerazione per sostenere la tesi dei giudici è spiegata e commentata. Unica “riduzione” accolta quella del taglio delle sequenza rappresentativa della sodomizzazione, che “ potrebbe essere interpretata dal pubblico dei minori in modo inappropriato”.
Il Consiglio dunque accoglie l'appello della Cecchi Gori Group, permettendo la visione di Pulp Fiction anche ai minori, purché però non minori di anni 14. La sentenza favorevole, inoltre, consente anche la trasmissione televisiva del film, seppure solo nelle ore notturne.
Le due sentenze, antitetiche, sono motivo di riflessione. La diversa valutazione dei due Collegi giudicanti mette a nudo quanto sia difficile, esaminando lo stesso problema, raggiungere un’unanimità di giudizio. Le difficoltà risiedono proprio nella difficile valutazione degli equilibri, nel bilanciamento tra opposti diritti: libera manifestazione del pensiero, concetto di buon costume, di comune senso del pudore, della tutela morale dei minori e della particolare sensibilità dell’età evolutiva. Il compito del legislatore che si accinge ad effettuare le modifiche alla legge attuale, non sarà facile.


CAPITOLO SECONDO

Il mondo di INTERNET
I minori di fronte alla Società globale dell’Informazione.

Lo studio sui mutamenti della censura cinematografica sarebbe potuto divenire, ad ogni modo, un mero excursus da relegare negli scaffali della storia del diritto, se non si fosse tenuto conto anche dei nuovi mezzi di comunicazione.
Il passaggio dalla prima alla seconda modernità ha evidenziato la nascita e la veloce diffusione di uno straordinario mezzo di informazione globale: Internet. Questo strumento bello e terribile, ambito e temuto, è oggi ancora poco regolamentato. Tante le problematiche, infatti, che sono venute alla luce anche ad una prima sommaria analisi di Internet, a partire da uno scopo primario, quello della tutela dei minori.
I controlli della manifestazione del pensiero, già ampiamente discussi prima dell’avvento del nuovo mezzo, si affacciano ora, in maniera ben più drammatica e urgente. Nel vasto panorama della libertà d’espressione il rivoluzionario mezzo di comunicazione “Internet e la Rete”, che ha dato vita alla nuova era chiamata “Società dell’informazione” ed anche più propriamente “Società del rischio”, ha un altissimo potere deflagrante, capace di distruggere millenni di certezze. Pretendere un riadattamento della legislazione già in vigore o un’elaborazione ex novo di regole per ogni settore del diritto sembra non solo giusto ma anche indifferibile. Nella “Società globale del rischio” nuove regole giuridiche sono attese: dalla riforma del diritto commerciale al diritto d’autore, dal diritto bancario al diritto d’immagine; ogni ambito giuridico è stato investito da problematiche nuove che necessitano di soluzioni appropriate per la rete.
Questo significa che anche il settore della libertà d’espressione dovrà trovare nuove regole, compatibili con i nuovi strumenti della società globale. Il fenomeno di Internet, però, è ancora giovane e occorrerà del tempo, prima che si riesca ad inquadrare, anche normativamente, la nuova realtà virtuale: controllare e regolamentare Internet, per quanto indispensabile, sarà un processo difficile e di non breve durata. Sarà necessario, però, accelerare i processi di costruzione delle nuove norme, perchè nella materia della libera manifestazione del pensiero, lo scenario risulta essere estremamente magmatico. Internet non si presta ai classici sistemi di disciplina, anzi, riesce a scavalcarli ed eluderli senza difficoltà, rendendo poco efficaci i controlli verso gli altri mezzi. Per ora, tribunali, dottrina e legislatori stanno cercando di mettere delle toppe ai problemi che mano a mano, nella prassi, sorgono.
Nel mondo gli Stati Uniti sono stati i primi a tentare una regolamentazione dei contenuti del Web, con la legge nota come “Telecommunication Act” del 1996, la cui sezione quinta, il “Communication Decency Act”, è stata dichiarata incostituzionale per contrarietà al Primo emendamento, che garantisce la più ampia libertà d’espressione.
L’Unione Europea inizia ad occuparsi del problema intorno agli stessi anni, con una serie di attività di tipo consultivo e comunque non vincolante, tra le quali si sottolineano, per importanza, la risoluzione del Consiglio sulle informazioni di contenuto illegale e nocivo su Internet, il “Libro verde” sulla protezione dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e di Internet della Commissione, il Piano pluriennale d’azione comunitario per l’uso sicuro di Internet.
Poiché Internet è uno spazio fittizio che supera i confini statali, gli eventuali interventi normativi, per risultare efficaci, debbono essere presi a livello possibilmente internazionale. E’ stata così adottata, negli ultimi mesi, una Convenzione sul “Cybercrime”, a cui è allegato un protocollo addizionale sulla lotta al razzismo e alla xenofobia, che ha suscitato ampie polemiche per il carattere censorio delle previsioni.
Se a livello internazionale e comunitario il dibattito sulle forme di controllo dei contenuti immessi in Internet è vivace, benché privo ancora di un quadro normativo comune di riferimento, da noi sembra regnare ancora il silenzio, interrotto di tanto in tanto da qualche proposta di legge, che tradisce ansie e timori di chi ancora non si è abituato al web.
In Italia, infatti, mentre l’attenzione continua ad essere concentrata sulla tutela dell’infanzia e dei minori, riguardo alle trasmissioni televisive o sulla lotta alla pornografia e alla pedofilia in Internet, l’unica effettiva regolamentazione dei contenuti della rete è data dalla legge n. 62/2001, che equipara alla stampa le testate on line, con conseguente obbligo di registrazione e organizzazione editoriale, legge che ha acceso un intenso dibattito per la sua formulazione ambigua e sibillina. Le altre proposte di regolamentazione prevedono l’adozione di sistemi di controllo tecnologici per tutelare i minori non solo da pedofilia e pornografia in rete, ma anche da messaggi razzisti, indecenti, blasfemi o xenofobi.
L’analisi di questi meccanismi mostra che non solo è cambiato il significato di tutela del buon costume, ma anche che sono mutate le modalità di controllo preventivo. Se fino ad oggi, infatti, hanno operato, prima di interventi repressivi, interventi censori di carattere centralizzato, con l’avvento di Internet l’unico controllo efficace e già realizzabile potrebbe essere di natura solo decentralizzata. Un controllo, cioè, parentale, affidato esclusivamente ai genitori e agli istituti educativi che possono autonomamente, con il supporto di software appositi, rendere Internet un contenitore variabile, secondo la sensibilità e la cultura di ciascuna comunità.
La risultante è che in Italia, permane un duplice sistema censorio: quello classico, di cui è chiaro esempio la censura cinematografica ancorata agli obsoleti criteri e sistemi di controllo, con scarsi tentativi di adeguamento per restringere i divieti di proiezione solo per i minori e quello nuovo, riguardante la rete, non regolato da leggi nazionali né da vincolanti atti comunitari o internazionali, ancora in via di definizione. Un punto soltanto sembra essere fermo ed accomunare i due sistemi: come nel cinema, anche in Internet pare ormai pacifico che l’unico bene da difendere, che il legislatore deve considerare nel comprimere la libertà di espressione, è la tutela dei più piccoli.
La premura dell’ordinamento giuridico sembra aver cambiato definitivamente l’oggetto di protezione: dal buon costume, interpretato in maniera differente a seconda dell’evoluzione dei tempi, alla sana crescita intellettiva dei minori.
Così, da un lato si studia come modificare la vecchia disciplina di revisione degli spettacoli cinematografici, dal momento che, nella attuale formulazione, si dimostra più un peso alla libertà di espressione artistica che un supporto alla protezione di valori costituzionali confliggenti, come il buon costume o la tutela della gioventù; dall’altro si studia come affrontare la rete, verificando se sia più opportuno lasciarla libera da vincoli o regolamentarla, magari in partnership con gli altri Stati. I due problemi esposti evidenziano,però, un’esigenza nuova: tempi rapidi. Le innovazioni, i nuovi strumenti della attuale Società globale dell’Informazione viaggiano in “tempo reale” quindi necessitano di regole e di continui aggiornamenti normativi che operino alla stessa velocità.
Quanto detto fin’ora mette in evidenza come sia difficile trovare il giusto equilibrio, applicare il necessario bilanciamento tra diritti spesso contrastanti. La flessibilità e la continua variazione dei concetti e delle regole che costituiscono i fondamenti del vivere civile richiedono continui sforzi e profonda saggezza. Compito costante di chi amministra il potere costituito (Parlamento, Governo, Magistratura) è quello di controllare, vigilare, osservare, prima di decidere rispettando i giusti equilibri. Nel nostro caso specifico l’osservare ed il verificare significano stabilire se i mutamenti subiti dal concetto di buon costume e le nuove forme di controllo limitative della libertà d’espressione, siano davvero in grado, e con quali particolari efficaci mezzi, di garantire un corretto equilibrio dei valori costituzionali coinvolti, soprattutto nell’attuale, difficile, mondo della Società globale dell’informazione del rischio.




