Oristano 5 Febbraio
2014
Cari amici,
oggi vorrei parlare con Voi della FERULA, l’infestante pianta presente praticamente
in quasi tutti i terreni dell’Isola: dall’alta collina fino ai pascoli
rivieraschi. Parlare di ferula con i pastori è come parlare del diavolo in
persona, considerato che quest’erba ha spesso decimato il bestiame al pascolo.
Eppure questa pianta tanto vituperata, oltre i suoi veleni, ha anche le sue
virtù nascoste, che lentamente l’uomo sta portando alla luce. Conosciamola
meglio, allora, partendo dalla sua classificazione scientifica.
La Ferula communis L.,
volgarmente conosciuta come Finocchiaccio o Ferla, è originaria del bacino del
Mediterraneo. Appartiene alla Famiglia delle Apiaceae, Genere Ferula, Specie
Ferula Communis. Il suo nome deriva dalla lingua latina, dove il vocabolo
significa “pianta a fusto dritto”. E’ una pianta erbacea perenne
alta da 1 a 3 metri, con fusto eretto, un po’ legnoso alla
base e ramoso nella metà superiore; pianta a riposo d’estate è poco
appariscente in inverno, mentre in primavera, alla fioritura, il fusto si
allunga in un alto scapo fiorale che persiste a lungo sulla pianta anche quando
è secco. Le foglie basali sono lunghe 30-60 cm o più, con ampie guaine, più
volte pennate, a lacinie lineari mucronate. I fiori abbastanza piccoli sono
riuniti in numerose ombrelle, la centrale a 25-40 raggi, mentre le laterali sono
più piccole; prima della fioritura le ombrelle sono avvolte dalla guaina
rigonfia della foglia; i petali sono gialli ed i frutti, lunghi 12-18 mm, sono
diacheni appiattiti con le coste laterali saldate in un'ala. Fiorisce tra
maggio e giugno.
La ferula è considerata
pericolosa ed è assai temuta dai pastori, in quanto alcune componenti della
pianta fanno ammalare e spesso morire il bestiame che la ingerisce. Alcuni
principi attivi che si rinvengono nei tessuti di questa pianta, infatti, sono
di natura tossica (dicumarinica), ad attività anticoagulante. La sintomatologia
che l’ingestione presenta è infatti di tipo emorragico ed è stata riscontrata
in maniera più frequente in ovini, caprini, bovini ed equini, che si erano
cibati della pianta (Mal della Ferula). Fortunatamente nei pascoli naturali il
bestiame scarta abitualmente la ferula e non se ne ciba, anche se questo consente
alla ferula di crescere senza ostacoli, arrivando a fiorire copiosamente e,
disperdendo senza ostacoli i suoi semi, riproducendosi in modo infestante. Il
rischio maggiore di intossicazione per il bestiame lo si ha soprattutto quando
questi pascoli-prati con ferula vengono falciati a foraggio; mista al fieno essiccato
e fornita come mangime, unitamente ad altre essenze foraggere, il bestiame non
è più in grado di riconoscere e scartare la ferula, facendo sorgere
l'intossicazione che procede in modo silente ma continuo, con il rischio di
falcidia di intere mandrie.
La ferula, nei secoli, ha
alimentato non poche leggende. La più nota è quella che parla dell’origine del
fuoco, giunto sulla terra per mezzo di un bastone ardente proprio nella
spugnosa cavità di una ferula. Alla pianta, infatti, viene attribuito il merito
di aver trasportato sulla terra il fuoco custodito negli inferi. La ferula,
secondo la leggenda, fu il mezzo utilizzato da S. Antonio abate per rubare il
fuoco dall'inferno per donarlo agli uomini; il Santo, si narra, ottenuto il
permesso dai demoni di entrare all'inferno per riscaldarsi, li ingannò,
frugando col suo bastone di ferula fra i tizzoni ardenti fino a che una
scintilla accese il midollo spugnoso all'interno; quando uscì dall’Inferno poté
così, senza farsi notare, portare via il
fuoco donandolo all'umanità. All'origine della leggenda del fuoco di S. Antonio
c'è indubbiamente il mito del furto del fuoco, elemento celeste, compiuto da
Prometeo ed elargito agli uomini. Per questo Zeus lo condannò e lo fece
incatenare sul picco di una montagna dove ogni giorno un gigantesco rapace gli
divorava il fegato che la notte si riproduceva in continuazione per rendere
perenne il supplizio.
