Oristano
21 Aprile 2017
Cari amici,
L’argomento di oggi non
è né semplice né facile, perché tratta della tanto predicata e mai realizzata parità della donna.
L’inserimento paritario della figura della donna a fianco di quella dell’uomo, in casa come in azienda, non è stato mai raggiunto, salvo piccole concessioni ben lontane dalla sua interezza: a partire dalla condivisione delle responsabilità per arrivare alla parità di retribuzione. Lo spunto della riflessione di oggi me lo ha dato la notizia che in Inghilterra il Parlamento britannico ha in corso di esame una petizione, firmata da oltre 150 mila sudditi di Sua Maestà, messa in atto per vietare per legge alle aziende di imporre alle proprie dipendenti donne un abbigliamento imposto, anche se non gradito; l'abbigliamento richiesto dovrebbe rappresentare una specie di 'vetrina aziendale', in grado di stimolare all'acquisto del prodotto. Insomma la dipendente utilizzata come bambola, donna-oggetto. Ma vediamo insieme come sono andate le cose.
L’inserimento paritario della figura della donna a fianco di quella dell’uomo, in casa come in azienda, non è stato mai raggiunto, salvo piccole concessioni ben lontane dalla sua interezza: a partire dalla condivisione delle responsabilità per arrivare alla parità di retribuzione. Lo spunto della riflessione di oggi me lo ha dato la notizia che in Inghilterra il Parlamento britannico ha in corso di esame una petizione, firmata da oltre 150 mila sudditi di Sua Maestà, messa in atto per vietare per legge alle aziende di imporre alle proprie dipendenti donne un abbigliamento imposto, anche se non gradito; l'abbigliamento richiesto dovrebbe rappresentare una specie di 'vetrina aziendale', in grado di stimolare all'acquisto del prodotto. Insomma la dipendente utilizzata come bambola, donna-oggetto. Ma vediamo insieme come sono andate le cose.
La petizione popolare, già ribattezzata ‘norma anti-tacchi a spillo’, è partita dalla denuncia di una consulente finanziaria londinese, la
27enne Nicola Thorp, che è stata
licenziata perché si era rifiutata di indossare le scarpe con i tacchi alti sul posto di lavoro.
La notizia, diventata di dominio pubblico,è stata subito ripresa da
molte altre lavoratrici che hanno colto l’occasione per denunciare all’opinione
pubblica tutta una serie di discriminazioni subite sul posto di lavoro.
La Women for Equalities Commission, nel ribadire la giusta reazione
delle lavoratrici, ha subito presentato alla Camera dei Comuni un rapporto in cui ha
spiegato che sono moltissime le donne che si lamentano del fatto che i datori
di lavoro le obbligano a indossare vertiginosi tacchi a spillo, minigonne,
trucco abbondante e sgargiante smalto colorato sulle unghie. La Commissione ha evidenziato
anche qualche fatto particolarmente increscioso: qualche responsabile aziendale ha addirittura invitato alcune
lavoratrici a slacciare dei bottoni della camicetta per attirare l'attenzione e risultare più accattivanti
nei confronti dei clienti uomini, stimolando in questo modo gli
acquisti.
A seguito del continuo montare
della protesta, la Commissione Parlamentare, presieduta dalla deputata
laburista Helen Jones, ha precisato che attualmente, nonostante la materia sia regolata dall'Equality Act del 2010, le
disposizioni ivi contenute sono state spesso e volentieri ignorate dalle aziende. Nel
complesso, dunque, il sistema attualmente in vigore che regola la materia, risulta molto più favorevole nei confronti del
datore di lavoro ed a scapito dei diritti delle dipendenti. Anche il Governo, ora
guidato dalla seconda premier donna della storia britannica, Theresa May,
sembra vedere le cose dalla stessa angolazione; un portavoce di Downing Street
ha ribadito che i codici
dell'abbigliamento sul luogo di lavoro debbono essere ragionevoli: casi
come quello eclatante prima riportato sono inaccettabili e il Governo, ha detto, resta
impegnato a far applicare senza eccezioni l’attuale normativa.
"Dalle
testimonianze che abbiamo raccolto è chiaro che bisogna fare di più per
impedire simili imposizioni. Il sistema attualmente in vigore finisce per
favorire il datore di lavoro a scapito dei diritti delle dipendenti",
ha spiegato ai Media la deputata Helen Jones. La proposta formulata è quella di lanciare
una campagna nazionale per riaffermare i doveri delle aziende e i diritti delle
donne, spingendo i tribunali ad applicare più spesso severe sanzioni punitive contro i
violatori. Non si esclude, inoltre, la possibile approvazione di una nuova
legge per rivedere i codici d'abbigliamento sul posto di lavoro.
Come dicevo all'inizio la discriminazione nel confronti delle donne continua. La realtà attuale
dimostra che le aziende che impongono al sesso femminile di indossare tacchi
alti e minigonne sul posto di lavoro sono ancora moltissime e non solo nel Regno Unito; finalmente, però, a
partire da Londra, si sta mettendo in atto un cambiamento forse epocale.
Il Governo, per meglio definire lo spinoso problema, ha in animo proprio di
varare una nuova legge per rivedere l’intera normativa sull’abbigliamento da
indossare nei luoghi di lavoro, eliminando quei capi che porterebbero solo a
delle forme di discriminazione sessuale. Insomma, una legge che ribadisca che
la donna non è un oggetto e che, anche sul posto di lavoro, merita il giusto rispetto: il suo look durante lo
svolgimento dell’attività deve essere certamente adeguato, ma niente
imposizioni tipo obbligo dei tacchi a spillo, minigonne o altri marchingegni
attira clienti.
Cari amici, pensate che questo avvenga solo nella vecchia Europa? Assolutamente no! Dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti per
esempio, le cose con la Presidenza Trump pare vogliano andare addirittura in senso contrario. Mentre a Londra il
Parlamento si appresta a discutere una legge per mettere al bando le
discriminazioni sessuali in materia di abbigliamento, negli USA di Donald Trump
il neo Presidente ha iniziato ad imporre alle sue dipendenti di «vestirsi da
donna» che, tradotto nel noto linguaggio di Trump, significa indossare un
vestito o una gonna e i tacchi, possibilmente ben alti. A rivelarlo è il sito Axios: «Trump vuole che le sue
dipendenti si vestano da donna - dice una fonte che ha lavorato con il Presidente
durante la campagna elettorale -. Le donne che lavorano con lui si sentono
obbligate a indossare vestiti smart, per impressionarlo favorevolmente».
Cari amici, credo che
nonostante il passare dei secoli, la ventilata parità tra uomo e donna stenti ad affermarsi. Nella mente maschile continua ad esistere lo
stereotipo della “Donna Oggetto”,
non quello della donna di valore, da apprezzare per le sue capacità e non certo
per l’ammiccante presenza fisica, più o meno vestita o svestita. La donna
faticherà ancora a raggiungere quella parità che l’uomo continua a rifiutare di
concederle, ma sono certo che prima o poi arriverà vittoriosa al traguardo.
Voglio concludere con le parole di una donna straordinaria: Rita Levi Montalcini; Lei, premio Nobel per la medicina, in una delle sue straordinarie e ironiche battute così affermava: “Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”.
Voglio concludere con le parole di una donna straordinaria: Rita Levi Montalcini; Lei, premio Nobel per la medicina, in una delle sue straordinarie e ironiche battute così affermava: “Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”.
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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