CONCLUSIONI


Una teoria della libertà come assenza di costrizione, per quanto ciò possa apparire paradossale, non predica l’assenza di costrizione in tutti i casi. A volte le persone devono essere costrette per proteggere la libertà degli altri. Ciò è fin troppo evidente, quando le persone devono essere difese da assassini e rapinatori, mentre non lo è, quando la protezione si riferisce a vincoli e libertà che non sono altrettanto facili da definire.
Così, ad esempio, la costrizione può apparire ingiusta o inopportuna nel caso della libertà di espressione, dove i legacci derivano da concetti indeterminabili in modo esaustivo, quali il buon costume o gli altri valori in conflitto con essa. L’ordinamento giuridico non è altro che un insieme sistematico di principi, che vivono al di fuori della legge come valori. E, come i valori umani e civili fluttuano in un equilibrio mutevole e mai fisso, così i principi fondamentali del diritto non conoscono una gerarchia rigida e predefinita, ma, nella concretezza della vita civile, si sacrificano e si comprimono reciprocamente, nel tentativo di rispettare il sistema generale dei valori della società.
La libertà in senso generale e le libertà specifiche non possono trovare la più ampia attuazione senza collidere l’una con l’altra: riprendendo una teoria dell’antica Grecia, la teoria eraclitea, secondo cui ogni elemento vive grazie al suo contrario, si può sostenere che il buono esiste in quanto esiste il cattivo, o che la luce ha valore solo perché esiste il buio.
Se, dunque, nello specifico, la libertà di espressione può dirsi realizzata, quando si permette agli individui di esternare e diffondere le proprie idee in un contesto civile dove ci sono regole, sembra naturale che essa conviva con altre libertà che ne riducono la portata assolutista.
Tuttavia, affermare che il concetto di libertà, che l’ordinamento ha fatto proprio, è inestricabilmente intrecciato con il concetto di restrizione non significa considerare adeguati, tout court, gli strumenti che l’ordinamento impiega per attuare il bilanciamento dei valori costituzionali.
Nel presente studio si sono analizzati due settori dove l’intervento statale sembra non trovare un giusto equilibrio tra la protezione della libertà di espressione garantita dall’art.21 Cost. e gli altri diritti inviolabili garantiti dagli artt. 2, 3 e seguenti della nostra Costituzione: la cinematografia e Internet. Nel primo caso perché vige ancora una legge inattuale e insensibile ai cambiamenti della società, nel secondo perché l’originalità, la natura e l’ampiezza del nuovo mezzo, capace di muoversi senza limiti, in tempo reale, in tutto il mondo, hanno colto alla sprovvista le autorità, che non riescono ad afferrare e gestire il fenomeno della rete.
Di qualunque tipo saranno gli strumenti giuridici nuovi non potranno che confermare che in una società civile, dove i diritti dell’uno finiscono dove iniziano quelli dell’altro, sarà sempre e comunque necessario il bilanciamento tra opposti diritti, tra opposte esigenze. Uno degli strumenti più antichi dell’uomo, la bilancia, sarà sempre in grado di “pesare” diritti e doveri, anche quelli dell’uomo moderno.

Mario Virdis, matricola 30019800


BIBLIOGRAFIA

- P.Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione – Il Mulino, 2005
- P.Caretti, Le fonti della Comunicazione – “
- La Costituzione Italiana e Lo Statuto Speciale della Sardegna – Ediz. R.A.S. 1998
- A. Di Majo, I cinque codici con le principali norme complementari – Ed. Giuffrè –MI
- BARILE P., La libertà d'espressione del pensiero e le notizie false, esagerate e tendenziose , in Scritti di diritto costituzionale , Padova, 1967, 466;
- Bagnasco, Barbagli, Cavalli, Sociologia I – Milano Il Mulino 1997
- Bagnasco, Barbagli, Cavalli, Sociologia II – Milano Il Mulino 1997
- Sciolla Loredana, Sociologia dei processi culturali – Ed. Il Mulino 2002
- A. Giddens, Le conseguenze della modernità – Ed. Il Mulino 1990
- A. Giddens, Identità e società moderna – Il Mulino 1990
- N. Luhmann, La fiducia – Ed.Il Mulino 1990
- M. Castells, la nascita della società in rete – Università Bocconi
- S. Sileoni, Cinematografia e Internet a confronto – “
- D.Held, Governare la globalizzazione – Ed. Il Mulino Bo, 2005



SITI CONSULTATI IN RETE:

- http://www.dirittodellainformazione.it/
- http://www.digital-sat.it/
- http://www.cortecostituzionale.it/
- http://www.sdco.it/
- http://www.uniss.it/
- http://www.google.it/
- http://www.wikipedia.org/


[1] P.Barile, vedi bibliografia.
[2] Ora “Ministero dei Beni Culturali e Ambientali”.

sabato, luglio 21, 2007

PROGETTO " DALLA SCUOLA ALL'IMPRESA"










UN PROGETTO...FANTASTICO!!


DALLA SCUOLA ALL'IMPRESA:


UN AIUTO PER PASSARE DALLA TEORIA ALLA PRATICA.







SCUOLA D’IMPRESA:
IN AULA CON I MANAGER

UN PERCORSO GUIDATO DALLA SCUOLA ALLA PROFESSIONE




ABSTRACT

Dalla Scuola all'Impresa è un progetto che prevede la realizzazione di corsi para-universitari di preparazione al lavoro; è rivolto, per il primo anno di attivazione, ai laureandi e neolaureati della scuola specialistica della Facoltà di Scienze Politiche di Sassari, ma facilmente espandibile ad altre Facoltà, come Economia e Giurisprudenza.
Per quanto riguarda il corso, piano formativo non sarà basato su vere e proprie lezioni teoriche, ma si avvalerà di nuovi metodi di insegnamento. Il mondo del lavoro, infatti, entrerà nelle aule universitarie attraverso le esperienze e le conoscenze maturate dai docenti, al fine di rendere più vicina e meno complessa la realtà occupazionale.
Oltre al metodo, anche la figura del docente non sarà tradizionale; infatti questo ruolo sarà ricoperto da manager e professionisti provenienti dai numerosi Enti e Aziende aderenti all'iniziativa.
Gli insegnamenti avranno una natura multidisciplinare, soddisfacendo quindi un'esigenza comune a tutti i giovani neolaureati: comprendere e saper tradurre i meccanismi che lo inseriranno nella vita lavorativa. Il progetto servirà dunque ad unire il passato percorso di studi alla futura occupazione.





IL CONTESTO OPERATIVO DEL PROGETTO



La nostra proposta è nata dall'analisi del territorio sardo. In particolare abbiamo constatato che uno dei problemi di cui maggiormente soffre la regione Sardegna è la disoccupazione. Il progetto focalizza l'attenzione in maniera specifica sulla situazione lavorativa dei giovani laureati che difficilmente, terminato l'iter universitario, riescono a trovare piena occupazione.
La Sardegna, come illustra il grafico che segue, è tra le regioni con il tasso più basso di laureati inseriti nei settori lavorativi di indirizzo.

Per ovviare a ciò, considerando l'audacia del progetto, abbiamo ritenuto importante, per il primo anno di realizzazione, restringere il campo d'intervento del progetto al solo Ateneo di Sassari e in particolare alla Facoltà di Scienze Politiche. Questa scelta non è casuale, infatti, come risulta dal secondo grafico, la Facoltà di Scienze Politiche si posiziona, rispetto agli altri corsi di laurea, tra le ultime in relazione ai laureati che trovano un'occupazione consona all'indirizzo di studi appena concluso.

In relazione al progetto, i corsi saranno rivolti ai giovani laureandi e neolaureati in Editoria Comunicazione multimediale e Giornalismo, Scienze dell'Amministrazione e Scienze Politiche.
Dopo un riscontro positivo la proposta potrà essere sviluppata, allargando l'invito di adesione alle Facoltà di Economia e Giurisprudenza, sempre di questo Ateneo.



IDEA PROGETTO



Questa proposta nasce da un’esigenza elementare, in gran parte ancora oggi, in Sardegna, insoddisfatta: costruire un percorso guidato che raccordi il mondo dell'istruzione al mondo del lavoro. Ecco la ragione del nostro progetto: siamo fermamente convinti che la preparazione universitaria –tendenzialmente teorica–, non sia sufficiente per garantire allo studente il diretto ingresso nel mondo del lavoro; è necessario che, per raggiungere tale obiettivo, alla teoria si accompagni la pratica.
Va chiarito, fin da subito, che questo progetto non intende sostituirsi alle indispensabili lezioni didattiche tradizionali o agli stage e tirocini già previsti dallo statuto universitario, ma bensì intende diventare un'integrazione formativa per lo studente, poiché è perfettamente compatibile con la didattica esistente.
Il nostro progetto, che può essere definito anche “progetto cerniera”, nasce proprio da questo convincimento. Terminati gli studi universitari il giovane neolaureato ha una percezione di distacco e di lontananza dal mondo del lavoro, poiché Università in generale non prevede, un sostegno post-laurea che agevoli l'ingresso dell'ex studente nel mondo lavorativo.
Gli unici strumenti atti a questo scopo sono oggi lo stage e il tirocinio, i quali però, non aggiungono molto alla preparazione del soggetto, infatti è riscontrato che:
· Pochissime aziende hanno la possibilità di seguire lo stagista nel periodo di formazione;
· Le aziende, nonostante aderiscano ai progetti universitari di stage, spesso lo fanno senza un vero e proprio interesse, poiché, trattandosi nella gran parte dei casi di aziende pubbliche, lo stage non è mai finalizzato ad eventuali assunzioni.
· Gli stagisti, poco seguiti, impiegano gran parte del loro tempo in azienda, svolgendo lavori di routine poco qualificanti.
Considerato ciò, il nostro progetto intende supplire a questa mancanza avvicinando le Aziende all'Università, ovvero, portando i manager in aula.
I manager-docenti:
· saranno per la maggior parte appartenenti alla “Associazione Amici del Banco”,
· saranno affiancati da altri manager provenienti da aziende commerciali, industriali e di servizi, che apporteranno ulteriori conoscenze ed esperienze lavorative, maturate in altri contesti (la loro nomina verrà garantita da: Camera di Commercio, API Sarda e Associazione degli Industriali),
· saranno rigorosamente selezionati in base alle varie discipline ed alle conoscenze professionali possedute,
· metteranno a disposizione degli allievi, sotto forma di lezione didattica, le loro esperienze maturate nei differenti settori lavorativi,
· faciliteranno l'inserimento degli studenti nella realtà lavorativa, eliminando la percezione di distacco verso il mondo del lavoro.

I partecipanti al corso:
· saranno organizzati per gruppi per facilitare il processo di apprendimento,
· sotto la guida del manager di turno, si cimenteranno in varie simulazioni lavorative cercando di esprimersi autonomamente e di operare come nella vita lavorativa reale,
· acquisiranno le tecniche operative di un reale ufficio di marketing, di un ufficio legale, di un ufficio del personale, di un ufficio di relazioni con il pubblico, di un ufficio amministrativo, etc.

Le lezioni:
· si terranno in parte nelle aule messe a disposizione dalla Facoltà e in parte presso le Aziende di settore che aderiscono all'iniziativa,
· saranno obbligatorie per tutti i partecipanti,
· saranno suddivise per ambiti di competenza dei manager,
· prevederanno delucidazioni sulle vie d'accesso al mondo del lavoro come: tipologie di assunzioni, di contratti, accesso ai concorsi, normative etc.,
· comprenderanno simulazioni di vita lavorativa,
· forniranno ai corsisti gli atteggiamenti comportamentali da assumere nelle diverse circostanze lavorative in cui potranno trovarsi,
· offriranno chiarimenti di natura pratica, legislativa ed economica delle Aziende.



Alle lezioni in aula si affiancheranno le visite guidate all'interno di aziende, come centri operativi bancari, industriali e commerciali, dove gli studenti potranno apprenderne il funzionamento ed interagire con gli addetti ed i responsabili degli uffici visitati.