In tempo antico alla
pianta sono state attribuite anche altre qualità magico-religiose. La cultura
sarda del passato attribuiva alla ferula delle virtù soprannaturali, come dimostra
ad esempio il rito praticato dell’invocazione al diavolo per far cessare la
siccità. Si narra che anche fino a qualche secolo fa nel centro Sardegna, nei
lunghi periodi di siccità, proprio con la ferula si costruivano delle
portantine che, ornate di erbe e fronde, venivano portate in giro per le vie
del paese recitando: "Maimone, Maimone /abba cheret su laore /abba cheret
su siccau /Maimone llau llau!" ("Maimone, Maimone /acqua cerca il
frumento /acqua cerca la terra riarsa /Maimone lodato lodato!"). Le donne
dalle finestre spruzzavano acqua sulle portantine per potenziare la
"preghiera" a questa divinità infera, artefice del bello e del
cattivo tempo.
L’economia essenziale
praticata dalla civiltà agricola e pastorale nei secoli passati, che con
intelligenza utilizzava tutto quanto poteva risultare utile nella vita
quotidiana, aveva cercato di valorizzare anche la ferula che, pur essendo un vegetale poco
gradito per la suaa tossicità, doveva, anch’esso, contribuire a fare la sua
parte nella magra economia di sussistenza. Già al tempo dei Romani Marziale scriveva
che i fusti della ferula servivano ai maestri come sferze per le punizioni
corporali degli scolari riottosi. Nel Medioevo, invece, gli amanuensi utilizzavano
i fusti più grossi della ferula per conservare negli scapi internodali,
svuotati ed essiccati, i manoscritti più preziosi e delicati. Nell'Isola, da
secoli, con i fusti secchi della ferula si sono costruiti sgabelli, sedie e
tavolini, che avevano il pregio della leggerezza unita alla solidità. I
flessibili e leggeri bastoni della ferula in casa del pastore (o in “Su Pinnetu”),
diventavano preziosi graticci, "sos cannitos", che servivano per
stagionare il formaggio; assemblando scelti fusti di ferula con cordame
vegetale, gli abili pastori creavano un comodo piano d’appoggio che, appeso al
soffitto, conteneva le forme di formaggio da affumicare o stagionare. La
leggerezza e la resistenza della ferula consentivano anche la fabbricazione di
pregiati e curiosi giocattoli per i bambini: cavallucci, seggioline, animaletti
e strutture per le bambole di pezza, quando non si aveva di meglio. Unitamente
al sughero i fusti di ferula erano la base per la fabbricazione di tanti
oggetti domestici di uso corrente.
Si direbbe che, se la
ferula non è pianta commestibile per gli animali, tanto meno dovrebbe esserlo
per le persone. Il pastore, invece, se temeva la moria del bestiame per l’ingestione
della ferula, non aveva, però, paura di mangiarla. In tempi di carestia, è pur
vero, che anche la ferula diventava cibo prezioso! In Baronia, nei secoli
passati, i pastori mangiavano con il formaggio qualche fettina di gambo fresco
di ferula, forse per esorcizzare la possibile moria del bestiame. Un
"transfert" di vaccino mitridatico? Forse, comunque questo mettere a
rischio la propria salute per quella del gregge, fa capire quanto il bestiame e
il pascolo fossero vitali nell'economia pastorale sarda, tanto da provocare
abigeati e faide generazionali ancora non scomparse del tutto.
A questo proposito, storicamente,
c’è una tradizione antica di edibilità della ferula testimoniata ad esempio da
C. Durante, che scrive nell'"Herbario nuovo" pubblicato nel 1585: "...cavano
i pastori alle ferole quasi nel primo nascimento, un certo cuore simile a un
torzo d'uovo duro: il quale cotto sotto cenere calda, bene involto in carta o
in pezza bagnata, et mangiato poscia con pepe et con sale, è veramente
gratissimo cibo, et convenevole assai per fortificare i venerei appetiti…” (facendo
intendere, quindi, che avesse un certo potere afrodisiaco). Anche Siro Vannelli
nel libro "Erbe selvatiche e commestibili della Sardegna", sostiene
di aver mangiato durante una manifestazione conviviale organizzata dalla
cooperativa "La Siniscolese" nel 1988, il midollo di ferula cotto
come detto sopra, senza però restare particolarmente colpito dalla sua qualità
organolettica. Non fa cenno, però, Vannelli, alle qualità afrodisiache!
Commestibile
o no, comunque, la ferula ha un proficuo connubio, particolarmente speciale,
con un fungo di grandissimo gradimento: alla base della ferula cresce, in
simbiosi, qualcosa di veramente buono, il Pleurotus ferulae, fungo mangereccio
fra i più ricercati nell'Isola per il suo eccellente sapore, conosciuto
localmente come "cardulinu 'e pezza" (fungo di carne), "feurrazzu" o anche "antunna 'e feurra".
