Oristano, 13 Febbraio
2014,
Cari amici,
sembra una telenovela
la triste vicenda dei due marinai italiani prigionieri in India da ben due
anni, in aperta violazione del diritto internazionale, che, tra accuse, rinvii,
reticenze e continui aggiornamenti, cerca in tutti i modi di attribuire a due
poveri ragazzi ed alla nostra Nazione colpe inesistenti. La vicenda presenta
aspetti addirittura kafkiani, considerati i sotterfugi a cui l’India finora ha fatto
ricorso. Per una migliore conoscenza dei fatti riepilogo, sinteticamente,
l’evolversi della vicenda.
La crisi diplomatica è scoppiata
fra India e Italia nel Febbraio del 2012 ed aveva per oggetto una “controversia
internazionale” riguardante la morte di due pescatori indiani, avvenuta nel Mar
Arabico il 15 febbraio 2012, al largo della costa del Kerala (sud dell'India).
Di questo episodio esistono due versioni discordanti. Secondo la versione
ufficiale italiana, nel corso di un'operazione di scorta ad una nave
mercantile, volta a contrastare atti di pirateria, alcuni membri del nucleo
militare di protezione (NMP) della Marina Militare italiana, presenti a bordo
della petroliera Aframax Enrica Lexie ed appartenenti al corpo dei marò,
sarebbero stati costretti ad usare graduali misure di dissuasione contro
un'imbarcazione da pesca, con a bordo 5 persone armate, che avrebbero mostrato
evidenti intenzioni di attacco, arrivando ad usare le armi in dotazione con tre
serie di colpi d'avvertimento. Secondo la versione indiana, invece, l'incidente,
avvenuto all’interno delle proprie acque territoriali, avrebbe causato, per
l’uso delle armi da parte dei marò italiani, la morte di due pescatori, Ajesh
Pink e Valentine, altrimenti detto Gelastine, nativi rispettivamente del Tamil
Nadu e del Kerala, imbarcati su un peschereccio impegnato in normali operazioni
di pesca.
L'incidente ha
provocato un acceso scontro diplomatico tra Italia ed India, con conseguente
apertura di un'indagine per omicidio e il successivo arresto dei due
sottufficiali di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Le autorità
italiane hanno contestato con forza la procedura seguita, sostenendo che la
giurisdizione sul caso è italiana, in conformità al diritto internazionale
generale e convenzionale, in quanto l’incidente si sarebbe verificato in acque
internazionali, su una nave battente bandiera italiana, ed essendovi rimasti coinvolti
militari italiani, operanti nell'ambito di un'operazione antipirateria,
raccomandata da norme internazionali. Secondo le autorità indiane, invece, l'incidente
sarebbe invece avvenuto nella cosiddetta “fascia contigua”, in cui vige
comunque il diritto di giurisdizione dello Stato costiero.
Inizia così un lungo
braccio di ferro giuridico-diplomatico tra i due Stati che, di giorno in
giorno, di mese in mese, non ha assolutamente portato a soluzione il
problema. Per mesi nessuno degli
Organismi Internazionali ha mosso, come avrebbe dovuto, neppure un dito, per
costringere l’India a rispettare le norme Internazionali di civile convivenza
tra Stati, lasciando l’Italia “sola” a combattere contro il colosso indiano.
Solo di recente l’Europa ha iniziato a far sentire la sua voce. "Seguiamo
la situazione molto da vicino e sollecitiamo l'India a trovare con urgenza una
soluzione mutualmente soddisfacente e nel quadro delle convenzioni
dell'Onu", ha dichiarato il portavoce del capo della diplomazia dell’Unione
Europea, Catherine Ashton, rispondendo alle sollecitazioni sul caso dei due
marò. Poco, davvero poco, rispetto alle necessità. L’Unione Europea avrebbe
dovuto esercitare pressioni politiche e diplomatiche ben più efficaci, per
indurre l’India al pieno rispetto del diritto internazionale, paventando ed
eventualmente applicando, serie contromisure (le c.d. “sanzioni”) di natura
politica, diplomatica e commerciale.
Gli ultimi sviluppi,
stando alle notizie più recenti, vedono in dirittura d’arrivo un pericoloso
processo che si celebrerà applicando la legge antiterrorismo. L’8 febbraio 2014,
infatti, il ministro dell'Interno indiano Kuldeep Dhatwalia ha autorizzato la
NIA (organismo investigativo indiano) a portare avanti l'accusa nei confronti
dei due marò sulla base del c.d. Sua
Act, la legge che punisce il terrorismo internazionale, pur escludendo
l'applicazione della pena di morte. A questa decisione l’11 febbraio ha
risposto l'alto rappresentante UE per gli Esteri e la Difesa Catherine Ashton,
che ha inviato una protesta scritta all'India, riferendosi in particolare all'imputazione
contestata, basata sulla legge antiterrorismo; decisione, quella indiana, che il
segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon non ha assolutamente
contestato, tirandosi elegantemente fuori da un coinvolgimento diretto,
affermando che la questione riguarda i rapporti bilaterali tra Italia e India.
Il 12 febbraio anche la NATO, per bocca del segretario generale Anders Fogh
Rasmussen, si è schierata a favore dell'Italia sulla vicenda, avvertendo l'India
delle conseguenze internazionali di un'accusa impropria, basata sulla legge
antiterrorismo.
Cari amici, certamente la
triste vicenda dei due marò italiani, prigionieri da due anni in India, è una storia
nata male ma che potrebbe finire anche peggio. Questo impone a tutti noi di
reagire: tutti devono far sentire con forza le giuste ragioni dei nostri
connazionali e dell’Italia intera, umiliata e vilipesa dall’arroganza di una
nazione che, chissà per quali oscure ragioni, non intende rispettare le regole
internazionali di pacifica convivenza. Mentre l’Italia dovrà,
prima possibile, sollevare la questione dinanzi ad un tribunale internazionale
perché vengano accertati seriamente i fatti e, di conseguenza, le rispettive
posizioni e responsabilità giuridiche di diritto internazionale, tutti gli
italiani, sia come singoli che come Enti o Associazioni, dovranno far sentire con
forza la loro voce, mostrando al mondo intero tutto il nostro sdegno e la
nostra riprovazione per la terribile violazione dei diritti umani e civili. Nel
frattempo, i politici nazionali ed europei dovranno operare con forza sul piano
politico-diplomatico ottenendo (mediante le opportune pressioni e contromisure
ed il prima possibile) il rilascio dei due marò. Poi sarà il momento dei
tribunali che accerteranno tutta la verità.
Nessuno
di noi può restare a guardare: tutti abbiamo delle responsabilità morali,
nessuno escluso, e dovremo impegnarci seriamente a fare la nostra parte!
Mario
Nessun commento:
Posta un commento