Oristano
23 Marzo 2018
Cari amici,
Quando nell’Unione
Sarda (sono un affezionato lettore da oltre mezzo secolo) dell’11 Marzo ha letto
con grande curiosità l’articolo a firma di Ilaria
Muggianu Scanu, devo dirvi che mi sono anche commosso. Sarà perché
nonostante tutto ho sempre avuto il cuore tenero, o anche perché apprezzo la nostra
caparbia sardità in tutte le sue sfumature, ma, sta di fatto, che a leggere la
storia di Filomena Secci gli occhi mi si sono inumiditi senza pietà. Il pezzo
giornalistico raccontava una storia triste, una storia come tante all’epoca,
che vedeva bambine diventare presto grandi, senza poter assaporare neanche una
piccola parte di quel mondo ovattato a loro destinato nell’infanzia.
Ho letto tutto d’un
fiato l’articolo, che mi ha riportato un po’ ai tempi della mia infanzia,
considerato che anch’io ho vissuto i postumi della seconda guerra mondiale,
quando le condizioni di vita erano abbastanza simili; anche a me mancavano, da
bambino, “molte cose essenziali”, come ho avuto modo di scrivere nel mio libro
di memorie “Marieddu”, dove riporto tante brevi storie relative alla vita nei
nostri piccoli centri nel periodo del dopoguerra.
La brava Ilaria
Muggianu ha riepilogato nel maggior quotidiano dell'isola l’interessante percorso di vita di tale Filomena Secci, originaria di Siddi, piccolo paese della Marmilla. Nata in una famiglia poverissima, lei, bambina triste e scalza, cullava però dentro di sè un grande sogno: possedere un bel paio di scarpe! Era un desiderio semplice, ma enormemente desiderato: uscire di casa sfoggiando delle belle calzature, come quelle che vedeva addosso alle poche signore abbienti del paese.Una storia da libro cuore se vogliamo,
ma vera, reale. Oggi Ilaria, avendo realizzato anche ben altri sogni, è una orgogliosa e soddisfatta novantenne che dopo
aver lottato con forza, determinazione e caparbietà per conquistare una posizione
più consona nel mondo, può, con un leggero sorriso, raccontare la sua storia di bambina triste, cosa che
lei ha voluto anche riepilogare in un libro.
Un’esperienza dolorosa, quella da
lei fatta, capace però, oggi, di dare un esempio ai giovani, che pur possedendo molto, pur essendo nati
nella bambagia, non sanno nemmeno immginare un’esistenza priva anche dei beni indispensabili, quelli che a lei sono mancati.
Ecco, amici, per lo stesso motivo, figlio anch'io di quell'epoca, voglio riportare su questo blog la bella storia di Filomena, donna forte e caparbia, una donna che, pur nata nell’indigenza, non ha mai perso la speranza, non ha mai mollato, non si è mai arresa, vincendo alla fine la sua battaglia.
Ecco, amici, per lo stesso motivo, figlio anch'io di quell'epoca, voglio riportare su questo blog la bella storia di Filomena, donna forte e caparbia, una donna che, pur nata nell’indigenza, non ha mai perso la speranza, non ha mai mollato, non si è mai arresa, vincendo alla fine la sua battaglia.
Filomena Secci nasce a
Siddi, modesto paese della Marmilla in un periodo difficile, a cavallo tra le
prima e la seconda guerra mondiale. Orfana di padre, con la madre risposata ad
un uomo che non le vuole bene e che a malapena la tollera in casa, vive un’infanzia
non facile, priva di affetti e immersa nella miseria più nera. Vestita con pochi stracci,
arriva ai 17 anni senza avere mai indossato un paio di scarpe. Ciò nonostante
lei è forte, talmente combattiva e determinata che, seppure scalza e malvestita,
non si arrende e il suo viso si atteggia facilmente ad un sorriso contagioso, in particolare con i piccoli.
È
felice di giocare con gli altri bambini, scalzi anche loro, con i quali in modo
giocoso cerca un po’ di calore immergendo, per esempio, i piedi negli scoli del letamaio del vicinato,
dove fermentano le deiezioni degli animali del cortile di casa.
