Oristano, 9 Gennaio
2014
Cari amici,
se oggi è un hobby
avere in casa, nella propria cucina rustica, alcuni contenitori abilmente
costruiti con l’utilizzo dell’asfodelo, in un passato anche recente questi
strumenti erano una dotazione necessaria, mancando allora tutte quelle nuove
materie prime (in particolare la plastica) che poi, inevitabilmente, hanno
mandato in pensione le fibre naturali. Eppure posso garantirvi (io che di anni
ne ho abbastanza) che “sos carrigos”, “sas canisteddas”, “sos chiliros”, “sas
corbulas”, e altri contenitori delle più varie dimensioni, erano un corredo
utilissimo nella vita quotidiana della civiltà contadina, quando la gran parte
delle operazioni di trasformazione delle materie prima avveniva in casa e non a
livello industriale. La preparazione del pane, la pulizia dei cereali, la
conservazione di gran parte delle provviste domestiche, tutto avveniva
attraverso l’utilizzo di una serie di contenitori fabbricati con le fibre
naturali allora disponibili: steli di grano, giunchi e, soprattutto asfodelo,
fibra ideale per la sua flessibilità, resistenza e durata.
La necessità di avere a
disposizione contenitori di varia dimensione e capienza aveva sviluppato la
capacità e l’arte di numerosi artigiani, che, allora lavoravano a “kilometro
zero”, ovvero nei luoghi dove si trovava la materia prima. I paesi della
montagna, ricchi di boschi, avevo artigiani che costruivano strumenti
fabbricati in legno (turras, talleris, paias de forru e culleras), fra i tanti
cito Desulo, e quelli di collina e pianura, ricchi di fibre erbacee, avevano
abili artisti nella fabbricazione di contenitori che utilizzavano queste fibre,
in particolare l’asfodelo, e anche qui, fra i tanti, cito Flussio, nella
Planargia. E’ proprio qui a Flussio che
l’arte di lavorare l’asfodelo (cosire s’isciareu) ha raggiunto la più alta
professionalità.
L’asfodelo è una pianta
molto diffusa in Sardegna, ma in alcune zone, come la Planargia, raggiunge un
maggiore sviluppo ed una dimensione particolare. L’asfodelo è una pianta
antica, esteticamente poco attraente, anche per il poco gradevole profumo dei
suoi fiori, ma ricercata e particolarmente utilizzata anche nell’antichità. Non
solo, per ragioni che non è facile spiegare, essa è stata associata anche all’idea
della morte. In realtà l’associare
questa pianta anche alla vita dell’aldilà, non era una valutazione in negativo,
ma anzi l’attribuzione di una valenza duplice: rimedio per i vivi e anche per
la vita ultraterrena. Una valenza, dunque, ben più complessa e variegata, che
non solo non escludeva la vita, ma anzi la esaltava, dando all’asfodelo il riconoscimento di “pianta
degli eroi”.
A dare un grande
riconoscimento all’asfodelo come pianta dalle proprietà medicinali e come
simbolo di una vita semplice e parca, fu Esiodo (VIII-VII secolo a. C.),
che scriveva: “E [non sanno i re] quale grande utilità ci sia nella malva e
nell’asfodelo”. L’interesse scientifico, che in Esiodo,
come abbiamo visto, era diventato pretesto per l’esaltazione di un modello di
vita parca, è condiviso da Teofrasto (IV°-III secolo a. C.)10: “…lo stelo di
asfodelo tostato è buono da mangiare e il seme può essere abbrustolito e sopra
ogni altra parte la radice pestata col fico e (la pianta) ha grandissima utilità
secondo Esiodo”. Anche Ippocrate aveva incluso l’asfodelo
nella composizione di un farmaco contro il morbo regio (itterizia):
“Somministrare un estratto di radici di asfodelo da bere a digiuno”, mentre Erodoto (V° secolo a. C.) ne aveva
documentato l’uso pratico anche tra una tribù nomade della Libia: “Questi [i
Nasamoni] seppelliscono i morti seduti badando che il moribondo muoia in questa
posizione. Costruiscono capanne portatili con gambi di asfodelo intrecciati a
giunchi”. Epimenide, considerato da alcuni uno dei sette sapienti, usava
l'asfodelo (e la malva) per le sue capacità di scacciare la fame e la sete. Ce
ne parla Plutarco nel "Convito dei sette sapienti". La leggenda vuole
che Epimenide grazie all'uso di radici e erbe non avesse bisogno di mangiare altro
e che visse 157 anni, come ne riferisce Diogene Laerzio.