OBIETTIVI



Dalla Scuola all'Impresa è un progetto che intende perseguire diversi obiettivi contemporaneamente. Il loro raggiungimento dipenderà non solo dalla buona riuscita del progetto, ma anche, e soprattutto, dalle sinergie messe in campo per ottenerli.
Con questo lavoro intendiamo:
· Raccordare Università e Lavoro ;
· Fornire ai neolaureati gli strumenti che gli permetteranno un più agevole ingresso nella realtà lavorativa;
· Cambiare la percezione di distacco dei neolaureati dal mondo del lavoro;
· Creare una rete di collegamenti, di aperture, di conoscenze tra i vari Enti ed Aziende coinvolte nel progetto ed i corsisti;
· Dare ai neolaureati l'opportunità di conoscere e, non da meno, farsi conoscere dalle aziende interessate al progetto, le quali d'altro canto, avranno visione delle future risorse umane disponibili nel territorio;
· Arricchire la proposta formativa della Facoltà di Scienze Politiche, nonché dell'Ateneo di Sassari;
· Dare valore aggiunto alle opportunità di stage e tirocini;
· Incrementare il numero delle aziende aperte agli stage;
· Motivare i corsisti nel perseguimento delle proprie ambizioni;
· Coadiuvare i servizi offerti dal Centro Orientamento dell'Università.






PARTECIPANTI AL PROGETTO



Associazione proponente

Il soggetto proponente ed attuatore del progetto è L’Associazione Amici del Banco. L’associazione, che raggruppa i funzionari a riposo del “gruppo Banco di Sardegna” (Banco di Sardegna S.p.A., Banca di Sassari S.p.A., SardaLeasing S.p.A., ed altre minori del gruppo) mette a disposizione i propri funzionari e dirigenti, disponibili ad assumere il ruolo di docenti-manager. Questi sono stati scelti, oltre che per la loro capacità di dialogo con i giovani, soprattutto per l'esperienza lavorativa utile al corso, infatti sono: responsabili di uffici legali, direttori di dipendenze, responsabili di uffici del personale, di uffici commerciali, di uffici amministrativi, di marketing e di comunicazione.
Tutti i soggetti coinvolti ai lavori occuperanno un ruolo attivo nel progetto e beneficeranno dei suoi vantaggi.

I partner coinvolti

- Fondazione Banco di Sardegna – Sponsor/finanziatore del progetto;
- Associazione Amici del Banco – Soggetto proponente ed attuatore;
- Università degli Studi di Sassari – Partner principale del progetto;
- Banco di Sardegna S.p.A. – Partner ;
- Camera di Commercio, Industria Agricoltura e Artigianato di Sassari – Partner;
- Associazione degli Industriali della Provincia di Sassari (detta anche del “Nord Sardegna”) – Partner;
- API Sarda, struttura provinciale di Sassari – PartnerSoggetto proponente ed attuatore (capofila)

L’Associazione Amici del Banco svolge il ruolo principale nel progetto in quanto è sia proponente che l'attuatore dell'iniziativa.
L’associazione, nata senza finalità di lucro, persegue finalità di promozione sociale ai sensi della legge 7 dicembre 2000, n. 383. Costituita per consolidare i vincoli di amicizia tra i propri soci (in gran parte funzionari e dipendenti del gruppo Banco di Sardegna) nasce con scopi prevalentemente culturali atti a “mettere a disposizione delle istituzioni scolastiche e universitarie, mediante apposite intese organizzative promosse dall’associazione il ricco e composito patrimonio professionale e culturale dei dipendenti in pensione del Banco..” (cit. art. 2 dello Statuto). La sede legale di questa associazione è a Sassari in Via Molescott,16. Opera in tutto il territorio nazionale, ed in Sardegna ha una sezione operativa in ciascuna delle quattro province storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano.
Il suo ruolo è quello di “motore” dell’intera operazione. In diretto contatto con il Banco di Sardegna S.p.A., l'associazione è in grado non solo di fornire i manager/docenti ma anche di concordare visite guidate a strutture operative dell’azienda bancaria.

Università degli Studi di Sassari, partner principale del progetto. Al suo interno la Facoltà di Scienze Politiche è il partner principale del progetto.
Il suo ruolo nella realizzazione del progetto è indispensabile. In accordo con il soggetto proponente avrà il compito di concordare modalità e tempi di realizzazione del progetto all’interno della propria struttura.
Si occuperà della divulgazione del progetto agli studenti attraverso:
· il servizio Tutor presente all'interno della Facoltà ;
· il Centro Orientamento dell'Università di Sassari (sito in piazza Duomo,12), che si occuperà di segnalare il corso Dalla Scuola all'Impresa ai laureati degli anni precedenti tramite e-mail circolare;
· news informative, nel portale internet dell'Università (http://www.uniss.it/);
· manifesti, forniti dall'Associazione del Banco, che dovranno essere affissi alle bacheche e nei punti strategici più facilmente visibili dall'utenza.Banco di Sardegna S.P.A.




Partner

Il Banco di Sardegna S.P.A. è la struttura bancaria operativa del “Gruppo Banco di Sardegna”. Fino al 2001 le sue azioni sono appartenente per il 100% alla “Fondazione Banco di Sardegna”, la quale ha successivamente modificato il suo assetto societario cedendo la maggioranza del capitale sociale (51%) alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna.




Partner



La Fondazione Banco, oltre a sponsorizzare e finanziare il progetto, consente, anche, di ottimizzare le lezioni teoriche dei docenti-manager con visite guidate nelle sue strutture, infatti, il contatto dei giovani laureati o laureandi con i manager operativi nelle dipendenze consente di avere una percezione migliore delle realtà operative.




Partner



Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato di Sassari.
Altro partner nel progetto è la Camera di Commercio di Sassari. Le Camere di Commercio sono enti autonomi di diritto pubblico aventi sede nel capoluogo di ciascuna provincia. La Camera di Commercio appartiene alla categoria degli enti locali non territoriali, in quanto il territorio non ne è elemento costitutivo ma rappresenta solo l’ambito spaziale di delimitazione delle sue funzioni, ed è altresì dotata di autarchia, ovvero della capacità di porre in essere atti amministrativi aventi gli stessi caratteri e la stessa efficacia di quelli dello Stato. La sua autonomia è riconosciuta dalla legge di riordino n. 580 del 1993.
Il suo ruolo è quello di coinvolgere tutte le aziende associate all'iniziativa e porre le basi di contatto con i soggetti migliori partecipanti al corso.




Partner



Associazione Industriali della Provincia di Sassari.
Altro partner importante del progetto è l’Associazione Industriali del Nord Sardegna. L’associazione ha sede a Sassari in “Villa Mimosa”, via IV novembre. L’associazione raggruppa e rappresenta le aziende industriali del Nord Sardegna.
Il suo ruolo nel progetto è quello di raccordare le aziende con i giovani laureati e laureandi per un utilizzo nelle strutture aziendali: tra i suoi scopi, infatti, c'è quello di “promuovere la formazione e la cultura imprenditoriale e professionale...”. Oltre alla funzione di raccordo l’associazione prevederà degli stage in aziende socie per i migliori partecipanti al corso.




Partner



API SARDA, Associazione Piccole e Medie Imprese della Provincia di Sassari.
L’API Sarda sostiene gli interessi delle piccole e medie imprese, le rappresenta nelle sedi in cui si definiscono le dinamiche di formazione delle leggi e delle politiche economiche, promuovendo il coinvolgimento delle stesse in progetti di sviluppo sulla base dei bisogni che il territorio manifesta. L’API sarda ha sede a Sassari in piazza d’Italia, 34.
Il suo ruolo all’interno del progetto è similare a quello svolto dall’Associazione degli Industriali. Anche questa struttura, oltre che propagandare presso le aziende associate l’iniziativa, potrà monitorare i risultati e stabilire, per i migliori partecipanti, stage o altre forme di collaborazione con i neo laureati.




Fondazione Banco di Sardegna – Sassari, Sponsor/finanziatore del progetto

La Fondazione, originariamente “proprietaria” del 100% delle azioni della neonata SPA bancaria, è oggi, dopo la necessaria vendita del pacchetto di maggioranza (51%), titolare del restante pacchetto azionario, pari al 49%. L’aver voluto individuare lo sponsor-finanziatore nella Fondazione Banco di Sardegna non è casuale. La Fondazione trae origine dal conferimento dell’azienda Banco di Sardegna, costituito con legge 11.4.1953 nel Banco di Sardegna S.p.A., ai sensi della legge 30.7.1990 n. 218 e del decreto legislativo 20.11.1990 n.356. Questa proprietà consente alla Fondazione l’incasso annuale della quota parte degli utili dell’azienda bancaria. Recita lo Statuto all’art.4: “..La Fondazione persegue esclusivamente scopi d’utilità sociale di promozione dello sviluppo economico della Sardegna, intervenendo nei seguenti settori rilevanti: ricerca scientifica e formazione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, sanità ed assistenza alle categorie sociali deboli..”. Questa funzione è esercitata attraverso la “ assegnazione di contributi o finanziamenti a progetti e iniziative altrui, oppure mediante la promozione di propri progetti o proprie iniziative anche in collaborazione con altri soggetti”, come indicato all’art. 5 dello Statuto.
Il suo ruolo all’interno del progetto si svolge armonicamente con gli altri partner, in particolare con l’Associazione Amici del Banco. Il suo compito, quindi, non è solo quello di finanziare economicamente l’iniziativa ma anche quello di creare intorno al suo polo bancario quelle attenzioni strategiche date da una vasta clientela potenziale, domani in grado di mantenere la redditività dell’azienda Banco di Sardegna e delle collegate.







RISULTATI ATTESI



· Partecipazione all'iniziativa, quantificata per la prima edizione, in un numero compreso tra 60/100 unità. Questo dato si considera approssimato per difetto, considerato l’insufficienza di iniziative similari in proporzione e al numero dei potenziali iscritti.
· Adesione di un numero compreso tra le 20 e le 50 aziende, in considerazione dei dati e delle ricerche dei partner Confindustria e Api Sarda.
· La continuità del progetto nei cicli successivi con relativi miglioramenti;
· L’estensione di tale format alle altre facoltà dell’Ateneo sassarese, nonché la sua esportazione agli altri Atenei regionali.
-Estensione del progetto ad altre aree.

