Oristano 20 Gennaio2014
Cari amici,
Oristano è una delle poche
città sarde che sia ad Amsicora che a suo figlio Josto ha dedicato almeno una
via o un vicolo. Rari anche i monumenti a lui dedicati: eccezion fatta per Cagliari
che gli ha dedicato lo Stadio costruito negli anni ’70. Eppure Amsicora avrebbe
meritato ben altra considerazione. Figura nobile di eroe Sardo, Amsicora è noto soprattutto per il coraggio, la
lealtà ed il suo amore per la libertà,
oltre che per suo inestinguibile odio verso i conquistatori romani; infaticabili gli sforzi da lui compiuti perché
la Sardegna ritornasse ad essere libera.
“Ampsicora” (questo il suo nome
completo) risulta essere stato uno dei più ricchi proprietari terrieri della
Sardegna nel periodo intorno al 537 era di Roma (circa il 215 A.C.). La Sardegna
in quel periodo risultava divisa in due entità: l’ampia fascia costiera (compresa
la vasta pianura campidanese) e la prevalenza delle zone collinari, sottoposta al dominio di Cartagine, mentre le
aree interne più montuose, erano ancora abitate dalle popolazioni nuragiche;
queste seppur tolleranti, dopo molte ostilità, nei confronti dei Cartaginesi,
erano nettamente ostili alla conquista dell’Isola portata avanti dai romani.
Nell'anno 215 a. C. lo scenario in Sardegna vedeva poche legioni romane
presenti sul suo territorio, mentre il popolo sardo, incattivito dai lunghi periodi di
dominazione e dai pesanti tributi imposti, era allo stremo delle forze e pronto, a causa
delle pessime condizioni di vita, a ribellarsi. Ampsicora coagula questo
malumore e si fa promotore della rivolta, cosa questa molto ben accolta da Cartagine che, in
soccorso dei Sardi, invia Asdrubale al comando di una poderosa flotta che si
dirige subito verso Cornus, dove però non giunse nei tempi previsti perché spinta da una
tempesta verso le Baleari. In campo romano, invece, i rinforzi per sedare la rivolta arrivarono presto, e da Roma, giunse un esercito di ventiduemila fanti e
milleduecento cavalli e cavalieri.
Ampsicora, animatore insieme ad
Annone di Tharros della rivolta delle città costiere occidentali contro i
romani, si mosse per ottenere anche l'appoggio dei cosiddetti sardi pelliti, in
particolare delle tribù degli Iliensi, presso i quali ottenne dei rinforzi per
affrontare, uniti, i nuovi dominatori; i senatori di Cornus, la città della
quale Ampsicora era il magistrato supremo, inviarono invece i propri
ambasciatori a Cartagine, sollecitando l’intervento in soccorso dei sardi. Cartagine
accolse la richiesta ed inviò Asdrubale, detto il Calvo, che si imbarcò con
un'armata di circa diecimila soldati verso il porto di Cornus dove, però,
arrivarono con grande ritardo.
La battaglia campale,
come scrive lo storico Francesco Casula, si svolse nei pressi di Decimomannu, a
poche miglia da Cagliari, e vide la sconfitta degli insorti. In campo romano,
intanto, Tito Manlio Torquato, console di Roma, radunò a Cagliari quattro
legioni e marciò verso Cornus. Qui il console sorprese le poche truppe sarde guidate da Josto, figlio di Amsicora, che fece l’imperdonabile errore
di affrontare in campo aperto il nemico, senza attendere i previsti rinforzi:
quelli cercati dal padre e quelli inviati da Cartagine. L’attacco delle fragili
forze dei Sardi contro i Romani assomigliò più a un suicidio che a una
sconfitta: sul campo rimasero oltre tremila morti, mentre oltre ottocento furono
fatti prigionieri. Josto, con i superstiti, si ritirò nella città di Cornus dove
restò in attesa del padre e dei cartaginesi.
Amsicora arrivò con gli uomini delle
tribù dei sardi Pelliti e nel frattempo giunsero anche le forze cartaginesi. Ancora
una volta gli eserciti sardo-cartaginesi si scontrarono ma i Romani, avendo
dalla loro parte un maggior numero di soldati e una migliore esperienza bellica,
malgrado la coraggiosa resistenza dei Sardi, vinsero anche l’ulteriore scontro.
