Oristano
22 Gennaio 2014
Cari
amici,
l’anno
appena trascorso, il 2013, non è stato un anno molto ricco di positività: il
permanere della pesante crisi economica, sociale e politica ha ulteriormente
aggravato crisi e tensioni sociali, con negative ripercussioni sia sui singoli
che nelle Comunità. Un anno, certamente, più negativo che positivo anche per i
lutti che si è portato appresso, compresi anche quelli che riguardano la
cerchia delle amicizie personali, privandoci di due splendide amicizie: quella
di Gianni Oppo e di Ottavio Sechi.
Essere
rotariani, come ben sappiamo, significa attribuire all’amicizia un valore
assoluto, che in termini pratici si estrinseca nel dare senso compiuto ai tanti
altri valori che incorpora, ugualmente importanti: etica, tolleranza, rispetto,
condivisione, disponibilità al servizio. Ebbene, cari amici, Gianni e Ottavio
con la Loro vita esemplare hanno dimostrato che i valori del Rotary, basati proprio
sull’amicizia, non solo erano condivisi
ma anche costantemente saputi mettere in pratica, sia nella vita privata che in
quella pubblica, in tutti gli anni della Loro esistenza terrena.
Non
dimenticherò mai le tante iniziative che portarono avanti con impegno ed
entusiasmo. Gianni, nell’anno del Centenario della nascita del Rotary, fu uno
dei protagonisti, con lo scomparso Presidente di quell’anno, Riccardo
Campanelli, nella realizzazione della “Stele del Centenario”, che abbellisce la
Piazza San Martino, così come, con tanto impegno, si prodigò, spendendo di
tasca propria per materiali ed operai , alla ripulitura dei muri della
Chiesa-Monastero di S. Chiara, indegnamente sporcati dai Writers. Ottavio,
invece, nell’anno della Sua presidenza tanto fece per la crescita del club,
riuscendo, con caparbietà e determinazione, a rompere la barriera che fino ad
allora aveva impedito alle donne di entrare a pieno titolo come rotariane nel
club. Esempi, quelli portati, di un loro fattivo e costante impegno nella piena
convinzione che essere entrati a far parte di un club Rotary, aveva significato
per Loro entrare “per servire”, non per servirsi del Rotary. Non voglio
aggiungere altro, cari amici, solo questo: Grazie, nessuno Vi dimenticherà.
Prima
di chiudere questa riflessione voglio riportare alcune pagine del mio ultimo
libro “TRACCE”, dove sono evidenziate sia la mia antica conoscenza di Ottavio
che la successiva nostra amicizia rotariana.
L’AVVOCATO OTTAVIO SECHI, DA
DOCENTE A COMPAGNO DI CLUB.
Una
volta era difficile dare del Tu ad uno che avesse molti più anni di te. Ciò era
frutto di quel precedente tipo di educazione che garantiva il massimo rispetto
tra generazioni: i giovani onoravano e rispettavano gli anziani, a partire dai
propri genitori ai quali era riservato il Voi. Il tempo ha certamente
modificato i codici di comunicazione, trasformando in “paritari” molti rapporti
che a ben pensare paritari non erano e non sono neanche oggi.
Negli
anni della mia formazione educativa io vivevo all’interno di questi antichi
codici e li vivevo senza ansie, senza patemi d’animo. Dare del Lei per me era cosi
naturale che sarei stato io, per primo, a trovarmi in imbarazzo, in difficoltà,
se erroneamente mi fosse scappato di dare del Tu. La vita insegna, però, che
ogni regola ha la sua eccezione, e che “particolari situazioni”, possono creare
i presupposti per una ragionata eccezione. Del resto antico è il detto che ‘ogni
regola ha la sua eccezione’.
Quando
conobbi l’avvocato Ottavio Sechi erano gli anni dei miei studi alle superiori.
Frequentavo l’Istituto Tecnico Commerciale per Ragionieri, che allora aveva
sede in via Parpaglia, oggi sede del museo cittadino. Ottavio insegnava materie
giuridiche ed era un giovane avvocato già di buona fama. Si distingueva molto
dagli altri professori perché, a differenza di molti altri, era sempre vestito
in maniera impeccabile: difficile potergli fare un appunto sugli abbinamenti
tra abito, camicia, cravatta o scarpe! Gli abiti di taglio sartoriale, le
scarpe di buon cuoio, tutto contribuiva a fare di Lui una persona speciale.