Il corso presenta delle peculiarità specifiche studiate per estendere, fin dalla II edizione, il format ad altre facoltà con indirizzo giuridico, economico e politico-sociale dell'Ateneo sassarese;
Inoltre il progetto è perfettamente replicabile con gli stessi partner istituzionali presenti nella provincia, quindi sarebbe facilmente esportabile non solo al livello regionale ma anche a livello nazionale.
Questa sua flessibilità è data dalle sue caratteristiche semplici ma allo stesso tempo importanti che rispondono pienamente all’esigenza diffusa di raccordare studio e professione.










PROGETTAZIONE DELL'EVENTO



Il corso, della durata prevista tra i tre e i quattro mesi, si svolgerà presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Sassari, ipoteticamente, tra marzo e giugno 2008.
Per la sua realizzazione sono necessari, esaurita la fase di predisposizione del lavoro tra i partecipanti, una serie di adempimenti che si possono, in sintesi, cosi riepilogare:
· disponibilità di almeno 3 o 4 aule, per un periodo di mesi quattro;
· disponibilità di 10-15 manager per ricoprire il ruolo docente;
· preparazione del materiale didattico necessario;
· diffusione (comunicazione) dell’evento;
· predisposizione degli strumenti di verifica.








AZIONI E TEMPI DI REALIZZAZIONE




Attivazione di una rete di contatto con gli enti di riferimento al fine di proporre il progetto e portare alle eventuali adesioni e suggerimenti. Settembre 2007- Novembre 2007

Assemblaggio e organizzazione dei corsi rendendo operanti i contatti tra Facoltà e Amici del Banco: Novembre2007-Dicembre 2007

Promozione dell’iniziativa : mass media, cartellonistica: Dicembre 2007- Febbraio 2007

Incontro-evento: Febbraio 2008

Raccolta iscrizioni e inizio corsi:Febbraio 2008- Marzo 2008




Svolgimento corsi ,attivazione monitoraggio: Marzo 2008-Maggio 2008

Avviamento delle visite guidatenelle aziende aderenti: Maggio 2008-Giugno 2008

Relazione di fine corso: Giugno 2008.





METODI DI VERIFICA



Per verificare la funzionalità ed il gradimento del corso saranno attivate, in itinere, delle azioni di monitoraggio al fine di apportare miglioramenti alla didattica a alle risorse attivate. Queste dovranno, in particolare, accertare:
- La validità del metodo didattico seguito;
- L’interesse dei partecipanti al corso, verificabile con le percentuali di presenza alle singole lezioni;
- l'adesione e l'interesse delle singole aziende.
L’Università, mediante la distribuzione di questionari ai partecipanti, accerterà sia la partecipazione, che il gradimento del corso.
L’esito sarà portato a conoscenza dei partner e delle aziende coinvolte nel progetto. La partecipazione e il gradimento al corso saranno fondamentali per l’accreditamento del format e la sua validità. L’istituzione del “forum”, presente nell’apposito sito della Facoltà, inoltre consentirà di testare il gradimento del corso e di accogliere suggerimenti, per il costante miglioramento sia della didattica che delle fasi operative. Anche l’utilizzo più o meno intenso del Blog del corso, darà un feed-back importante.










PIANO DI COMUNICAZIONE



Essendo nuovo per il contesto prescelto, il progetto ha necessità di essere ampiamente propagandato.
Per quanto riguarda il coinvolgimento delle aziende ci sarà una capillare diffusione dell'iniziativa portata avanti dai partner-sostenitori. Camera di Commercio, API Sarda e Associazione degli Industriali si occuperanno, infatti, di diffondere il progetto all’interno della propria struttura. Inoltre le aziende, attraverso le newsletter mensili, saranno costantemente aggiornate e potranno, attraverso i “forum” attivati nei siti di riferimento, partecipare con suggerimenti e proposte.
Per quanto riguarda invece il coinvolgimento dei corsisti particolarmente importante sarà il ruolo dell’Ateneo. Uno degli strumenti di comunicazione sarà l’istituzione di un TUTOR del Corso, che avrà il compito principale di informare i partecipanti sulle modalità del corso.
Un altro supporto d'informazione è il Centro Orientamento dell'Università, che si occuperà di integrare il corso Dalla Scuola all'Impresa tra le sue proposte formative post-laurea.
Inoltre è prevista una campagna di sensibilizzazione ed informazione su tutto il territorio interessato: il nord Sardegna.
A questo scopo il progetto prevede:
- l'affissione di cartellonistica (allegato A) mirata ad incentivare l’adesione degli studenti. Tale supporto comunicativo, consistente in due diversi manifesti, sarà diffuso strategicamente nella Facoltà di Scienze Politiche, per la città di Sassari e nei centri importanti della Provincia, ;
- gli annunci promozionali, da diffondere attraverso TV e radio locali, saranno programmati nell’imminenza dell'inizio delle lezioni. L’ampiezza degli spazi in radio e TV sarà necessariamente compatibile con l’importo del finanziamento disponibile;
- la realizzazione di un sito internet, al quale gli studenti potranno accedere tramite un apposito link inserito nel sito della Facoltà: http://www.uniss.it/
- la creazione di un Blog del corso, realizzato dagli studenti e dal “Tutor di riferimento”, che consentirà una costante comunicazione tra studenti e partner del progetto, nonché con le aziende partecipanti. Il Blog conterrà i link utili al progetto.
- un incontro-evento, da realizzarsi nel mese precedente l'inizio dei corsi, è previsto fra studenti, Enti e associazioni coinvolte, in cui saranno spiegate le definite caratteristiche dell'iniziativa, con la presentazione dei docenti-manager e dei soggetti ed Enti aderenti.



PIANO FINANZIARIO



Il progetto, pur nella sua apparente complessità non prevede costi proibitivi. L’idea di coinvolgere strutture che, per loro natura, svolgono un ruolo istituzionale funzionale all’istruzione ed alla cultura, agevola costi e difficoltà operative. La Fondazione Banco di Sardegna, come detto, ha fra i suoi compiti principali quello di operare in campo culturale e didattico; L’Associazione Amici del Banco ha anch’essa scopi culturali e non-profit, in particolare quella di mettere a disposizione delle Istituzioni scolastiche e Universitarie il proprio patrimonio di conoscenze professionali e culturali che svolge in stretta collaborazione con la Fondazione Banco.
I costi del progetto sono stati quantificati in Euro 100.000,oo (centomila), cosi suddivisi:

Rimborso all’Università di Sassari..................................................... € 30.000,oo;




Rimborso spese all’Associazione Amici del Banco per l’utilizzo dei propri soci/docenti per quattro mesi (20 gg al mese per 4 ore al giorno) e circa 400 ore di lezione.................................................................................................... .€ 30.000,oo;




Spese di pubblicità murale (in tre periodi).........................................€ 20.000,oo;




Spese di pubblicità in radio e TV locali (tre periodi).........................€ 20.000,oo;




Totale..................................................................................................... €100.000,oo


IL GRUPPO DI LAVORO:

Stefano Chessa, Alessandro Kamel Hassan, Francesca Pala, Mario Virdis.

Allegato A (Manifesto 1)
Allegato B (Manifesto2)






venerdì, maggio 18, 2007

"ROTARY SHARES": L'AMICIZIA ROTARIANA E' SOPRATUTTO CONDIVISIONE






Oristano 14 MAGGIO 2007 -articolo per Voce del Rotary


50^ ASSEMBLEA DISTRETTUALE – ROMA 12 e 13 MAGGIO 2007
RIFLESSIONI DI UN PRESIDENTE…RIPETENTE



Credo molto nell’amicizia. Sono entrato nel Rotary con la convinzione che l’amicizia e l’etica sono e saranno sempre i pilastri basilari della nostra associazione. La definizione che esprime meglio il mio concetto di amicizia è quella data da J.M. Reismann: “…amico è colui a cui piace e che desidera fare del bene ad un altro e che ritiene che i suoi sentimenti siano ricambiati…”. Questa amicizia presuppone già di per se uno scambio, una condivisione.
Uno dei modi eccellenti, poi, per rafforzare l’amicizia è quello di frequentarsi, mettere insieme le proprie conoscenze ed esperienze, affinando, incontro dopo incontro, la conoscenza l’uno dell’altro o dell’altra. Francesco Alberoni, a questo proposito, dà una ulteriore particolare definizione dell’ amicizia, definendola “una filigrana di incontri”, che “si rinnova ad ogni nuovo incontro migliorandosi e completandosi”.
La mia partecipazione alla 50^ Assemblea del nostro Distretto è stata, quest’anno, in qualità di Presidente Incoming del mio club, quello di Oristano. Questo incarico, che mi accingo a portare avanti per la terza volta, destava una certa curiosità: in una squadra che si preparava ad apprendere i segreti del comando, della leadership, ero un presidente..ripetente! Mi sentivo, quasi un alunno che non aveva superato gli esami e giocoforza doveva ripetere.
Leggevo negli occhi dei tanti amici che mi salutavano e mi abbracciavano affettuosamente sensazioni diverse. In alcuni era semplice curiosità, in altri stupore, in altri ancora comprensione, per il peso che la responsabilità comporta. In tutti, invece, una certezza: se il club tornava su un vecchio presidente attraversava un momento poco favorevole: mancava, quindi, di quell’armonia necessaria al suo buon funzionamento. Detto con una sola parola mancava, all’interno del nostro club, l’armonia e la responsabilità della condivisione.
Si, cari amici, il Rotary è condivisione! Il motto del prossimo anno rotariano “ Rotary Shares”, vuole ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, che il Rotary è condivisione. Questo significa non solo condividere la nostra esperienza, la nostra capacità, il nostro sapere mettendolo al servizio degli altri, ma anche condividere, all’interno del nostro club, il carico degli impegni di servizio: nessuno, salvo particolari motivi temporali o logistici, può declinare la chiamata alle varie cariche necessarie per il buon funzionamento del suo club.
Perché questo avvenga c’è innanzitutto il bisogno, la necessità, di una oculata scelta dei nuovi soci. Il candidato socio non deve essere solo un professionista, un imprenditore di fama, ai vertici della sua categoria, ma soprattutto deve possedere quello che comunemente viene definito “spirito rotariano”. Il suo modo di vivere, di operare nella sua azienda e nella società, deve già essere improntato ai principi che ispirano il Rotary. In sintesi deve essere già un rotariano in pectore. In tutti i nostri club la scelta di un nuovo socio dovrebbe partire non dalla fama raggiunta nella professione dal candidato, ma della sua disponibilità al servizio, dall’attenzione agli altri, dalla sua capacità e disponibilità al lavoro di squadra, in sintesi dalla sua capacità di condivisione.
Un sentito grazie al Presidente Eletto Wilkinson che ha voluto dare al suo anno una connotazione forte di condivisione (in inglese to share ha un significato ancora più marcato di dividere con gli altri, distribuire) del nostro grande patrimonio rotariano.
Ho apprezzato molto l’interpretazione che ne ha fatto il nostro Governatore Franco Arzano nella sua relazione programmatica e che voglio riportare: “…Ciò che accomuna i rotariani di tutto il mondo è infatti la volontà di condividere: condividere il loro tempo, le loro capacità, la loro esperienza e le loro risorse finanziarie: il tutto per realizzare progetti che, affrontando un ampio spettro di problematiche sociali ed umanitarie, mettono a fattore comune la loro comprensione, il loro entusiasmo e la loro dedizione per assistere i più bisognosi e fare del mondo un posto migliore….”.
La condivisione del tempo e delle capacità di ciascuno di noi significa non solo dare risposte all’esterno, ma anche assumersi tutte le responsabilità ed i ruoli che la nostra Organizzazione comporta.
Grazie dell’attenzione.
Mario Virdis

mailto:virdismario@tiscali.it




venerdì, maggio 11, 2007

GLI ARTIGLI DEL MINOTAURO DELLA GLOBALIZZAZIONE








UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN EDITORIA, COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE E GIORNALISMO




