Cari amici,
Febbraio è il mese del
Carnevale. Fin dall’antichità l’uomo ha voluto festeggiare il passaggio da un
anno all’altro con riti propiziatori, effettuati con la variopinta esibizione
di una lunga serie di maschere dalle forme più curiose, raffiguranti animali o
volti deturpati, orridi o androgini (come quella della Sartiglia), tutti, però
con un preciso scopo: far entrare chi la indossa in un’altra identità, capace
di mediare tra terra e cielo.
L’uso della maschera da parte dell’uomo è
iniziato in epoca lontanissima, addirittura preistorica, per celebrare rituali
religiosi. Essa è stata sempre considerata un efficace mezzo di comunicazione
tra gli uomini e le divinità, uno strumento capace di far scomparire l’uomo
terreno e proiettarlo all'interno di un “altro mondo”: divino, rituale,
mistico. Colui che indossava la maschera perdeva la propria identità per
assumerne un’altra, quella rappresentata dalla maschera; strumento, quindi, veicolo
di comunicazione con lo spirito con il quale si desiderava agire ed al quale
trasmettere le richieste di grazia.
Dai primi antichi
rituali tribali la maschera ha esteso nel tempo il suo “potere” di comunicazione
e di intermediazione: è diventata prima maschera funebre presso la civiltà
egizia, cultura poi trasmessa alle civiltà greche e fenicio-puniche, e
successivamente maschera per i riti celebrativi gioiosi, come nella cultura
romana classica (l'utilizzo rituale delle maschere è descritto da Virgilio in
un passo delle Georgiche, indossate in onore di Bacco, in un clima celebrativo
gioioso e spensierato). Il rapporto fra maschera e morte resta, però, sempre
solido: si accentua nel mondo ellenistico e all'interno dei culti misterici
romani. La maschera di Sileno, ad esempio, diviene uno dei simboli per
eccellenza della morte iniziatica (cfr. affreschi della Villa dei Misteri a
Pompei). La sua capacità di inter-relazionare il sacro con il profano, fa della
maschera un veicolo unico per l’uso teatrale della stessa, cosa che troviamo già
applicata nel contesto greco-romano.
Il teatro, infatti,
eredita in modo straordinario l’uso di questo strumento, capace di apportare mirabili
trasformazioni. Nel teatro greco le maschere avevano la doppia funzione di
caratterizzare il personaggio e di fungere da cassa di risonanza sonora per
amplificare la voce e rendere più udibili i dialoghi. Tutte le culture
successive ne hanno poi fatto uso: nell'epoca barocca l'uso di maschere venne esteso
anche alle rappresentazioni musicali. Dal teatro alla goliardia, il passo fu breve.
Esaurita la funzione per gli antichi rituali, oggi la maschera è appannaggio
quasi esclusivo dei festeggiamenti carnevaleschi di Febbraio, diffusi in tutto
il mondo. L’Italia (Venezia in primis) vanta tradizioni carnevalesche
meravigliose, anche se la Sardegna non è dammeno: la nostra Isola ha una
incredibile varietà di maschere carnevalesche da fare invidia a qualunque
regione.
A parte la classica,
storica, maschera della Sartiglia di Oristano (sicuramente la più nota fuori
dall’Isola), tante altre compongono il vivace e variopinto carnevale sardo.
Nella chiacchierata con Voi di oggi mi piace passare in rassegna questi
curiosi “paludamenti carnevaleschi”, che in Sardegna sono almeno una trentina:
2 le maschere maggiormente in uso nel Cagliaritano, 16 le più note nel Nuorese, 1 nell’Ogliastra
e 9 nell’Oristanese. Vediamole insieme.
Maschere
del Cagliaritano (2):
Is
Cerbus. Le maschere Is Cerbus di Sinnai rappresentano una ritorno
all’antico, certamente legate ai riti dionisiaci, evidenziando l’eterna lotta
tra l’uomo e la natura. Is Cerbus rappresentano i cervi, sul capo hanno la testa
e le corna e sono costantemente predati e catturati dai cacciatori.
Is Mustayonis e s’Orcu
Foresu. Il carnevale di Sestu è rappresentato da “S’Orku
Foresu e is Mustayonis”. S’Orku Foresu è una maschera zoomorfa: ha lunghe corna
sul capo, un vestito di pelle scura e cammina carica di campanacci. S’Orcu è
legato con una corda ai Mustaionis che, durante il tragitto, lo percuotono
costringendolo a stramazzare a terra esanime.
