Oristano, 31 Gennaio
2014
Cari amici,
Tanti anni fa chiesi a mia nonna,
come facevo sempre quando non sapevo qualcosa: perché questi ultimi giorni freddi
di Gennaio si chiamano “I giorni della merla? Mi fu raccontata una bella favola
che oggi voglio riportare anche a Voi che, credo, sempre piacevolmente mi
seguite. Ecco come ricordo quella favola antica.
Tanti anni fa il mese di gennaio
aveva solo 28 giorni e i merli erano bianchi. L’inverno era freddo e la merla,
che aveva patito molto sia la rigida temperatura che la fame, passava il tempo
accovacciata nel suo nido per proteggere se stessa e i suoi piccoli dal
pericolo di morire assiderati. Anche il merlo maschio poco poteva contro quel
gelo. La
famigliola, al freddo, viveva di stenti, cercando con qualche rapido volo intorno al nido di trovare
qualche briciola di pane per sfamarsi, perché le poche briciole che cadevano in
terra dalle tavole degli uomini venivano subito ricoperte dalla neve che
scendeva dal cielo.
Mentre il merlo maschio cercava anch’esso
di proteggere i piccoli, la povera madre
malnutrita, intirizzita e sfinita dai patimenti, volando insieme ad altre merle affamate come lei,
sentì dire che ormai si era al 28, l’ultimo giorno di gennaio, e che dall’indomani,
terminato il periodo più freddo e impietoso dell'anno, con l'inizio di febbraio,
sarebbero tornate le speranze di una vita più facile, perché si sarebbe andati
incontro ad una tiepida e profumata primavera. In preda ad una incontenibile
gioia, aiutata anche da qualche raggio di sole, la merla raccolse le ultime
forze rimaste e si librò nel cielo
gridando tutta la sua contentezza per la fine di quel mese ingeneroso
che finalmente lasciava il posto a nuove speranze e nuova vita. Resa ardita dalle
felicità, la merla prese a sbeffeggiare senza ritegno il mese di gennaio che si
apprestava a lasciare il posto a Febbraio. Il mese di gennaio, furibondo e disturbato
nei suoi preparativi di partenza dalle grida acute della merla, sempre più
irritato per gli insulti che la merla gli lanciava, andò dal mese di Febbraio e
gli chiese in prestito 3 giorni, che
ottenne, allungando il mese con 29, 30 e 31. In quei tre giorni scatenò il
freddo più pazzesco di tutto l'inverno, impegnandosi più che poteva, facendo in
modo che non mancassero neanche la neve, il ghiaccio e il freddo vento di
tramontana! Tutto intorno scese un gelo terribile, e tutti furono
costretti, per la morsa del freddo, a rinchiudersi
in casa intorno ai camini accesi.
La povera merla, che aveva per casa
solo un nido di sterpi su di un pino, fu costretta a lasciare il suo posto e
con l’aiuto del merlo che la aiutò a trasferire i piccoli, si rifugiò nei pressi
di un grosso comignolo che, però, se è
vero che dava calore emanava anche un denso fumo nero. Al tepore si aggiunse ben presto una densa
coltre nera di fuliggine, che in poco tempo si depositò sul nido e sui suoi
abitanti, tingendoli tutti di nero. La famiglia si salvò, però il suo piumaggio
da bianco diventò tutto nero!
Ed è per questo che da quel giorno
tutti i merli nascono con le piume nere, per ricordare la famigliola di merli
bianchi divenuti neri, proprio negli ultimi tre giorni (presi in prestito) del
mese di gennaio. Febbraio, poi, si dimenticò di richiedere indietro i giorni
prestati a Gennaio e rimase con soli 28 giorni. I tre giorni acquisiti da Gennaio
rimasero di sua proprietà e anche oggi sono
ancora detti “I tre giorni della merla”.
Per gli amanti della poesia, invece,
mi piace riportare la bella poesia di
Trilussa, dedicata al merlo. Eccola!
POESIA DI TRILUSSA
AL MERLO.
Appena se ne va
l'urtima stella e diventa più pallida la luna, c'è un Merlo che me becca una
per una tutte le rose de la finestrella: s'agguatta fra li rami de la pianta, sgrulla
la guazza, s'arinfresca e canta. L'antra matina scesi giù dar letto co' l'idea
de vedello da vicino, e er Merlo furbo che capì el latino spalancò l'ale e se
n'annò sur tetto.- Scemo! - je dissi -
Nun t'acchiappo mica...-E je buttai du' pezzi de mollica.- Nun è - rispose er
Merlo - che nun ciabbia fiducia in te, ché invece me ne fido: l o so che nu
m'infili in uno spido, lo so che nun me chiudi in una gabbia: ma sei poeta, e
la paura mia è che me schiaffi in una poesia. È un pezzo che ce scocci co' li
trilli! Per te, l'ucelli, fanno solo questo: chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare
onesto de facce fa la parte d'imbecilli senza capì nemmanco una parola de
quello che ce sorte da la gola? Nove vorte su dieci er cinguettio che te
consola e t'arillegra er core nun è pe' gnente er canto de l'amore o l'inno ar
sole, o la preghiera a Dio: ma solamente la soddisfazzione d'avè fatto una bona
diggestione.
(Trilussa)
Grazie, amici, della Vostra
attenzione, sperando che Febbraio sia più clemente, anche se sarebbe meglio
dubitarne: un antico detto sardo, riferendosi a Febbraio sosteneva che “
Friarzu aìat mortu sa mamma a frittu” (Febbraio aveva ucciso la madre con il
freddo).
Mario
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