IL LABIRINTO DEL TERZO MILLENNIO: DEDALO, TESEO E IL FILO DI ARIANNA CONTRO IL MINOTAURO DELLA GLOBALIZZAZIONE





SAGGIO DI MARIO VIRDIS, matricola 30019800
Esame di: PROBLEMI DELLA GLOBALIZZAZIONE
DOCENTE PROF. GUNTER BECHTLE

INDICE

In copertina e nelle pagine interne:
Labirinti a confronto: Ieri e…oggi!
- Indice………………………………………………………………………pag. 2
- Premessa …………………………………………………………………. pag. 3
- La globalizzazione………………...…… .. .……………………..………. pag. 5
- Intervista a U.Beck di Danilo Zolo….….…………………………………pag. 9
- Conclusioni……. ……………………………..………………………..….pag. 14
- Bibliografia…………………………………………… …………………..pag. 15
- Note………………………………………………………………………...pag. 16





















PREMESSA

Non sono uno che solitamente la notte sogna. Inoltre, se anche fosse, al risveglio il ricordo del sogno è svanito. L’altra notte, complice il primo caldo estivo, ho sognato e stranamente ricordo perfettamente tutto; forse perché era un sogno-incubo. Mi trovavo in una città sconosciuta. Correvo a perdifiato inseguito da non so bene chi e perché. La città era affollata ma nessuno badava a me ed alla mia angoscia. Sempre di corsa imboccai uno stretto viale alberato che finiva in una piccola radura circolare con delle panchine e degli alberi alti, potati geometricamente. Mi fermai a riprendere fiato; dalla radura partivano diversi sentieri, stretti e limitati da arbusti verdissimi. Con il cuore in gola (calavano le prime ombre della sera), ero indeciso sul sentiero da prendere; sentivo dietro di me rumori e voci: forse erano quelle dei miei inseguitori. Ripresi la mia corsa scegliendo a caso uno dei sentieri che, però, subito dopo si sdoppiava: dovevo decidere quale prendere. Non c’era tempo da perdere, ne presi uno, sempre di corsa. Il cuore martellava dentro il mio petto, ma non mollai. Arrivai ad un’altra radura con altre panchine ma non potevo fermarmi. Le ombre cupe della sera cominciavano ad avvolgere la vegetazione e la mia paura aumentava, perché dalla radura partivano altri sentieri: ero disperato. Iniziai a piangere con la convinzione di essere perduto. Le voci ed i rumori diventavano sempre più presenti: i miei inseguitori si avvicinavano, sentivo anche un abbaiare furioso. Che fare? Nascondersi? Impossibile! Lottare? Ero stanco e disarmato e gli altri chissà quanti erano! Dovevo riprendere a tutti i costi la corsa, tentare il tutto per tutto, ma le mie gambe si rifiutavano di camminare, erano diventate come di piombo. Gli inseguitori erano vicini ed io nulla potevo contro questo nemico che ancora non conoscevo. Era arrivata la fine? A denti stretti ripresi con uno sforzo sovrumano la corsa: ormai era buio. Il sentiero scelto era in discesa, cercai di correre, forse anche con gli occhi chiusi. Calpestavo il sentiero con il passo ormai pesante per la fatica, finche i miei piedi non sentirono più la ghiaia del terreno: stavo precipitando nel vuoto! Una terribile sensazione di angoscia accompagnata dalla paura della morte. All’improvviso il risveglio, grondante di sudore, con il cuore che batteva ancora all’impazzata: fortunatamente era solo un sogno!
Impiegai del tempo a riprendermi. Era ancora presto e restai un po’ a letto. Le immagini del sogno scorrevano lentamente come nel rivedere un film. Ad occhi chiusi cercai di capire se era solo frutto di un incubo, causato da una cena abbondante, oppure se nell’inconscio avevo dato corpo alle mie paure, alle mie ansie, alle mie inquietudini.
Vi erano tanti simboli che, messi insieme, potevano dare una risposta ai miei dubbi. La mia corsa trafelata era forse una fuga da qualcosa che non accettavo? I pericoli indefiniti dai quali cercavo di fuggire erano, forse, i nuovi rischi, le nuove incertezze che quotidianamente ci angosciano? Credo proprio di si. Io che ho vissuto, in parte, la prima modernità (sono nato nel 1945 ed ho conosciuto sia il “fordismo” che il “post-fordismo”) subisco più degli altri, più giovani, gli effetti della rivoluzione in atto: uno “tsunami” che, pur in assenza di guerre e sangue, ha spazzato via un castello di certezze. Nel sogno la città sconosciuta, dove correvo, era animata da una triste moltitudine anonima che non si curava degli altri: nessuno si preoccupava delle mie paure, l’egoismo aveva ucciso la solidarietà; il sorriso e la fiducia erano stati spazzati via dall’indifferenza e dall’individualismo. La mia fuga nel sogno finisce, poi, nel “labirinto”. Anche in passato il labirinto ha rappresentato per l’uomo la difficoltà a trovare soluzione ai suoi mali. Nel mio sogno quale il reale significato del labirinto? Era la materializzazione delle mie difficoltà a trovare soluzioni nuove, strade nuove, alla mia vita? Forse. Infine il mio volo nel vuoto: credo che rappresentasse l’assenza di soluzioni ai problemi. Il futuro nella società globale del rischio fa, davvero, tanta paura. Credo a tanti, non solo a me. Ma la speranza non può e non deve mancare.











LA GLOBALIZZAZIONE


La globalizzazione è un termine complesso, che all’origine indicava non tanto l’attuale fenomeno di mondializzazione dei processi ( economici, politici, culturali, etc.) quanto, come definisce il dizionario della lingua italiana (Devoto – Oli ediz. 1987), quel “ processo di percezione e acquisizione prima sincretica e poi analitica, tipico della psiche del fanciullo”. Globalizzazione, quindi, come processo di percezione ed acquisizione di un nuovo modo, oserei dire “rivoluzionario” , di trasformazione socio-economica.
Ma come è arrivato il mondo a questa rivoluzione silenziosa, senza spargimento di sangue, che per impatto deflagrante può essere paragonata alla Rivoluzione Francese ed alla Rivoluzione industriale ottocentesca? Vediamo di capirne il perché.
La crescita socio-economica dell’uomo è un cammino senza fine. Nessun traguardo è visto come punto d’arrivo, semmai come punto di partenza per nuove conquiste.

1.1 IL RISCHIO COME IPOTESI DI LAVORO

Che cos’è il Rischio? L’eventualità che si verifichi qualcosa di negativo, o la possibilità di esporre qualcosa di positivo ad un danno, è definita come rischio. [i]
Luhmann ci fa sapere che l’origine della parola è sconosciuta (1991). Come si può notare, il rischio è un concetto che associa due elementi fondamentali: il primo è la probabilità che un determinato evento si verifichi, l’altro elemento è la conseguenza dell’evento.Con il passare dei secoli, il termine, da una valenza neutra, ha però assunto una connotazione via via più oppositiva.
Nella società contemporanea, la parola rischio identifica situazioni ed eventi ai quali sono associati elementi negativi capaci di compromettere più o meno gravemente la stabilità, la sicurezza o l’incolumità di un oggetto o di una persona. Il rischio, allora, esprime il prodotto della probabilità che un evento dannoso possa verificarsi per l’intensità delle conseguenze dannose stesse.
Ad oggi, l’uomo occidentale ha raccolto con successo un numero crescente di sfide settoriali per aumentare la sua sicurezza e il suo benessere. Ma ha prodotto situazioni inedite dagli sviluppi difficilmente prevedibili, che possono fungere da moltiplicatori esponenziali di rischio. Infatti, anche se certi importanti risultati sono stati ottenuti grazie ai processi posti in atto dalla civiltà occidentale, la vita umana sulla Terra non è in assoluto diventata meno fragile e precaria di un tempo. I successi ci sono, ma sono stati ottenuti a prezzo di crescenti squilibri, e non è dimostrato che mutamenti di aspetti circoscritti della vita, favorevoli all’uomo, non producano opposti effetti d’insieme. Più che di successi propriamente detti, si tratta di trasformazioni strutturali della società contemporanea, e cioè un travaso, un passaggio, dai rischi esterni (i pericoli) ai rischi prodotti.
A confermare questi assunti ci vengono in aiuto alcuni autori. Giddens afferma che i pericoli sono considerati eventi non determinati dalle scelte individuali ma da fattori per così dire esterni (Giddens,1990), indipendenti, dalla volontà degli uomini e sono propri della società industriale[ii].
Secondo il sociologo tedesco Ulrich Beck, caratteristica delle società contemporanee[iii] è l’attenuarsi dei problemi di disuguaglianza inerenti la mera distribuzione delle risorse e delle opportunità. Tuttavia, i sistemi sociali contemporanei, sembrano caratterizzati da situazioni segnate da vulnerabilità diffusa. Egli giunge a questa conclusione analizzando due periodi storici consecutivi che, tipizzandoli, definisce rispettivamente come prima modernità e seconda modernità. La prima modernità è un’epoca «caratterizzata da modelli di vita collettivi, piena occupazione, Stato nazione e Stato sociale, rimozione e sfruttamento della natura» (Beck, 1999, trad. it. 2000, p. 27). Le premesse che stanno alla base di questo modello riguardano essenzialmente la negazione di determinati diritti fondamentali, un sistema corporativistico chiuso e classista e un’organizzazione locale delle economie dei singoli paesi.
E’ l’epoca della società industriale.
La seconda modernità, invece, è «caratterizzata da crisi ecologiche, diminuzione del lavoro salariato, individualizzazione, globalizzazione e rivoluzione dei ruoli tra uomo e donna» (ibidem, p. 27). Individualizzazione intesa come “flessibilità e soggettivizzazione del lavoro”, come viene definita da Gunter Becthle [iv]. Ecco la sua definizione di uomo flessibile:
“…occorre creare l’uomo flessibile, che sia all’altezza della forza rivoluzionaria del capitalismo digitale di oggi. La parola flessibilità si basa sul suo carattere ambiguo, sfruttabile in favore di tanti interessi diversi.. La stessa terminologia mostra la molteplicità di definizioni e interpretazioni che possono essere fornite al riguardo: flessibilità, significa malleabile,arrendevole, elastico, duttile, piegabile e cosi via. Eppure la flessibilità può essere letta secondo altre chiavi di lettura, in particolare se la si concepisce come una forma di potere. Questo potere diventa legittimo attraverso un processo di comunicazione, che porta l’individuo a percepire se stesso in maniera autonoma, in modo da contribuire alla flessibilità del sistema. Ciò che viene comunicato sono le capacità del singolo che hanno carattere generico, astratto, extra-funzionale, come affermato dai sociologi del lavoro. L’individuo deve avere la capacità di assumersi responsabilità, con lo scopo di prevedere errori, di intuire uno sviluppo non programmato. In fondo si tratta di un processo di razionalizzazione, in cui gli interessati appaiono come gli attori principali. Si può affermare che la flessibilità parte da un mutamento che ha coinvolto il paradigma fordista, caratterizzato dalla relativa rigidità organizzativa, a favore di una relativa elasticità dei vari modelli post-fordisti….”.
Alla schiera di “colletti bianchi” e “tute blu” si sostituisce, oggi, il “jolly”, individuo capace, multiforme, un “global player” capace, formato, informato e individualista. E’ lui il nuovo “superman” capace di giocare in tutti i ruoli e di arrivare alla meta. Non più organizzazione piramidale ma orizzontale, non più rendite di posizione, ma obiettivi e risultati nuovi, ogni giorno.Ne consegue che va in crisi il modello della piena occupazione e con esso lo Stato Sociale, vi è un affrancamento dalle forme e dalle attribuzioni dei ruoli tradizionali, ci si allarga verso mercati globali, esponendosi a rischi globali. Finisce la «sicurezza un tempo associata allo status, alla gerarchia, alla burocrazia, alle carriere preordinate e alle occupazioni fisse» (Bauman, 2002, trad. it. 2003., corsivo mio). E’ l’epoca della società postindustriale.