All’abbigliamento “perfetto” abbinava un modo di fare altrettanto elegante, sia
nel muoversi che nel parlare: si esprimeva sempre in modo efficace, mai banale;
il suo linguaggio, colto e misurato, mischiava, in modo accattivante, sapere e
ironia. Insomma sapeva attirare l’attenzione di noi tutti sulle sue lezioni,
riuscendo non solo a farci capire i principi giuridici ma anche a memorizzarli
nel modo giusto, con esempi calzanti e che trasformavano la norma, da semplice
teoria in pratica applicazione.
Quando
spiegava non lo faceva “in cattedra”, ma passeggiava nell’aula come in quelle
del Tribunale. A passi lunghi, misurati, spiegava con competenza, aggiungendo
alle parole quella giusta espressione che dava il senso reale, che ne
evidenziava al meglio il contenuto. Nel parlare era appassionato, convincente:
ogni lezione sembrava un’arringa, in difesa della verità, del sapere, dove
colpevole era solo l’ignoranza.
Ottavio,
allora quarantenne, era l’idolo delle ragazze. Il suo fascino era qualcosa a
cui non sapevano resistere. Ogni scusa era buona per parlare con Lui. Alla fine
della lezione si avvicinavano alla cattedra, e si inventavano mille scuse pur
di stargli vicino. Anche Lui era
oltremodo sensibile al fascino di quella gioventù che, pur avendo la metà dei
suoi anni, cresceva velocemente. Una in particolare lo attrasse più delle
altre: Bruna. In poco tempo ci accorgemmo che quella che stava maturando tra
maestro ed allieva non era solo una bella amicizia. Era qualcosa di più e,
soprattutto non era una semplice infatuazione ma un progetto serio, un progetto
di vita. Ottavio e Bruna, infatti da allora non si lasciarono più, costruendo,
insieme, una bella e solida famiglia.
Terminati
gli studi ci perdemmo di vista. Per anni ognuno percorse il suo sentiero,
realizzandosi e coltivando le proprie aspirazioni: quel “giardino ideale” che
ci da la misura del nostro essere terreno. Certo, capitava, anche spesso, di
incontrarsi per strada, magari all’uscita delle aule del palazzo di giustizia
che Lui quotidianamente frequentava; in quei momenti, anche se per pochi minuti,
l’incontro era piacevole e i ricordi del passato affioravano sempre. La nostra
antica amicizia, però, era destinata a diventare qualcosa di diverso dalla
semplice amicale frequentazione. Se è vero che “l’amicizia vera” è un legame
inestinguibile è anche vero, come sostiene Francesco Alberoni, che essa si
perfeziona continuamente come una filigrana, una “filigrana d’incontri”.
Incontri che la cesellano, che la fanno diventare più stretta, le consentono di
perfezionarsi ai più alti livelli.
Di
come diventai rotariano ho già detto in altra parte di questi ricordi. Quando,
anni dopo il mio ingresso nel Rotary, Ottavio venne cooptato nel club ne fui
felice. In effetti Lui, professionista
di vaglia, avrebbe avuto titolo ben
prima di me di entrare nel nostro club, ma le strade che seguiamo spesso sono
strane e contorte e, come le vie del Signore, spesso sono infinite. Ritrovarsi
compagni di club, nonostante la passata conoscenza, fu da un lato una grande
felicità per entrambi, ma che a me creò anche qualche piccolo imbarazzo. E’
consuetudine nel Rotary, dove l’amicizia è considerata un punto cardine, darsi
del Tu, a prescindere dai ruoli, dal censo e dall’età. Questo, ovviamente
comportava che anche tra Lui e me, tra maestro e allievo, da quel momento ci
saremo dovuti dare del Tu!
In
effetti, superata la remora iniziale, non fu difficile. Dopo le prime
schermaglie, dovute alla differenza di età, il problema fu presto superato. La
nostra amicizia precedente da questo momento si rafforzo e si consolidò. Quando
fu eletto presidente del club mi chiese, e ne fui felice, di collaborare con
Lui. Io, che quei panni li avevo già vestiti più di una volta, lo aiutai a
realizzare alcuni progetti importanti (non ultimo quello di far entrare le
donne nel club), e la Sua esperienza di vita, unita alla mia, fecero realizzare
al club altri validi progetti. Ottavio fu ben apprezzato per il Suo impegno
rotariano anche nel Distretto: il Governatore Giorgio di Raimondo, di cui ero
assistente nell’anno della Sua presidenza, mi disse di Lui che “si muoveva con l’esperienza di un vecchio
saggio ma con l’entusiasmo di un ragazzo”.
L’amicizia,
quella vera, è un grande ponte tra generazioni!
Mario
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