Maschere
d’Ogliastra (1):
Su
Maimulu. Il carnevale ogliastrino di Ulassai ha luogo dalla
notte di San Sebastiano fino al giorno di Martedì grasso ed è caratterizzato dalla
questua in onore del fantoccio “su Maimoni”;
completano il gruppo carnevalesco sa Ingrastula, ossia la madre del
carnevale, su Maimulu, personificazione vivente del Carnevale, l’orso, ”ursu o
omini aresti”, con i guardiani “omadoris”, is Assogadoris, i pastori provisti
di lazzi di “soga” e sa Martinica, ossia la donna-uomo-scimmia che questuando
disturba s’Ingrastula, rubandole spesso e volentieri i doni della gente. L’ultimo
giorno viene bruciato il fantoccio presso la piazza di Barigau, a Ulassai.
Maschere
del Nuorese (16):
Su
Harrasehare Lodinesu. Il Carnevale di Lodine, paese al
centro della Barbagia, si svolge il
Mercoledì delle Ceneri. Il protagonista è il classico fantoccio carnevalesco
con l’aspetto di un personaggio, più o meno noto, che si è messo in evidenza
per motivi negativi e che per questo viene deriso da “Sas Umpanzias”, uomini
mascherati di nero. Il corteo segue il fantoccio sbeffeggiandolo e schernendolo
con rime in barbaricino.
Boes
e Merdules. Quello di Ottana, uno dei più noti,
autentici e affascinati carnevali della Sardegna, ha tre protagonisti
principali: sos Boes, i buoi, ricoperti di campanacci e pelli di pecora e
tenuti dalle redini da sos Merdùles, uomini col viso coperto da atroci maschere
nere, e infine Sa Filonzana (o “Sa ilonzana”), una spaventosa e misteriosa
vecchia che fila la lana. Il “Carrasegare de Otzana”, come gli altri carnevali
sardi, affonda le sue radici nel mondo sardo arcaico e mette in scena i momenti
più importanti della vita agro-pastorale.
Su Bundu. Su Bundu è la maschera del carnevale
di Orani, piccolo comune della provincia di Nuoro. Su Bundu indossa abiti da
contadino, un cappotto largo, pantaloni di velluto, gambali di cuoio, e una
grossa maschera di sughero con corna, un naso prominente, il pizzo e dei baffi.
La maschera è stata recuperata a partire dal 1997.
Mamuthones e Issohadores. Probabilmente
quello di Mamoiada, paese al centro della Barbagia, è il carnevale sardo fra i più
noti fuori dalla Sardegna. I protagonisti assoluti sono le maschere dei
Mamuthones e degli Issohadores. I primi indossano le famosissime maschere nere
di legno, pelli ovine sul corpo e soprattutto pesanti campanacci sulla schiena,
che agitano seguendo dei precisi passi di danza. Gli Issohadores hanno un
aspetto più umano, portano giubbe rosse e pantaloni bianchi. I due gruppi
portano avanti una vera e propria cerimonia, tanto affascinante quanto
misteriosa, che affonda le sue radici nella lontana cultura sarda agro-pastorale
e nei riti legati ai culti dionisiaci.
S’Urtzu e Mamutzones di Aritzo. La
maschera dei Mammutzones di Aritzo è stata riscoperta in tempi recenti a
seguito di ricerche etnografiche. I mammutzones indossano una lunga giacca
senza maniche, tipica dei pastori sardi, di pelle scura (di pecora o di capra)
e sulla testa una sorta di copricapo in sughero coperto di pelle, con corna di
capra o di muflone, o anche un’intera testa di animale. La fuliggine annerisce
il viso dei mammutzones, mentre il petto e le spalle sono ricoperte di pesanti
campanacci. Nei giorni del Carnevale i mammutzones avanzano saltellanti verso
S’Urtzu, la vittima sacrificale.
Maschera a gattu. La
maschera più importante del carnevale di Sarule è “Sa maschera a gattu”, ormai
nota in tutta l’isola. La maschera indossa le due gonne del costume
tradizionale (“duos oddes”) al rovescio, una copertina bianca fermata da una
fascia rossa sulla testa e il caratteristico velo nero a coprire il viso,
simbolo di morte.