1.2 ANALISI DELLA GLOBALIZZAZIONE

Globalizzazione e rischio sono, dunque, strettamente collegati. Come strettamente legati sono economia, politica, cultura. La globalizzazione, pur riguardando in primis il processo di accumulazione del capitale non si limita a questo campo. Gli attori principali sono le multinazionali degli Stati Uniti, del Giappone e dell’Unione Europea, che hanno operato ed operano in maniera transnazionale e trasversale sul mercato per ottenere maggiori profitti su scala mondiale. Questa politica del guadagno ad ogni costo, del raggiungimento del massimo risultato con il minimo sforzo ha necessità, per autoalimentarsi, per il conseguimento del risultato, di influenzare e di condizionare le politiche degli Stati. Non solo. Il potente condizionamento, anch’esso “globale” non si limita alla politica ma avvolge, in una spirale da “boa conscrictor” ogni altro aspetto della società: famiglia, cultura, lavoro. L’organizzazione del lavoro, come intesa fin’ora, dovrà essere totalmente ripensata in quanto lo Stato, limitato entro i propri confini, non può più dettare regole ad imprese che ormai operano fuori dai suoi confini, in ambiti ben più ampi, con la conseguenza di aggirare con la loro influenza ogni barriera. Lo Stato, al contrario, viene spinto a diventare minimale, rispetto al potere economico, sempre più ampio, che le multinazionali hanno acquisito grazie alle possibilità di produrre ovunque nel mondo, dove la manodopera costa meno. E’ un ritorno allo schiavismo del passato che riporta alla mente le tristezze dei campi di cotone americani dei secoli scorsi. Il potere dei singoli Stati è ogni giorno falcidiato dalle sempre minori entrate fiscali, stante la continua de-localizzazione delle sedi fiscali delle potenti società. E’ la fine delle molte certezze, conquistate a caro prezzo, di tutte quelle garanzie sociali che prima lo stato poteva assicurare con le precedenti entrate; è la fine del Welfare State, ormai troppo costoso da mantenere.
Globalizzazione non è un termine che viaggia da solo: altre denominazioni gli sono vicine e rappresentano dei punti di vista diversi che spesso vengono usati in maniera impropria. Sono almeno tre i termini che ruotano con sfumature diverse ma che sinonimi non sono: globalismo, globalità e globalizzazione.
Globalismo è la corrente che crede che la globalizzazione abbia una dimensione solamente economica, impossibile da influenzare, e che il mercato si regoli da sé nel miglior modo possibile: pertanto lo stato deve diventare minimale, e lasciare che l'economia e la società si autoregolino da sé. Ne deriva il Globalismo opposto, che pur restando convinto del predominio del mercato, vuole sottrarvisi con barriere protezionistiche: nere (per motivi economici), verdi (poiché lo stato è la sola istituzione a garantire il rispetto dell'ambiente e pertanto va protetto), rosse (motivate dal bisogno di dimostrare la bontà delle affermazioni di Marx: il mercato schiaccerà la società). La Globalità è la percezione di vivere in una società globale. Dando per scontata la fine dell'equazione “cultura = stato” – tipica della prima modernità – che vedeva più società separate dai confini, si pone ora una società globale in cui coesistano più culture, a formarne una sola. La seconda modernità inoltre vede lo stato e le istituzioni classiche inadeguate a contrastare la potenza degli attori transnazionali. La Globalizzazione è il processo irreversibile per cui gli stati (attori nazionali) perdono importanza rispetto ad attori transnazionali. Attori internazionali sono invece quelli limitati ad una sola parte del globo. La società non è più limitata in uno stato, ma al globo.



INTERVISTA A ULRICH BECK DI DANILO ZOLO[v]

Ulrich Beck nel suo libro Società del Rischio, apparso in Germania nel 1986, aveva già ben identificato le rilevanti differenze fra la prima e la seconda modernità. Nel suo successivo libro Was ist Globalisierung?, uscito nel 1999 ed edito in Italia dall’editore romano Carocci, continua l’analisi sui successivi sviluppi della globalizzazione. Intervistato dal giurista italiano Prof. Danilo Zolo alla fine del 1999 all’atto dell’uscita in Italia del libro, ha ulteriormente chiarito il suo concetto sulla società globale del rischio.
Ho estrapolato dalla lunga intervista le più importanti risposte che tendevano a mettere in luce il pensiero di Beck sullo stato attuale del fenomeno e, soprattutto sulla sua futura evoluzione. Ecco le risposte più significative ed in sintesi il nocciolo delle domande.
Alla domanda di Danilo Zolo sulla sua ipotesi di profonda continuità tra i suoi libri precedenti e l’ultimo scritto ha risposto:
“…È vero. Nel mio libro Società del rischio, che è apparso in Germania nel 1986, avevo proposto la distinzione fra una prima e una seconda modernità. Avevo caratterizzato la prima modernità nei seguenti termini: una società statale e nazionale, strutture collettive, pieno impiego, rapida industrializzazione, uno sfruttamento della natura non 'visibile'. Il modello della prima modernità -- che potremmo anche chiamare semplice o industriale -- ha profonde radici storiche. Si è affermato nella società europea, attraverso varie rivoluzioni politiche ed industriali, a partire dal Settecento. Oggi, alla fine del millennio, ci troviamo di fronte a ciò che io chiamo 'modernizzazione della modernizzazione' o 'seconda modernità' od anche 'modernità riflessiva'. Si tratta di un processo nel quale vengono poste in questione e divengono oggetto di 'riflessione' le fondamentali assunzioni, le insufficienze e le antinomie della prima modernità. E a tutto ciò sono collegati problemi cruciali della politica moderna. La modernità illuministica deve affrontare la sfida di cinque processi: la globalizzazione, l'individualizzazione, la disoccupazione, la sottoccupazione, la rivoluzione dei generi e, last but not least, i rischi globali della crisi ecologica e della turbolenza dei mercati finanziari. Penso che si stiano affermando un nuovo tipo di capitalismo e un nuovo stile di vita, molto diversi dalle fasi precedenti dello sviluppo sociale. Ed è per queste ragioni che abbiamo urgente bisogno di nuovi quadri di riferimento sia sul piano sociologico che su quello politico…”.

Alla successiva domanda sulle sue opinioni ottimistiche o pessimistiche, sui dilemmi, insomma, della globalizzazione, Beck risponde:
“..No, non parlerei di ottimismo ... Come si può essere ottimisti di fronte all'attuale situazione del mondo? Ma d'altra parte, come si fa ad essere soltanto pessimisti? Il mondo che ci sta di fronte è carico di paradossi che non possono non renderci perplessi. Dobbiamo liberarci da alcune certezze antropologiche del passato e nello stesso tempo tentare di costruire, in mezzo ad una quantità di contraddizioni e di rotture, linee di coerenza e di continuità. Speranza e disperazione non possono non intrecciarsi nella nostra esperienza. Guardiamo ad esempio all'Europa. Un secolo buio, nel quale abbiamo avuto due sanguinose guerre mondiali, l'Olocausto, il fascismo e l'imperialismo comunista è finalmente al tramonto e sta lasciando il posto alla prospettiva di un'Europa democratica da costruire nei prossimi anni. Non sono queste ragioni sufficienti per essere ottimisti e pessimisti nello stesso tempo?..”.

Ad un certo punto dell’intervista Zolo chiede a Beck: “…quali argomenti opponi a chi sostiene che i processi di globalizzazione tendono a gerarchizzare ulteriormente i rapporti internazionali ponendo al vertice del potere e della ricchezza un direttorio di potenze industriali, anzitutto gli Stati Uniti, l'Unione Europea e il Giappone…”.