Dopo quattro ore di battaglia il sogno di libertà dei Sardi e in particolare di
Amsicora giunse alla fine. Sul campo
restarono dodicimila morti, tra i quali anche Josto; i Sardi catturati e resi
schiavi furono oltre tremila tra i quali anche Asdrubale, Annone e Magone,
condottieri di Cartagine; Magone che era parente stretto di Annibale, capo
supremo dei Cartaginesi, costituì un prezioso ostaggio per i governanti di
Roma. Anche la resa di Annone, considerato l'autore e il sostenitore della
sommossa nell'isola, fu un gran successo per i romani, che così si liberarono
del maggior sobillatore dei sardi. Amsicora, scampato alla strage, fuggì con
pochi cavalli, rifugiandosi presso le tribù dell'interno, forse pensando a
nuove vendette. Quando, però, apprese della morte dell'amato figlio, non riuscì
più a darsi pace. Secondo Livio, Ampsicora distrutto dal dolore, nel silenzio
della notte si diede la morte con le sue
mani.
Del valore di Ampsicora
scrissero positivamente, anche se non
molto, pure i nemici romani. Lo storico Livio, prevalentemente interessato a
raccontare i fasti della repubblica romana, scrisse che Amsicora, per il suo
amore della libertà e per gli sforzi fatti per restituirla alla patria, si meritò,
giustamente la fama d'eroe. In tempi più recenti anche lo storico, cav. Pasquale Tola nel suo
"Dizionario degli Uomini Illustri di Sardegna" scrisse di Ampsicora: “Feroce
per indole, fatto più crudele dalla vita selvaggia negli aspri monti e nelle
inaccessibili foreste, insofferente della superbia e del giogo romano.
Un'occasione egli aspetta di scuotere l'uno e abbassare l'altra".
La vittoria conseguita da
Tito Manlio Torquato portò alla resa la città di Cornus e le altre che avevano appoggiato la
rivolta. Il pretore romano impose pesanti danni di guerra: le tassò in denari e
in frumento, in proporzione del
contributo dato da ciascuna città alla rivolta; in breve tempo poté riportare l'esercito a
Roma, imbarcandolo a Cagliari, porto da dove fece salpare le navi verso Roma.
Qui giunto, annunciò in Senato che la Sardegna era stata domata, consegnando il
danaro riscosso ai questori, il frumento agli edili e gli schiavi al pretore Q.
Fulvio. Egli ebbe così anche la gloria di avere, con quella guerra, rimpinguato
le risorse della Repubblica Romana. L'unico beneficio che i sardi ottennero dopo
l’infelice rivolta fu quello di essere governati per ulteriori tre anni dal
mite Pretore Q. Mucio Scevola, anziché dallo spietato T. Manlio Torquato al
quale per prassi sarebbe spettato.
Il sogno di libertà di Ampsicora
e dei Sardi era tristemente svanito, cosi come già avvenuto in precedenza e così come
sarebbe avvenuto anche nei secoli successivi. La storia della Sardegna è ricca
di episodi come questo oggi ricordato, anche se col passare degli anni la
voglia di combattere dei sardi è costantemente diminuita, fino a cessare quasi del tutto. Oggi, infatti, cosa
potremo rispondere al riguardo circa la libertà che Ampsicora cercava? Cosa
riteniamo sia fondamentalmente cambiato al riguardo? La risposta la conosciamo già! Anche
i ricordi degli eroi con il tempo sbiadiscono. Per Ampsicora, sepolto quasi del
tutto dalla polvere dell’oblio, solo pochi ricordi permangono, e anche senza
grande enfasi, salvo qualche rara eccezione, però. Il
2 luglio del 2010, in occasione del suo primo palio di Siena, il fantino
ozierese Antonio Siri assunse il nome Amsicora in suo onore. Può sembrare un’inezia
ma non è cosi. C’è ancora chi crede nella Sardegna e nel valore dei Sardi.
Facciamo sì che questi piccoli fuochi non si spengano.
Grazie dell’attenzione.
Mario
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