martedì, febbraio 11, 2014

I SARDI E L’INDIPENDENZA: SIAMO SICURI CHE L’ABBIANO MAI CERCATA O VOLUTA? A LEGGERE CON ATTENZIONE L’INNO DEL MANNU DEL 1795, FORSE NO, PERCHE’ ANCH’ESSO, NONOSTANTE LE APPARENZE, E’ IMPREGNATO DI SERVILISMO!



Oristano 11 Febbraio 2014
Cari amici,
sappiamo tutti che sotto le elezioni si rispolverano tanti obiettivi da raggiungere, da mettere in “agenda elettorale”, capaci "a parole" in un sol colpo di trasformare la Sardegna in un Eldorado. Tentativi, spesso chimerici, fatti per stuzzicare elettori sempre più delusi dalla passate false promesse e ormai rassegnati a non credere più a nessuno. Le fanfare elettorali sono ripartite alla grande anche in questo inizio d’anno per le imminenti elezioni regionali e, forse più che negli anni precedenti, le promesse non mancano: sono orientate verso una ventilata nuova ricerca di autonomia, a partire dalla “zona franca”, primario cavallo di battaglia, ed a seguire la dovuta “continuità territoriale”, “l’autonomia degli uffici di riscossione delle entrate fiscali”, e altre promesse di simile tenore.
Inutile negare che ogni candidato, anche quello che a lungo ha governato, cerca di far ricadere le colpe dei mali attuali sull’altro contendente, dimenticandosi, forse, che proprio colui nei cinque anni precedenti era al timone, a tutto ha pensato tranne che a cercare di risolvere il problema che oggi vanta di voler portare avanti. In questi giorni (esercizio che invece dovremo fare tutto l’anno) uscendo in strada, anche solo per una passeggiata, la gente chiacchiera più facilmente e i motivi per discutere non mancano. Anche i nostri uomini che nella scorsa legislatura abbiamo mandato a Cagliari in Viale Trento a governarci, sono più disponibili a sorridere, allungare le mani per stringercele o addirittura per abbracciarci, quasi che tornassero da qualche “estrema missione bellica” nell’altra parte del mondo! 
Chissà perché nel lungo periodo della legislatura mai e poi mai hanno percorso Via Dritta in lungo ed in largo per informarci di quanto stavano facendo per il bene della città e del nostro territorio! Eppure oggi continuano a bombardarci con programmi che nessuno, neanche i bambini, sono disponibili a credere possibili e che saranno in grado di portare avanti.
Da sempre ai partiti nazionali poco o niente è importato della Sardegna, che ha continuato ad essere solo una terra di conquista, ed i sardi “pocos, locos y mal unidos”, come la triste definizione dell'arcivescovo spagnolo Antonio Parragues de Castillejo, che nel 1.500 così ci etichettava. Dice bene il grande professore Francesco Cesare Casula che su l’Unione Sarda di oggi, rispondendo al direttore del giornale Anthony Muroni, afferma che noi sardi “siamo talmente abituati all’auto-colonizzazione culturale che l’applichiamo anche ai simboli identificativi, senza nemmeno badarci…”. Sull’affermazione fatta Egli precisa che quando i reduci della Prima guerra mondiale fondarono nel 1920 il Partito Sardo d’Azione, di tutte le rappresentazioni grafiche, che dal 1.300 davano la bandiera del Regno di Sardegna formata da quattro teste di moro inquartati senza bende o con la benda sulla fronte o addirittura con la corona in segno di regalità, i nostri sardisti scelsero, come emblema del movimento, i Quattro Mori con la benda sugli occhi, avallando e confermando lo stato di sottomissione e di schiavitù in cui si trovavano.
Il professor Casula, a conferma del perenne stato di sudditanza, insito nel nostro DNA, precisa che anche l’inno “Il patriota sardo contro i feudatari”, scritto nel 1795 da Francesco Ignazio Mannu, Giudice della Reale udienza, più che un inno patriotico, che anela alla libertà di un popolo, risulta anch’esso un inno di sottomissione. La prova inoppugnabile la troviamo nelle prime strofe dell’inno: “Procurad’e moderare, Barones, sa tirannia (cercate di moderare, o Baroni, la tirannia…)”, invocazione che, quasi con garbo, chiede ai Baroni non di lasciare la nostra terra, come sarebbe stato nel nostro pieno diritto, invitandoli perentoriamente a tornare a casa loro, ma solo di attenuare, di diminuire la tirannia applicata!
Sarà, questa nostra sudditanza, frutto di centinaia d'anni di dominazioni straniere, anche di migliaia di anni, se torniamo indietro al periodo fenicio-punico o romano, ma è tempo che l’orgoglio dei sardi dica basta a quanti continuano a considerare l’Isola ancora una colonia. Le industrie inquinanti imposte negli scorsi anni (basti pensare a quelle della raffinazione ed a quelle dell’alluminio), così come le errate trasformazioni di territori ad antica vocazione agro pastorale (come Ottana), hanno lasciato l’isola piena solo di macerie.

Se i sardi non reagiranno, pensando a costituire un forte fronte comune, sarà difficile che la Sardegna esca dal guado. Sarà difficile che i nostri figli, anche quelli laureati a pieni voti, possano trovare un lavoro dignitoso nell’isola, anziché emigrare, portando ad altri il nostro sapere. E i nostri piccoli paesi, come ho scritto in altra parte di questo blog, continueranno a spopolarsi e, di questo passo, i già pochi sardi (siamo meno di un milione e mezzo) si ridurranno al lumicino.
E’ questo l’avvenire che vogliamo per la nostra Isola? Ricordiamoci che la Sardegna è dei Sardi, cosa che da tempo, forse, abbiamo dimenticato.
Grazie dell’attenzione.
Mario

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