Risponde Beck:
“…C'è una forte tendenza a porre il segno di equazione fra globalizzazione e americanizzazione o persino fra globalizzazione e nuovo imperialismo. Ma questa non è tutta la verità. Ci sono prove evidenti che la globalizzazione diviene sempre più un fenomeno decentrato, non controllato e non controllabile da un singolo paese o da un gruppo di paesi. In realtà le conseguenze della globalizzazione colpiscono o possono colpire gli Stati Uniti come la Francia, l'Italia, la Germania o i paesi asiatici. Questo è vero per lo meno per i rischi finanziari, per i mezzi di comunicazione e per gli squilibri ecologici (il riscaldamento dell'atmosfera, ad esempio). Lo Stato nazionale è sottoposto a sfide in modo eguale nell'America del Sud come in Asia, in Europa o nell'Anerica settentrionale. Ci sono persino fenomeni di 'colonizzazione inversa’. Accade cioè che dei paesi non occidentali modellino forme di sviluppo in occidente. Si pensi alla 'latinizzazione' di alcune grandi città statunitensi, all'emergenza in India e in Malesia di un settore di alta tecnologia senza radici territoriali e orientato al mercato globale, oppure all'acquisto da parte del Portogallo di una grande quantità di prodotti musicali e televisivi del Brasile. Ma, naturalmente, ci sono dei vincitori e dei perdenti nel gioco della globalizzazione. Una minoranza diventa sempre più ricca e una maggioranza crescente diviene sempre più povera. La quota della ricchezza globale che è andata al 5% più povero della popolazione mondiale è passata negli ultimi dieci anni dal 2,3% all'1,4%. Nello stesso periodo la quota accaparrata dal 5% più ricco della popolazione mondiale è cresciuta dal 70% all'85%. Come ha scritto recentemente un autore inglese, piuttosto che di 'villaggio globale' (global village) è il caso di parlare di 'saccheggio globale' (global pillage)…”.

Altro punto importante dell’intervista è quello relativo alla funzione, attuale e futura, degli Stati nazionali.
Chiede Danilo Zolo: “…. Ma non pensi che ci siano aspetti della globalizzazione che i paesi della 'periferia' del mondo dovrebbero tentare di contrastare, anche con mezzi politici, per resistere alla forza omologatrice del mercato e dei suoi correlati ideologici? L'idea di nazione e di Stato nazionale può essere davvero considerata come un oscurantistico relitto del passato? Non è forse vero che l'intera tradizione della democrazia rappresentativa, del rule of law e della stessa dottrina dei diritti dell'uomo sono indissociabili dalla vicenda storica dello Stato nazionale sovrano?…”.
Risponde Beck:
“… Lo Stato nazionale si sta trasformando, certo, non si può dire che sia avviato all'estinzione. Può persino rinforzarsi, come ho sostenuto nel mio libro, divenendo uno Stato cooperativo, uno Stato transnazionale o cosmopolitico. Ma non sarà più, comunque, uno Stato nazionale nel vecchio senso. Per realizzare il suo 'interesse nazionale' lo Stato della seconda modernità deve attivarsi simultaneamente a vari livelli locali e transnazionali ed entro istituzioni molto lontane dai suoi confini. Uno Stato, ad esempio, può persino usare l'Europa come un pretesto per non prendere decisioni locali o per dare attuazione a livello europeo a decisioni per le quali il governo nazionale non disporrebbe del sostegno della maggioranza interna. Attori globali come le imprese multinazionali dispongono di un grande potere nell'ambito degli affari di uno Stato nazionale poiché possono aumentare o ridurre l'offerta di posti di lavoro. Ma un nuovo protezionismo regionale potrebbe ciononostante rivelarsi efficace. Nel mio libro ho proposto un esperimento mentale: proviamo ad immaginare un mondo nel quale i costi dell'informazione e del trasporto oltre le frontiere nazionali aumentino in misura significativa. Le economie regionali ed i mercati regionali -- quelli dell'Unione europea, ad esempio -- ne avrebbero certamente dei vantaggi…”.


“E’ ipotizzabile una democrazia oltre lo Stato-Nazione ?” Chiede Zolo. Ecco domanda e risposta.
D..Z. “…Sono d'accordo con te. Aggiungerei soltanto che l'enfasi globalista sottovaluta il fatto che lo Stato nazionale sembra destinato non solo a conservare a lungo molte delle sue funzioni tradizionali, ma anche ad assumere funzioni nuove che non potranno essere assorbite da strutture di aggregazione regionale o globale. Solo uno Stato nazionale democratico sembra in grado di garantire un buon rapporto fra estensione geopolitica e lealtà dei cittadini e già per questo svolge secondo me una funzione non facilmente surrogabile, anche nei confronti degli eccessi delle rivendicazioni etniche. E forse non andrebbe dimenticato, come ha sottolineato Paul Hirst, che le persone sono molto meno mobili del denaro, delle merci e delle idee, per non dire dei contenuti della comunicazione elettronica: le persone sono molto più 'nazionalizzate' e sarà comunque al loro radicamento nazionale e territoriale che si dovrà fare appello anche in futuro per dare legittimità alle istituzioni sovranazionali…”.
U.B. Attorno a questo punto si è sviluppata la più importante controversia nell'ambito della teoria politica contemporanea: è possibile una democrazia oltre l'ambito dello Stato nazionale? Oppure lo Stato nazionale va considerato come il solo ambito istituzionale entro il quale può realizzarsi lo Stato di diritto e quindi la tutela dei diritti dell'uomo? Ci può essere una legittimazione democratica ottenuta attraverso procedure transnazionali? Secondo me, almeno per quanto riguarda l'ambito europeo, questa discussione ha un valore puramente teorico. È una pura illusione pensare che sia possibile riportare indietro l'orologio della storia e tornare in Europa ai tempi della democrazia nazionale. Non ci sarà democrazia in Europa se non sarà una democrazia rafforzata sul piano transnazionale. La democrazia è stata inventata oltre mille anni fa in ambito locale. Poi, nel corso della prima modernità, ha assunto una dimensione nazionale. Ora e nel prossimo futuro la democrazia deve essere reinventata a livello transnazionale. È questo il senso del progetto democratico per l'Europa...”.

Molto interessante l’esame del “globalismo economico”: ecco il confronto.
D.Z. Il 'globalismo economico' è, nel tuo lessico teorico, cosa ben diversa dalla globalizzazione. È l'ideologia ultra-libertaria -- tu parli addirittura di 'metafisica del mercato globale' -- che cerca di nascondere i rischi che in particolare i processi di globalizzazione economico-finaziaria comportano. Il pericolo di gran lunga più grave, tu sostieni, viene dai settori più forti dell'economia globalizzata: viene cioè dalla capacità che le grandi imprese industriali e finanziarie hanno di sottrarsi ai vincoli della solidarietà nazionale, in particolare all'imposizione fiscale. La struttura delle grandi corporations è tale che esse possono scegliere a piacere e cambiare velocemente le sedi geografiche o funzionali dei propri fattori di produzione, ottenendone grandi vantaggi e sottraendosi alle regole poste dagli organi statali. Quali contromisure sono secondo te possibili, al di fuori dell'idea del 'governo mondiale' e dello 'Stato mondiale' che anche tu mi pare consideri come una prospettiva non realizzabile?
U.B. Non dobbiamo illuderci: un capitalismo che fosse concentrato esclusivamente sulla proprietà e sul profitto, che voltasse le spalle ai lavoratori, al Welfare State e alla democrazia finirebbe alla lunga per autodistruggersi. Perciò oggi non c'è soltanto il rischio che milioni di persone restino senza lavoro. E non è a repentaglio soltanto il Welfare State. La libertà politica e la democrazia sono a rischio! Dobbiamo domandarci: qual è il contributo che l'economia globale e le corporations multinazionali offrono per sostenere la democrazia a livello nazionale o cosmopolitico? Noi dobbiamo fare in modo che l'economia si faccia responsabile del futuro della democrazia rinforzando, ad esempio, la politica transnazionale in Europa. Ma dobbiamo anche tentare di rinforzare le organizzazioni transnazionali dei consumatori e, in generale, la cosidetta global civil society.