Il Carnevale di Ovodda. Il
Carnevale di Ovodda si differenzia dagli altri carnevali della Barbagia. Il
protagonista assoluto è Don Conte, un grosso fantoccio dall’aspetto grottesco,
con una grossa pancia fatta di stracci e il volto di sughero e cartapesta. Il
Mercoledì delle Ceneri Don Conte viene fatto sfilare su un carretto trainato da
un asino e addobbato con ortaggi, pelli d’animali e vari oggetti. Accompagnato
da un largo seguito lungo le vie del paese, il corteo aperto dal grosso
fantoccio è seguito da “sos Intintos”, cioè “i colorati”, uomini vestiti con
stracci e abiti vecchi, col volto annerito dalla fuliggine. Alcuni di loro, gli
Intinghidores, imbrattano con polvere di sughero bruciato (“zinziveddu”) i
malcapitati che incontrano per strada. In piazza si balla “su ballu tundu” intorno
al fuoco. Al tramonto Don Conte viene giustiziato: bruciato e gettato in una
scarpata alla periferia del paese. Da quel momento la comunità si riunisce
intorno a un ricco banchetto, in un momento di forte aggregazione sociale fino
a notte fonda.
Sas Mascaras Nettas e Sas Mascaras
Bruttas. Anche Lodè, piccolo comune del nuorese situato al centro della regione
delle Baronie, da alcuni anni ha recuperato le proprie maschere tradizionali.
Sono Sas Mascaras Nettas (le maschere pulite), rappresentate da uomini con
abbigliamento sia maschile che femminile con un alto copricapo su cui è avvolto
un fazzoletto, contrapposte a Sas Mascaras Bruttas, le vecchie maschere legate
ai culti pagani vietate dalle Chiesa durante l’evangelizzazione della Sardegna.
Sas Mascaras Nettas procedono in coppia – precedute da su Marratzaiu che suona
i campanacci e le guida – alla ricerca di spettatori da catturare. Se però ad
essere individuata come possibile preda è una donna si svolge un rituale che
onora la figura femminile: la prescelta viene accompagnata a casa dove offre da
bere alle maschere per poi essere riaccompagnata nel punto da cui era stata
prelevata.
S’Urtzu e is Sonaggiaos. A Ortueri
le maschere “Is sonaggiaos” prendono il nome dai campanacci che si appendono al
collo di buoi e pecore. Il gruppo principale, composto da uomini col viso nero,
ricoperti di pelli bianche, rappresenta infatti un gregge: avanza nelle strade
del paese a passo cadenzato agitando i campanacci. S’Urtzu invece è ricoperto
di pelli scure: è la bestia/demone che si agita e si dimena, aggredisce le
persone e si arrampica su case e alberi. Le maschere del carnevale di Ortueri
hanno diversi elementi in comune con le maschere degli altri paesi della stessa
zona con cui molto probabilmente condividono le stesse radici dionisiache,
tipiche della cultura agro-pastorale sarda. La maschera de “Is Sonaggiaos”,
dopo una scomparsa durata decenni, è stata riscoperta di recente basandosi sui
ricordi degli anziani e su una poesia di Bonaventura Licheri.
Urthos e Buttudos. S’Urthu e
sos Buttudos sono le maschere tradizionali di Fonni, il paese più alto della
Sardegna, nella provincia di Nuoro. S’Urthu, l’animale, ha il consueto
campanaccio ed è vestito di pelli nere o bianche, di montone o di caprone, e
viene tenuto alla catena da sos Buttudos, uomini incappucciati vestiti di nero,
con dei campanacci sulle spalle. Le due maschere, che compaiono per i fuochi di
Sant’Antonio, mettono in scena la classica lotta tra bene e male, tra l’uomo e
l’animale: s’Urthu, l’animale, cerca di scappare e di liberarsi arrampicandosi
ovunque, su alberi e balconi, mentre sos Buttudos cercano di domarlo.
Il Carnevale di Ollolai. Le
maschere tradizionali del carnevale di Ollolai, chiamate Sos Bumbones, sono Sos
Truccos o Sos Turcos, Maria Vressada, Maria Ishoppa e Sa Mamm’e e su Sole. Sono
figure femminili rappresentate da uomini avvolti in un pizzo bianco, mentre
sulle spalle portano una mantella e uno scialle rosso, viola e blu.