Anche nel mondo romano
l’asfodelo era ritenuto utile e commestibile. Plinio (I° secolo d. C.) oltre a condividere
il pensiero di molti degli autori greci, aggiunge anche qualcosa di nuovo:
“L’asfodelo è commestibile e nel seme tostato e nel bulbo, ma questo cotto
nella cenere, con aggiunta di sale e olio, poi pestato insieme con i fichi, con
sommo gradimento, come sembra ad Esiodo. Tramandano pure che, seminato davanti
alle porte delle case di campagna, è un rimedio contro i danni dei venefici”.
L’asfodelo, dunque, pianta utile all’uomo per curarlo in vita ma anche per
seguirlo nella vita dell’aldilà, per continuare ad aiutarlo e sostenerlo.
Anche
per Omero (Odissea XI, 487-491; 539; 573) l'asfodelo è la pianta presente nel
regno degli Inferi. Per gli antichi Greci il Regno dei Morti
era suddiviso in tre parti: il Tartaro per gli empi, i Campi Elisi per i buoni,
ed infine i Prati di Asfodelo per quelli che in vita non erano stati né buoni
né cattivi. Ligi a queste credenze, ed altre ancora, i Greci usavano piantare
asfodeli sulle tombe, considerando i prati di asfodeli il soggiorno dei morti. L’asfodelo,
dunque, pianta mitica, con secoli di storia, capace ancora oggi di dare all’uomo
il suo contributo. Cerchiamo, allora, di conoscere meglio questa pianta.
L’asfodelo
(Asphodelus L., 1753) è un genere di piante della famiglia delle Liliaceae che
comprende diverse specie erbacee, note genericamente con il nome volgare di
asfodelo. Il nome deriva dal greco ἀσφόδελος
(asphódelos). L’apparato fogliare si presenta sotto forma di una rosetta di
grosse foglie radicali, strette e lineari, con l'estremità appuntita. Dal
centro della rosetta emerge uno stelo nudo che porta una spiga di fiori più o
meno ramificata secondo le specie. La spiga è generalmente alta un metro o più.
Gli asfodeli amano i prati soleggiati e sono invadenti nei terreni soggetti a
pascolo eccessivo, perché le loro foglie appuntite vengono risparmiate dal
bestiame. I fiori iniziano a sbocciare dal basso. Hanno sei
tepali e non vi è distinzione visibile tra petali e sepali, che hanno la stessa
forma e lo stesso colore. Nella maggior parte delle specie, i tepali sono
bianchi con una striscia scura al centro. I frutti sono capsule tondeggianti. La
radice è commestibile. I suoi fiori sono molto graditi e ricercati dalle api
che ne ricavano un ottimo miele. Il miele di asfodelo è uno
dei più rinomati in Sardegna, dal colore chiaro, trasparente e quasi incolore,
che si produce in marzo – aprile. Il sapore dolce e il
profumo sono molto delicati e per apprezzarlo va gustato senza accostarvi altri
sapori che lo sovrasterebbero. L’aroma è poco persistente e leggermente acido e
la cristallizzazione è molto fine.
L’asfodelo in Sardegna ha recitato per secoli un ruolo
importante come materia prima per la fabbricazione di utensili per la casa. Con
le sue fibre venivano realizzati strumenti atti a contenere le vivande e, nella
Planargia, in particolare nei paesi di Tinnura e Flussio, vie era una vera e
propria “piccola industria familiare” di produzione di pregiati cesti
artigianali, un tempo utilizzati per le lavorazioni casalinghe, in particolare
per la panificazione. Questi cesti anticamente erano parte indispensabile del
corredo della sposa prima del matrimonio. Attualmente in questi
paesi la produzione di cesti di varie
forme continua, anche se rivolta, ora, a soddisfare le esigenze del turismo.