Crescendo, il suo amore
verso i bambini aumenta a tal punto da arrivare a "pregare" e convincere sua
nonna, Antioca Serra, levatrice del paese, a tenerla con se quando fa nascere i
bambini. Una passione questa che non l’abbandonerà mai e che anzi cresce a
dismisura, tanto che durante la guerra arriva con mille moine a convincere le
neo mamme del paese a permetterle di occuparsi dei loro neonati. Finita la guerra, nel
1946, considerate le non floride condizioni economiche della famiglia, viene
ritenuto necessario anche il suo apporto economico. Filomena, così, ora che ha 17
anni, come migliaia di giovinette non ancora donne, diventa una serbidoredda presso una famiglia
abbiente.
Quello di "andare a servire" è un destino crudele,
spesso triste ma necessario, considerato che queste fanciulle, oltre il lavoro
massacrante che dovevano svolgere erano esposte a rischi di ogni genere da parte
dei padroni di casa e dei loro figli. Lei però è fortunata; trova lavoro presso
l’aristocratica famiglia Guiso Gallisai a Cagliari, gente per bene, se pensiamo
che la padrona di casa, la nuorese Donna Mariangela Guiso, è una donna non solo
bella (nel 1950 ebbe l’onore di ricevere da Totò a Capri il titolo di Miss Eleganza)
ma umana e rispettosa, che la tratta davvero bene.
La casa della famiglia Guiso
Gallisai è frequentata da gente importante a livello nazionale, meta spesso di
personaggi di alto rango. Tra i tanti ospiti della casa un giorno arriva in
vista un signore di alto prestigio ma che le domestiche della casa ancora non
conoscono. Dopo il veloce defilarsi delle altre, è Filomena ad andare ad aprire
la porta, scalza come sempre, e spontaneamente si offre di occuparsi dei
bagagli del visitatore. L’uomo, vero signore, gentilmente rifiuta, ma apprezzando la
disponibilità della giovane, le lascia una mancia cospicua: ben 1.000 lire, una cifra straordinaria per una come lei! L’uomo
generoso era Indro Montanelli, il grande giornalista, che forse non è mai
venuto a conoscenza che la sua generosità era stata utilizzata dalla serbidoredda per acquistare il suo primo
paio di scarpe!
Nella famiglia Guiso
Gallisai Filomena rinasce a nuova vita. Quando questa si trasferisce a Roma lei
decide di seguirla e di realizzare così anche il suo sogno: riprendere gli
studi per acquisire il titolo di puericultrice e potersi così occupare a tempo
pieno di bambini. Si iscrive presso l’Istituto San Gregorio al Celio e, seppure
continuando a lavorare, consegue il titolo. Una nuova realtà le si para
davanti: le conoscenze ormai non le mancano e la sua serietà e capacità le
aprono le porte delle famiglie più importanti della capitale.
Come ha riportato nel
sul libro autobiografico di memorie ha avuto il privilegio di occuparsi di
tanti bambini, oggi nomi famosi: da Massimiliano Pani, figlio di Mina, a
Fiorenza e Federica figlie di Duccio Tessari, da Vittorio Cecchi Gori a Babà,
figlio di Gaia De Laurentis. Il suo libro “Le mie prime vere scarpe” (Sovera
edizioni), è il suo racconto di vita, il diario di una bambina che dopo tante
lotte è riuscita nel suo intento: diventare “puericultrice”, perché il suo
sogno era proprio quello di dedicare tutta la sua vita ai bambini.Sogno che si è avverato!
Cari amici Filomena
Secci è il simbolo delle antiche donne sarde, dure e coriacee, dotate di uno
straordinario coraggio, di una indomabile resilienza. Filomena ora ha 90 anni e
a chi la interroga mostra sempre il suo sorriso solare di bambina, dichiarandosi soddisfatta
delle conquiste realizzate, anche se portate avanti a prezzo di sacrifici durissimi.
Il suo libro è da considerarsi un documento storico, antropologico e
sociologico di una Sardegna ormai scomparsa. Filomena resta oggi un fulgido
esempio di vera donna sarda, davvero da ammirare, il cui esempio è da trasmettere alle nuove generazioni.
Grazie dell'attenzione, amici, a domani.
Mario
1 commento:
Vorrei regalare il libro a mia madre, a Genova non lo trovo. Come posso fare?
Annalisa
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