Ogni pianta che esiste
sulla terra, cari amici, ha una sua funzione ben precisa, e anche la ferula non
sfugge a questo destino. Un altro esempio di utilità della ferula è dimostrato
dal “connubio” che la lega ad una bellissima farfalla: l’Ospitone. Essa
appartiene ad una specie endemica della Sardegna e della Corsica, è piuttosto
vistosa, per colore e dimensioni, raggiungendo i 7-7.5 cm di apertura alare. La
colorazione di fondo delle ali è gialla con reticolatura scura. La farfalla si
nutre di nettare dei fiori di varie specie, ma in particolare delle composite
spinose come i cardi. La femmina depone le uova nelle foglie della ferula tra
giugno e luglio. A luglio compaiono le prime larve. Il bruco d’ospitone in
Sardegna si nutre quasi esclusivamente di germogli di ferula.
Prima
di chiudere questa chiacchierata un’ultima curiosità: cosa accomuna la ferula al
il riso sardonico? Una risposta ci può venire da studi recenti.
Il Dottor Giovanni Appendino, chimico organico dell’Università degli Studi del
Piemonte e fautore di un’importante scoperta sull’Herba sardonia, ed il prof.
Ballero, un botanico dell’Università di Cagliari, hanno effettuato studi approfonditi
sulle piante tossiche della Sardegna, in particolare su quelle appartenenti
alla famiglia delle Umbelliferae. Dopo aver preso in esame la ferula gli
studiosi sono arrivati a collegare gli effetti tossici di questa pianta proprio
al riso sardonico. In una varietà di ferula è stato isolato un fitoestrogeno
molto potente (a dire il vero, il più potente descritto finora) che ha fatto
pensare al silfio di Cirene, una ferula estinta già nel primo secolo e che,
secondo gli scrittori antichi, sarebbe stata usata, oltre che come spezia,
anche come contraccettivo. L’isolamento di un composto a potente azione
ormonale, da questa varietà di Ferula di origine mediterranea, rende plausibile
l’ipotesi formulata. Lo studio ha dimostrato che l’ingestione delle tossine
contenute nella ferula vengono rapidamente assorbite dall’organismo; la veloce
metabolizzazione della sostanza tossica blocca il recettore del GABA-A, il
principale “interruttore” inibitore del nostro sistema nervoso centrale. Poiché
lo stato di tensione dei nostri muscoli è il risultato di un bilanciamento fra
stimoli di contrazione e di rilascio, dove il GABA media gli stimoli di
rilascio, con il blocco causato dalla tossina vengono a prevalere quelli di
contrazione, con spasmi muscolari. I muscoli del volto sono fra i primi ad
esserne interessati. La contrazione dei muscoli labiali mette allo scoperto i
denti, mimando, per certi versi, il movimento volontario che facciamo quando
ridiamo. Da qui l’origine del termine “Riso
Sardonico”, con molta probabilità originato proprio dall’ingestione delle
tossine della ferula.
Cari amici, credo che
molti di Voi (io per primo) non avessero mai conosciuto la ferula sotto questi
molteplici aspetti, sia positivi che negativi, anche se appagare la curiosità è
non solo lecito ma soprattutto interessante. Per ora ci basti pensare alla
ferula come materia prima per i tanti utili oggetti e “souvenir” che con il suo
fusto possiamo realizzare, non solo per le nostre case ma anche per il flusso turistico
che ci auguriamo cresca sempre di più e, soprattutto, come pianta in felice simbiosi con i meravigliosi funghi che nelle sue radici si sviluppano, regalandoci uno di quegli straordinari e meravigliosi “Sapori
di Sardegna”! Senza dimenticare Ospitone, la bellissima farfalla che usa la
ferula come insostituibile veicolo di riproduzione, e che a noi regala la visione
di bellissimi e colorati voli, nel meraviglioso e tiepido cielo della nostra
isola!
Grazie dell’attenzione.
Mario
13 commenti:
Grazie per l'esauriente storia-analisi sulla ferula. Personalmente da insegnante privato per ripetizioni alle "teste intelligenti non volenterose", anch'io ho usato il bastoncino di ferula, come diceva Marziale. Ovviamente più come minaccia che percosse.
Si può mangiare la carne bovina dopo che l'animale é morto dall ingestione di ferula?
Il riso sardonico era dovuto alla Oenanthe crocata non alla ferula
È una pianta comune anche in Puglia ed i semi secchi vengono utilizzati per aromatizzare alcuni cibi come taralli.
Non penso siano semi di ferula, ma piuttosto di finocchio
https://www.altamuralife.it/rubriche/natura-murgiana/il-finocchietto-selvatico-dalla-murgia-alla-tavola/
Può essere confusa facilmente in quanto appartenente alla stessa famiglia
Ero già a conoscenza di questa beneficio della pianta di ferula
Molto interessante
Si può fare un unguento per dalle radici per curare il mal di ginocchio
Grazie Antonio
Grazie davvero, storia affascinante ed esaustiva.
Spero proprio di no!!!!!
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