D.Z. Lo sviluppo delle tecnologie elettroniche -- automazione, informatica, telematica -- aumenta la produttività delle imprese multinazionali che tendono a disfarsi sempre più della forza-lavoro che non sia altamente qualificata. Sta affermandosi un capitalismo globale che è in grado di sottrarsi in larga parte ai costi del lavoro e in prospettiva al lavoro stesso. È questa la tenaglia che anche nei paesi industriali sta stritolando le nuove generazioni, sempre più colpite dalla inoccupazione e dalla disoccupazione. Ma ad essere minacciati più in generale sono tutti i cittadini che non appartengano alla minoranza di coloro che sono in grado di svolgere mansioni tecnologicamente sofisticate. La maggioranza dei cittadini, anche quando trovano lavoro, sono costretti dalla logica della 'flessibilità' ad accettare occupazioni precarie e poco retribuite e che spesso da sole non bastano a garantire loro una sussistenza dignitosa.
U.B. Questo è assolutamente vero. Dobbiamo riconoscere che persino nei cosidetti paesi del pieno impiego come gli Stati Uniti e l'Inghilterra fra un terzo e la metà delle persone che lavorano sono oggi 'lavoratori flessibili', secondo i molti e molto ambigui significati del termine. Accade qualcosa di simile a ciò che è accaduto a proposito del cosidetto 'modello familiare normale'. Ciò che un tempo era tipico sta diventanto un fenomeno minoritario. Ed è per questo che dobbiamo ripensare e riformare il Welfare State sulla base di questa mutazione morfologica del lavoro e della vita privata.
D.Z. Ma è davvero possibile riformare il Welfare State? Siamo ancora in tempo per farlo? Nel tuo libro sottolinei il fatto che mentre crescono i profitti delle grandi imprese stanno esaurendosi nei paesi occidentali le risorse finanziarie tradizionalmente destinate alle pensioni, ai servizi sociali e all'assistenza degli anziani. Si esauriscono perchè le grandi imprese sono in grado di sottrarsi non soltanto ai costi del lavoro ma anche ai vincoli dell'imposizione fiscale. Ciò provoca naturalmente una crisi dei bilanci statali che possono far conto sempre meno delle entrate fiscali legate alle attività produttive. Non è dunque soltanto il lavoro che viene a mancare: vengono a mancare le risorse pubbliche. Non c'è allora il rischio che ogni forma di Welfare State sia ormai destinata all'estinzione e che i difensori dei diritti sociali nei paesi occidentali si stiano battendo per una causa ormai persa per sempre?
U.B. No, io non lo penso. In Europa oggi abbiamo, in modo inaspettato, una larga maggioranza di governi orientati a sinistra, incluse l'Italia, la Germanua, la Gran Bretagna e la Francia. Il dibattito attorno alla 'Terza via' riguarda sostanzialmente la riforma del Welfare State nell'era della globalizzazione. Nel suo libro, The Third Way, Antony Giddens traccia le linee di una società di positive welfare e di strategie di investimento. Questo è l'inizio della discussione sulle strutture di un'Europa sociale e democratica che si continuerà sicuramente nei prossimi anni.
Le ultime domande hanno interessato la previsione degli scenari futuri: Zolo chiede a Beck le sue ipotesi sull’avvenire dell’ordine politico mondiale. Ecco le domande con le relative risposte.
D.Z. Resta tuttavia aperto, secondo me, il tema delle forme e delle istituzioni della politica transnazionale: un tema che nel tuo libro non affronti in modo esplicito, salvo l'assunzione del processo di integrazione europea come un importante punto di riferimento pratico e teorico. Ma i fenomeni di integrazione regionale oggi in atto in alcune delle aree più ricche del pianeta sembrano difficilmente esportabili a livello globale. Possono anzi essere visti come un rafforzamento della logica paricolaristica della sovranità statale, anziché come un passo innanzi verso l'auspicato traguardo di una governance democratica del mondo. La formazione di un 'super-Stato europeo', e cioè di una entità politico-economico-militare dotata di poteri eccezionalmente elevati, è una prospettiva rassicurante ai fini di una attenuazione dei rischi della globalizzazione economica?
U.B. Non credo in un superstato europeo. Anche questo sarebbe un modello di modernizzazione di carattere lineare, anziché riflessivo. L'Europa è un eldorado di differenze e personalmente penso che dovrebbe restare tale anche nell'era della globalizzazione. Ma nello stesso tempo l'Europa è il laboratorio dove sperimentare una società ed una politica cosmopolitica. L'adozione della moneta unica ci spinge in questa direzione. Quanto più l'Euro avrà successo tanto più urgentemente l'Europa avrà bisogno di un'anima democratica. Una volta realizzata l'unione monetaria l'Europa deve irrobustirsi grazie a nuove idee politiche e a dibattiti, istituzioni e associazioni civili che travalichino le frontiere degli Stati membri. Soltanto un'Europa intellettualmente vitale è in grado di rielaborare la vecchia idea europea di democrazia per la nuova era globale.
D.Z. Consentimi in conclusione qualche domanda relativa alle funzioni che secondo te il diritto internazionale può svolgere per contenere le spinte eversive della globalizzazione economica e per garantire un nuovo ordine mondiale. Nel tuo libro citi Zum ewigen Frieden di Kant e a tratti sembri simpatizzare con l'deale di un 'diritto cosmopolitico' e di un 'pacifismo giuridico'. Ti chiedo: pensi, assieme a Kelsen e ai suoi epigoni, che il diritto e le istituzioni internazionali siano lo strumento principale per garantire l'ordine mondiale e in particolare una pace stabile ed universale? Condividi, in altre parole, le tesi kelseniane di Peace trough Law?
U.B. Le condivido senz'altro. All'alba della seconda modernità dobbiamo chiederci: chi sono, sul piano intellettuale, i padri fondatori della società globale cosmopolitica? Per me, fra gli altri, sono di grande attualità Kant e Kelsen ma anche, per esempio, Nietzsche, Hannah Arendt e Montaigne.
D.Z. E qual è secondo te il probabile destino delle Nazioni Unite? La globalizzazione ne favorisce, o ne richiede, un rafforzamento o è destinata a travolgerle? Sono in grado non solo di garantire la pace fra gli Stati, ma di contrastare la diffusione della produzione delle armi da guerra e di vincere la sfida delle grandi organizzazioni criminali -- commercio delle armi, delle droghe, delle donne e degli emigranti -- che ormai hanno assunto dimensioni globali?
U.B. La democrazia transnazionale dovrà tenere conto di alcuni fondamentali cambiamenti intervenuti nell'organizzazione transnazionale del crimine e della violenza. Le distinzioni classiche fra 'guerra' e 'pace', 'interno' ed 'esterno', 'società civile' e 'barbarie' -- distinzioni associate all'autonomia dello Stato nazionale -- sono ormai superate. Nello stesso tempo è possibile identificare nuove tendenze civili che potrebbero fornire le basi per una pace stabile. Le Nazioni Unite devono sicuramente essere rafforzate. Ma il fenomeno della globalizzazione del crimine e della violenza richiede anche una risposta da parte di una struttura di cooperazione di tipo statale.
D.Z. C'è chi ha parlato recentemente di una global expasion of judicial power. Che cosa pensi in particolare a proposito dei nuovi Tribunali penali internazionali: quelli già operanti per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda e quello, permanente e universale, il cui statuto è stato approvato a Roma nel giugno scorso? Ritieni che possano offrire un contributo significativo al mantenimento della pace e alla tutela dei diritti dell'uomo? Pensi anche tu, come Jürgen Habermas, che l'obbiettivo ultimo debba essere una giurisdizione penale universale e, al suo servizio, una forza di polizia sovranazionale?
U.B. Naturalmente, una corte internazionale sarebbe, nel lungo periodo, una grande conquista a favore di un ordine cosmopolitico. Si tratta di un progetto totalmente irrealizzabile? Io penso di no. È un progetto altrettanto irrealistico quanto lo fu la richiesta di democrazia 150 anni fa nella chiesa di San Paolo a Francoforte (durante la rivoluzione tedesca). Ma io spero che in questo caso si faccia più in fretta.














CONCLUSIONI
La mia convinzione personale non è ne di pessimismo esagerato ma neanche di ottimismo. La globalizzazione va vissuta come una delle tante tempeste che l’umanità ha saputo superare, anche quando per farlo ha versato lacrime e sangue. Lo Stato-Nazione, a mio avviso, non scomparirà. Il suo ruolo futuro sarà certamente molto diverso, ma resterà una sostituibile interfaccia trai suoi cittadini ed altre autorità sopranazionali, sulla falsariga dell’Unione Europea. Nuovi equilibri regoleranno la globalizzazione economica per evitare un Far West che riporterebbe l’uomo indietro di secoli. Il nuovo Stato in questa nuova organizzazione mondiale sarà sempre insostituibile. Il cittadino avrà sempre bisogno dello Stato: come l’uomo, che ha avuto, ha ed avrà bisogno della famiglia. Certo, sarà uno Stato diverso che subirà una sua evoluzione, con modifiche anche sostanziali, come è già successo alla famiglia: da famiglia patriarcale a famiglia allargata.
Anche la precarietà troverà nuovi equilibri e riacquisterà nuove certezze: lo stato sociale nazionale, attraverso altre vie, ne sono sicuro, riprenderà il suo cammino.
Mi piace chiudere questo saggio con le parole di Ulrich Beck, prese dall’articolo pubblicato su “Repubblica” del 22 marzo di quest’anno dal titolo “ La povertà globalizzata”:
“…Il welfare state nazionale, che tenta da solo di venire a capo della sua povertà “nazionale”, assomiglia all’ubriaco che in una notte buia cerca il portafoglio perduto sotto un cono di luce di un lampione. Alla domanda: '' ha perduto qui il suo portafoglio?'' risponde: ''No, ma alla luce del lampione posso almeno cercarlo''.
Speriamo, cessata la sbornia, di aver ritrovato il nostro portafoglio.


Mario Virdis
virdismario@tiscali.it


BIBLIOGRAFIA

G.Bechtle, Potere e soggetto LED – Mi. 2005
U.Beck, Che cos’è la globalizzazione Carocci, Roma 1997
U.Beck, Lo sguardo cosmopolita Carocci Roma 2005
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D.Held –A.Mc Grew, Globalismo e antiglobalismo Il Mulino, 2003
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J.Stiglitz, La globalizzazione che funziona Einaudi, To 2006
J.Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori Einaudi 2002
E.Kapstein, Governare la ricchezza.Il lavoro nell’economia Globale Carocci 2003
M. Castells, La nascita della società in rete Università Bocconi
Danilo Zolo Una discussione sulla società globale del rischio
(intervista a Ulrich Beck da Reset, 1999, 5 ) www.tsd.unifi.it


Bibliografia dalla rete:

- http://www.google.it/
- http://www.wikipedia/
- http://www.tsd.unifi.it/












Note
[i] Nuovissimo Dardano. Dizionario della lingua italiana, Roma, Armando Curcio Editore, 1982.

[ii] La società industriale può essere fatta risalire al periodo che va dall’inizio della rivoluzione industriale al 1956 che viene indicato come anno di nascita della società postindustriale in quanto, per la prima volta, i colletti bianchi superarono numericamente i colletti blu negli Stati Uniti (cfr. Bell, D., The Corning ofPost-Industrial Society: A Venture in Social Forecastìng, New York, 1973).

[iii] In realtà Beck si riferisce ai sistemi sociali occidentali ed in particolar modo alla realtà tedesca. Per le critiche al suo modello si veda “Postfazione. Ritorno alla società del rischio” in Beck, 1986.
[iv] Gunther Bechtle, “Potere e soggetto, il dibattito sul post-fordismo” – Ediz Universitarie LED 2005
[v] Danilo Zolo (Rijeka, 1936) è professore di Filosofia del diritto e di Filosofia del diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze. È stato Visiting Fellow nelle università di Cambridge, Pittsburgh, Harvard e Princeton. Nel 1993 gli è stata assegnata la Jemolo Fellowship presso il Nuffield College di Oxford. Ha tenuto corsi di lezioni presso università dell'Argentina, del Brasile, della Colombia e del Messico. Coordina il sito web Jura Gentium, Center for Philosophy of International Law and Global Politics. Fra i suoi scritti: Reflexive Epistemology, Boston, Kluwer, 1989; Democracy and Complexity, Cambridge, Polity Press, 1992 (ed. it.: Il principato democratico, Milano, Feltrinelli, 1992); Cosmopolis, Milano, Feltrinelli, 1995 (ed. ing. ampliata: Cambridge, Polity Press, 1997); I signori della pace, Roma, Carocci, 1998; Invoking Humanity: War, Law and Global Order, London, Continuum, 2002; Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Roma-Bari, Laterza, 2003; La giustizia dei vincitori, Roma-Bari, Laterza, 2006. Con Pietro Costa ha curato il volume Lo Stato di diritto, Milano, Feltrinelli, 2002; con Franco Cassano, L'alternativa mediterranea, Milano, Feltrinelli, 2007. E-mail: zolo@tsd.unifi.it