S’Urtzu e Sos Colonganos di Austis. Le
maschere di Austis, Sos Colonganos, pur essendo simili a tutte le altre
maschere barbaricine hanno una caratteristica fondamentale che li differenzia
dalle altre: sulle spalle, al posto dei tradizionali campanacci portano infatti
delle ossa di animali che vengono scosse per produrre un suono cupo, meno forte
di quello dei campanacci, ma di certo non meno affascinante. Si pensa che in
passato anche le altre maschere sarde portassero sulle spalle le ossa degli
animali al posto dei moderni campanacci. Sos Colonganos portano inoltre una
maschera di sughero ricoperta di rami di corbezzolo sul viso e pelli di volpe o
di martora sul capo. Ad accompagnare il gruppo c’è la tradizionale figura de
“S’Urtzu”, la vittima, vestito da cinghiale, che viene percosso dai due
guardiani incappucciati, vestiti completamente di nero. La maschera di Sos
Colonganos, che prende il nome dal grego kolos (pecora), fa parte delle
maschere riscoperte di recente in seguito a ricerche sull’antica cultura sarda.
Sos Tumbarinos. Sos
tumbarinos sono i tamburini che nei giorni del Carnevale animano le strade di
Gavoi, paese nel cuore della Barbagia, suonando all’impazzata sui tamburi
costruiti a mano con pelli di pecora e capra. Il vero protagonista di questo
carnevale infatti è proprio il suono, “su Sonu”. I tamburi di Sos tumbarinos
sono accompagnati da “su pipiolu” (il piffero), “su triangulu” (il triangolo)”
e “su tumborro”, una serraggia, strumento a corda realizzata con una vescica di
animale. Il carnevale di Gavoi, che ha anch’esso origine dagli antichi riti
dionisiaci, inizia dal giovedì grasso fino all’alba del mercoledì successivo.
La notte del martedì grasso si dà addio alla festa bruciando su un rogo
Zizzarone, il fantoccio del re del carnevale.
Sa Filonzana. “Attenti! Attenti! Arriva sa filonzana”, grida il pubblico di Mamoiada,
Orotelli, Ottana, etc. Sa Filonzana indossa una
triste e orribile maschera antropomorfa in legno e un ampio scialle nero. A
volte porta una grossa gobba. Ha in mano il fuso con cui fila la lana. E’ la
Parca sarda. In mano tiene il fuso e fila in continuazione un filo sottile. E'
il filo del nostro destino e lei lo conosce, è nelle sue mani. Ha una gobba
tanto pronunciata che quasi la spezza in due, è cattiva e ambigua. Fila di
continuo e quello che tutti temono è che il filo che tiene fra le mani si
spezzi, a significare la morte. La gente ha paura di lei e la rispetta ma non
la gradisce; ha infatti una gran brutta fama, anche se nessuno sa da cosa
derivi. La notte dei tempi, forse, l'ha vista nascere ma i racconti popolari
non ne hanno conservato l'origine. Sa filonzana è una maschera tipica del
carnevale sardo: spesso compare alla fine della sfilata, quasi un monito dopo
la baldoria tipica della festa.
Su Battileddu. Su Battileddu è la maschera del Carnevale di Lula, sicuramente una delle
più impressionanti del carnevale sardo. Ha il viso sporco di sangue e annerito
dalla fuliggine e il corpo ricoperto di pelli di pecora e montone. Sul capo
porta due corna fra le quali viene fissato uno stomaco di capra, mentre sulla
pancia, sotto i campanacci, uno stomaco di bue riempito di sangue, che viene
bucato di tanto in tanto. Su Battileddu è la vittima sacrificale del carnevale.
Intorno a lui si muovono maschere dal volto nero che lo aggrediscono più volte
fino a ucciderlo. Su Battileddu viene quindi fatto sfilare su un carro, ma alla
fine risorgerà, caratteristica che secondo molti dimostrerebbe come anche la
maschera di Lula, come la maggior parte delle maschere sarde, tragga origine
dai riti Dionisiaci. Su Battileddu, dopo un periodo di oblio nel Novecento, è
stato recuperato a partire dal 2001 e viene tuttora rappresentato.
