Oristano 28 Febbraio
2014,
Cari amici,
il termine signoraggio,
nonostante il trascorrere dei secoli, è ancora attuale. Nato per indicare un
diritto da riconoscere al sovrano per la coniazione delle monete auree come
valuta riconosciuta, è poi diventata qualcosa di diverso, una “quota di valore” della moneta in circolazione che resta
appannaggio dello Stato che la emette.
La storia di questo
diritto è lunga e complessa, per cui ho immaginato di dividere la trattazione
di questo argomento in due fasi: la fase storica, che vedremo oggi, e la fase
attuale, quella che ci riguarda più da vicino, e che, forse, esamineremo
domani. Partiamo dalla storia del “Signoraggio”, ci aiuterà a capire meglio il funzionamento
di questa tassa occulta.
Il “Diritto di
Signoraggio” è definito dal premio Nobel Paul R. Krugman, nel testo di economia
internazionale scritto con Maurice Obstfeld, come il flusso di «risorse reali
che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi».
Questo “guadagno”, che altro non è che una tassa occulta imposta ai cittadini
di una Comunità, ha radici antiche: nel Medioevo, infatti, i signori feudali di
tutta Europa cercarono di rendersi indipendenti dai sovrani attribuendosi il
diritto di battere moneta e la titolarità dei relativi redditi. Allora la base
monetaria era costituita dalle monete in metallo prezioso, le uniche che
potessero garantire il valore attribuito alla transazione economica: era quella
la circolazione monetaria aurea, metallo prezioso reso moneta con la
punzonatura da parte della zecca dello Stato con l’effigie del sovrano. Lo
Stato coniava monete non solo con oro proprio ma anche di terzi: chiunque
disponeva di metallo prezioso poteva portarlo presso la zecca di Stato, dove
veniva trasformato in monete, ovviamente sostenendo i costi relativi: i diritti
della zecca e l’imposta sulla coniazione dovuta al sovrano. Questi diritti erano
esatti trattenendo una parte del metallo prezioso coniato.
Il signoraggio in tale antico
contesto era dunque l'imposta sulla coniazione, noto anche come diritto di
zecca.
Questa “tassa occulta” percepita dal sovrano comportava come prima conseguenza
una differenza tra il valore nominale della moneta (superiore) e il valore
intrinseco della stessa, che non coincidevano proprio per questo costo
di produzione.
L'introito fatto dalle finanze dello Stato serviva a finanziare la spesa
pubblica. Spesso però questa differenza tra valore nominale e valore intrinseco
delle monete non era limitata ai “costi sostenuti per coniarle: già con i
romani, da Settimio Severo si può parlare di grande flessibilità del signoraggio:
questo imperatore dimezzò la quantità di metallo prezioso contenuto nelle
monete, lasciando invariato il valore nominale.
Tra l'800 e il 1200, il
sistema monetario europeo era semplice, basato quasi esclusivamente sul Denarius introdotto da Carlo Magno. Con
la caduta di Costantinopoli, le signorie europee, a partire da Genova e
Firenze, tornarono a battere moneta, creando una circolazione fatta di tanti
diversi tipi di moneta, con diverse denominazioni, coniate in differenti
metalli (oro, argento, rame) e con diversi standard di purezza. A questo punto
si pose il problema giuridico se il monarca potesse imporre una tassa di
signoraggio sulla produzione delle monete: la scuola giuridica dei canonisti
elaborò un orientamento favorevole; quella dei romanisti sostenne che il
signoraggio avrebbe dovuto, invece, essere nullo. Nei secoli successivi, con la
rivoluzione industriale e, nel XX secolo con la Conferenza di Bretton Woods, si
assistette al graduale abbandono dei sistemi monetari fondati sui metalli
preziosi e sulla convertibilità delle monete in oro. La crescita
degli scambi economici, provocata dalla rivoluzione industriale, rese necessario
l'uso di monete la cui offerta non fosse vincolata dalla limitata disponibilità
di metalli preziosi. Inoltre l'affermarsi di talune monete, sempre più diffuse
e accettate negli scambi internazionali, rese obsoleto il ricorso all'oro per regolare tali scambi. Infine l'affermazione del biglietto di banca
e di altre forme di pagamento svincolate dall'uso di metalli preziosi alimentò
sistemi di pagamento totalmente slegati dalla moneta aurea.
La circolazione
cartacea, prima vincolata alla conversione in oro e poi definitivamente da questo
sganciata, continuò ad attribuire agli Stati dove la moneta veniva stampata,
questo “diritto di conio”, che, pur non riguardando più il metallo, continuava
ad essergli attribuito. Nella moderna economia il signoraggio è una delle fonti
con cui un governo finanzia il proprio disavanzo di bilancio, cioè la quantità
di spesa pubblica non coperta dalla raccolta di tributi. Con la leva della
stampa “in surplus” delle banconote, inoltre, lo Stato cominciò ad
autofinanziarsi, creando nella massa monetaria circolante un diminuzione di
valore proporzionale alla maggiore quantità emessa.
Cari amici, dalla tassa
di conio di ieri alla emissione di moneta in surplus di oggi, di tempo ne è trascorso
e di acqua sotto i ponti tanta ne è passata! Nella prossima puntata vedremo il
passaggio dalla Lira all’Euro e parleremo della nuova situazione creatasi in
Europa, dopo che, non potendo più gli Stati appartenenti alla Comunità Europea emettere
moneta propria, questa viene gestita direttamente da una Banca Centrale per
tutti: la Banca Centrale Europea.
Ciao, a domani!
Mario
Nessun commento:
Posta un commento