Oristano
22 Gennaio 2015
Cari amici,
come stia andando l’economia
dell’Eurozona, in un’Europa che in tutti questi anni non è riuscita a diventare
una vera Nazione, lo sappiamo tutti: non è ne carne ne pesce, insomma una
brutta incompiuta. In tutto questo la “fretta” di essere voluti arrivare all’emissione
della “moneta unica”, l’Euro, senza aver prima completato il percorso di unione
politica, ha creato agli Stati aderenti più danni che guadagni, avendo tolto ai
vari governi nazionali il potere di “regolare” la giusta quantità di moneta in
circolazione, aumentandola o diminuendola a seconda delle necessità.
Da tutto questo, dalla
impossibilità per i governi nazionali di immettere moneta al momento opportuno
in circolazione, ne sono derivati i mali che tutti conosciamo: minori consumi,
maggiore disoccupazione, minori investimenti, fino ad arrivare alla attuale
deflazione. La BCE, pur ben governata dall’italiano Mario Draghi, da tempo
cerca in tutti i modi possibili di intervenire per risolvere i problemi sul
tappeto, ma in assenza di una “bacchetta
magica che non ha”, mancando quelle regole legislative che sarebbero invece
esistite in presenza di un’Europa-Stato Federale, poco può fare. Tuttavia
qualche tentativo per porre rimedio ai problemi lo sta tentando, e uno di
questi è proprio il “Quantitative Easing”,
lo strumento di cui vi voglio parlare oggi, e che sotto molti aspetti rimane
per molti di noi una specie di “oggetto misterioso”.
Ma cos'è e come
funziona questo strumento chiamato Quantitative easing e che la BCE vuole usare per rilanciare
l'economia dell'eurozona? Vediamolo
insieme. Il termine Q. E. nasce in USA nel 2009, quando la Federal Reserve americana varò il primo programma di acquisto di
titoli del Tesoro e di titoli immobiliari americani, dopo il fallimento di
Lehman Brothers. In effetti il Tesoro americano “fabbricò moneta aggiuntiva”, la quale, immessa sul mercato, fu
usata per l'acquisto sul mercato di titoli pubblici e privati: in pratica fu immessa
una grossa iniezione di liquidità nell'economia degli Stati Uniti, in quel
momento allo stremo, facendola riprendere.
Ora la BCE vuole usare
lo stesso sistema: creare nuova moneta da usare per comprare titoli pubblici e
privati, ampliando significativamente la liquidità presente nel sistema.
L’operazione
messa in cantiere da Mario Draghi sarà così scaglionata: acquisto di titoli
pubblici per cinquanta miliardi di euro al mese, almeno fino a quando
l’inflazione sarà ritornata ad un livello accettabile, vicino al due per cento.
Proprio oggi 22 Gennaio Draghi porterà
la proposta al voto del Consiglio Direttivo della Banca centrale europea a
Francoforte. Questo piano di espansione monetaria, che prende il nome di «Quantitative
easing», grazie all’aumento della disponibilità di denaro in circolazione, del maggior
credito concesso all’economia e ad una riduzione competitiva del cambio
dell’euro (auspicato in uguale parità con il dollaro), si pone l’obiettivo di
allontanare quella spirale di deflazione, ovvero il calo generalizzato dei
prezzi, causato dalla mancanza di fiducia dei consumatori con conseguente
crollo dei consumi.
La manovra di Draghi, però,
non sarà indolore: essa resta fino all’ultimo avversata dalle forti resistenze
dei tedeschi, contrari ad una misura che - a loro dire - deresponsabilizza i
Paesi ad alto debito, in primis l’Italia. L’acquisto dei titoli pubblici ha
infatti l’effetto di sostenere un basso rendimento di questi titoli, e dunque conseguire
un costo più contenuto del debito a prescindere dall’azione di governo.
I mercati, da tempo in
fibrillazione, attendono con ansia le decisioni della BCE; per questo Draghi
dovrà usare tutta la sua abilità per non deludere le aspettative. Circa la
quantità globale di moneta da immettere in circolazione, l’opinione prevalente è
che per avere reale efficacia dovrà globalmente aggirarsi intorno ai mille
miliardi di euro, mentre altri ipotizzano un impegno pari alla metà. Per questo
motivo è improbabile che Draghi indicherà una scadenza temporale al piano
proposto. L’altra questione spinosa sul tappeto (ribadita dalla Germania) è “chi si farà carico dei rischi”
connessi agli acquisti: Draghi avrebbe raggiunto un compromesso, per il quale i
rischi verranno suddivisi al 50 per
cento fra BCE e Banche Centrali Nazionali, in proporzione agli acquisti che
la Bce farà. I “rumors” che arrivano da Francoforte dicono che su questa
ipotesi Draghi abbia una solida maggioranza del Board a suo favore, ma in ogni
caso non avrà di sicuro il voto del tedesco Jens Weidmann!
Cari amici, l’antico e
saggio proverbio dice sempre che “a mali
estremi, estremi rimedi”. Il provvedimento della BCE è senz’altro giusto, e
sostituisce proprio quello che, in uno Stato Federale Europeo, avrebbe fatto la
sua Banca Centrale. Sicuramente non basterà a cambiare in toto le sorti di un’economia
che ha bisogno anche di ben altro, ma darà, comunque, un certo respiro. Anche ipotizzando
che per quest’anno l’immissione di liquidità si attesti sui 500 miliardi, la
Bce potrebbe acquistare all’incirca 87 miliardi di titoli del nostro debito
pubblico (e 125 di quello tedesco), ovvero l’equivalente delle nostre quote nel
capitale della Bce (17,4%). L’attesa riduzione dei tassi dovrebbe alleggerire
ulteriormente il costo del nostro debito, dopo che già il 2014 si è chiuso con
un costo medio inferiore all’1,4%. Basterebbe un’altra limatura di pochi
decimali per conseguire risparmi per qualche miliardo di euro a fronte di 460
miliardi di nuove emissioni.
Il beneficio maggiore,
però, lo dovremmo ottenere sul fronte dell’economia: le banche, alleggerite di
stock importanti di titoli, potrebbero dirottare le risorse verso il
finanziamento delle imprese e delle famiglie. L’esperienza insegna, però, che
questo non è un passaggio automatico, anzi. Negli ultimi mesi del 2014 le
banche italiane hanno assorbito circa un quarto (50 miliardi su 212) dei fondi
assegnati dalla Bce attraverso le operazioni di finanziamento a lungo termine a
tassi bassissimi, senza riuscire, tuttavia, ad invertire la tendenza. Secondo
il capoeconomista di Nomisma Sergio De Nardis «Sarebbero necessari almeno 80
miliardi al mese, anche se - in ogni caso - si aprono spazi favorevoli per il bilancio
pubblico»; «Inoltre – aggiunge Nardi - se verrà centrato l’obiettivo di
riportare l’inflazione al 2%, l’economia dell’intera area euro se ne
avvantaggerebbe».
Ben venga, allora,
questo “Quantitative Easing”, nella
speranza che, davvero, si aprano anche in Italia seri spiragli di ripresa, come
già avviene negli Stati Uniti, e che finalmente anche i nostri giovani possano
essere immessi fruttuosamente nel mondo del lavoro!
A domani.
Mario
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