Maschere
dell’Oristanese (9):
Su Componidori. Su Componidori, una sorta di cavaliere semi-dio: è l’enigmatica figura a
capo della Sartiglia, una spettacolare corsa all’anello di origine medievale
che si corre a Oristano ogni anno l’ultima domenica e il martedì di carnevale.
Su Componidori, dallo spagnolo “Componedor”, durante il momento solenne della
Vestizione indossa per la prima volta una maschera androgina di terracotta,
calzari in pelle, camicia bianca, un velo bianco sul capo e un cappello a
cilindro nero. Con quest’aspetto sceglierà e guiderà gli altri cavalieri
mascherati che avranno l’onore di correre nel tentativo di infilzare con la
spada una stella a cinque punte.
Karrasegare Osinku. Il momento culminante del Carnevale di Bosa, che i bosani chiamano
Karresegare, si ha nelle giornate di domenica, lunedì e martedì. Anticamente i
festeggiamenti in questo paese iniziavano la notte di Capodanno poiché venivano
aperte le sale da ballo frequentate sino alla notte del martedì grasso. Il
Carnevale bosano coinvolge l’intero paese i cui abitanti si improvvisano
artisti di strada esibendosi in drammatizzazioni e canti satirici. Il martedì
grasso è la giornata centrale del Carnevale bosano dedicato alla sfilata di
maschere con personaggi particolari: Gioldzi (il Re Giorgio, simbolo del
Carnevale) e le maschere di “s’attittidu” (lamento funebre). Al mattino molto
presto le Attittadoras passano per le strade, vestite completamente di nero,
piangendo per la morte di Gioldzi e i loro lamenti si sentono per tutto il
paese. Al tramonto del sole la scena cambia: le Attittadoras spariscono e
compaiono le maschere in bianco che rappresentano le anime del Carnevale che sta
finendo.
Sos Corriolos di Neoneli. Sos Corriolos sono le maschere del Carnevale di Neoneli, piccolo comune
in provincia di Oristano, situato nella regione storica del Barigadu,
riscoperte di recente grazie al ritrovamento di alcuni scritti del 1700. Sul copricapo,
generalmente di sughero, vengono applicate corna di daino o di cervo. Sulle
spalle indossano una pelle di riccio, mentre sulle schiena, al posto dei
tradizionali campanacci, scuotono delle ossa di animale, a rappresentare il
ciclo di morte e rinascita tipico di questi riti arcaici. Durante il rito le
maschere seguono il suono di un corno disponendosi in cerchio intorno a un
fuoco.
Maschera a lenzolu di Aidomaggiore. Le maschere tipiche del Carnevale di Aidomaggiore, piccolo comune di
circa 500 abitante della provincia di Oristano, sono le maschere “a lenzolu”:
di colore bianco il lunedì, di colore nero il martedì, il giorno della fine del
carnevale.
Sos Cotzulados. Sos Cotzulados, le maschere del carnevale di Cuglieri, piccolo centro in
provincia di Oristano, si discostano decisamente nell’abbigliamento dalle altre
tipiche maschere del carnevale sardo. Sos Cotzulados prendono infatti il nome
dalle conchiglie (principalmente valve) con le quali queste maschere si
ricoprono il corpo, sopra a pelli di capre e altri animali, e che scuotono per
produrre un suono apotropaico. Il viso di Sos Cotzulados è tinto di ocra gialla
e sulla fronte portano un corno sul cui significato originale non si hanno
notizie precise, ma si pensa possa rappresentare la cornucopia, cioè il corno
dell’abbondanza. La maschera è stata riscoperta di recente in seguito ad
attenti studi su un testo settecentesco del gesuita–poeta Bonaventura Licheri.
S’urtzu e sos Bardianos. S’Urtzu e Sos Bardianos di Ula Tirso sono fra quelle maschere recuperate
più o meno recentemente, nei primi anni 90, frutto di rielaborazioni degli
antichi carnevali. Si tratta del classico rapporto uomo-bestia, come in molti
altri carnevali sardi. S’Urtzu, figura presente anche altrove, è rappresentato
da un uomo che indossa la pelle di un cinghiale, un campanaccio e un pezzo di
sughero sulla schiena. L’animale viene percosso da sos Bardianos, uomini con il
viso e il vestito di colore nero, dotati di un bastone con cui colpiscono
s’Urtzu. A questi si affianca anche Maskinganna, altra figura popolare sarda,
che di solito rappresenta il diavolo.
Mamutzones di Samugheo. Le maschere tipiche di Samugheo sono i Mamutzones (da non confondere con
i Mamuthones). Il personaggio dominante del carnevale di Samugheo infatti è
senza dubbio su Mamutzone, che annuncia il suo arrivo a tarda sera, col rumore
inquietante dei campanacci che suonano al ritmo della sua danza. Con il volto nascosto dal sughero annerito e
grosse corna caprine sul capo, su mamutzone danza minaccioso intorno alla
maschera zoomorfa de “s’Urzu”, la sua vittima. S’ Urzu indossa un completo di
pelle di caprone nero con un campanaccio appeso al collo, ed è tenuto per la
corda da s’omadore, il pastore, vestito con un manto nero e il volto annerito
di fumo, che lo pungola e tormenta di continuo. Le maschere di Samugheo mettono
in scena rituali il cui significato più arcaico si è ormai perduto nel tempo.
Sos Corrajos. E’ la maschera di Paulilatino, comune di 2.500 abitanti in provincia di
Oristano. Si tratta di una di quelle maschere recuperate solo di recente, più
precisamente nel 2004, ad opera di un’associazione culturale. E’ possibile
vederla durante il Carrasegare paulesu, il carnevale di Paulilatino, o in
occasione di sfilate e incontri di maschere sarde.
Su Corongiaiu. “Su Corongiaiu” è la maschera di Laconi, piccolo comune della provincia
di Oristano, ricostruita e riproposta di recente dopo anni di oblio, come è
capitato a molte altre maschere del carnevale sardo. Su Corongiaiu indossa un
cappotto di lana di pecora e dei sonazzos che suonano a ogni passo.
Caratteristica di questa maschera è l’aspetto impressionante caratterizzato da
una grossa maschera di sughero con un grosso naso, una grande bocca, una barba
di pelle e grosse corna di capra sulla testa.
La
provincia di Sassari ha tradizioni carnevalesche abbastanza differenti,
rispetto al resto dell’Isola. Le più importanti sono le Maschere e i personaggi
celebri del Carnevale Tempiese, che sfilano unitamente a variopinti carri
allegorici, dove le antiche figure tradizionali in maschera sono: lu
Traicogghju, spirito che si trascina pelli di bue o di cavallo, catene e
paioli, arcaica sintesi tra figura animalesca e maschera demoniaca, la Réula,
schiera dei morti, e lu Linzolu cupaltatu, figura femminile avvolta in un
lenzuolo e per questo irriconoscibile e disinibita. Compaiono anche personaggi
che hanno fatto la storia del carnevale, come Garaoni, Sgiubbì o Pippinu
Mazzittoni. Alle sfilate, ormai note anche fuori dall’Isola, partecipano anche
gruppi ospiti, sbandieratori e majorettes. Chiude la sfilata la maschera di re
Giorgio (in origine un fantoccio chiamato Ghjolghju Puntogliu), che rappresenta
il potere seduto sul trono, circondato e adulato per sei giorni dalla sua corte
e dagli ambasciatori e di cui si celebrano le nozze con la formosa popolana
Mannena. La manifestazione si conclude la sera del martedì con il processo di
sua maestà re Giorgio per tutte le colpe e i problemi di Tempio e della Gallura
e la sua condanna al rogo sulla pubblica piazza mentre i giullari gridano:
" Ghjogliu meu! Ghjogliu meu!, lu mé fiddòlu bonu ch'eri tu! ohi! ohi!
Moltu è carrasciali! Carrasciali è moltu!". Vengono distribuite le
frittelle (li frisgioli longhi), fritte nell'olio di lentischio (òciu listincu)
e il moscato di Tempio.
Cari
amici, siamo partiti dalla maschera votiva e rituale del passato, per arrivare alle maschere delle feste carnevalesche.
Anche il Carnevale, a partire dalle antiche feste pagane, è un inno alla vita
che si rinnova, un grande desiderio collettivo di miglioramento e di augurio
per il nuovo anno, una preghiera al Padre Celeste, perché conceda i suoi doni:
una buona annata agraria, salute e felicità per tutti!
BUON CARNEVALE A TUTTI!
Ciao.
Mario
2 commenti:
Adorei, parabéns pelo trabalho de investigação e recolha!
Jorge Lucas (Góis - Portugal)
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