Costruire contenitori
artistici con l’asfodelo richiede tecniche di non facile apprendimento.
Fabbricare cesti, anche se apparentemente semplice, richiede molta maestria e
abilità. Gli steli di asfodelo vanno raccolti nel periodo giusto (ottimale
quello da marzo ad aprile), quando la pianta comincia a sbocciare i fiori.
Questo è infatti il momento in cui l'asfodelo è malleabile ma non troppo
morbido. Questo lavoro è svolto in genere dalle donne (sia
sposate che giovani ragazze), così come l'intreccio, compito che, nella stagione,
iniziava in campagna all'alba; in un
giorno le più esperte riuscivano a raccogliere anche 40 fasci di piante. Tutti
i proprietari terrieri permettevano e permettono ancora oggi la raccolta de “s'iscraria”,
senza pretendere compensi. Una volta raccolto, l'asfodelo si
lascia all’aperto per un periodo che variava da dieci a venti giorni: così si
ammorbidiva e successivamente poteva essere facilmente spaccato verticalmente. In
seguito le piante venivano lasciate al sole ad asciugare, in genere sparse a
mazzetti e ventagli nei cortili e nelle strade. Quando s'iscraria era secca al
punto giusto si formano i mazzi, “sos mannucros”, che venivano riposti dentro
casa, in luoghi asciutti, dove potevano essere conservati a lungo. Prima di
cominciare il lavoro di intreccio vero e proprio, l'asfodelo veniva immerso in una
vasca per 5 o 6 ore, in modo da diventare tenero e flessibile.
La lavorazione iniziava
dalla separazione
della corteccia (sas currias) dalla parte midollare della pianta (sa matha). Le
abili mani delle cestinaie avvolgevano a spirale la corteccia attorno alla
parte molle e, man mano che avanzavano, cucivano una verga con l'altra, usando,
per fare i buchi e cucire, un punteruolo, “su raju”, un grosso ago appuntito,
ricavato da una tibia bovina spaccata verticalmente. Il
lavoro era faticoso e meticoloso: l’abilità è la fantasia erano essenziali;
osservare oggi una di queste donne al lavoro è curiosissimo e da l’idea della
capacità artistica di donne che in passato hanno creato capolavori anche senza
sapere ne leggere ne scrivere!
Quest’arte, purtroppo,
ha già corso e corre ancora il rischio di estinguersi. Sono poche, ormai le
donne anziane capaci di insegnare alle giovani i segreti di un’arte che era
vitale per l’economia di alcune zone. Oggi, nell’ambito della valorizzazione
dell’artigianato, credo che avviare giovani leve, da parte delle poche anziane
rimaste, sia una cosa utile, non solo per salvaguardare la tradizione, ma anche
capace di generare flussi di reddito da un turismo che ci auguriamo possa
finalmente decollare. A Flussio ci stanno provando a salvaguardare quest’arte,
con un’iniziativa portata avanti dal Comune; mi auguro che l’attuale situazione
di crisi di tutti i comuni, non mandi in soffitta una bella iniziativa.
La Sardegna, cari
amici, ha non poche risorse nascoste: una di queste è ancora l’asfodelo che,
volendo, potrebbe essere una delle tante strade per lo sviluppo da percorrere!
Grazie dell’attenzione.
Mario
2 commenti:
Ieri sera ho visto un bellissimo film: big fish; la moglie del protagonista ama l'asfodelo, così, incuriosito (per hobby coltivo piante erbacee commestibili) ho fatto una ricerca e ho trovato il suo articolo. Complimenti vivissimi per averlo raccontato in modo molto bello e "sentito". Io abito nelle prealpi varesine a 480 m di quota ma credo che lo cercherò per tentare una coltivazione di conoscenza. Grazie ancora, Sergio Margherini.
Salve!..Ho abitato in Sardegna tanti anni fa e per breve tempo ma mi è bastato per innamorarmi della sua Essenza .. Terra di antiche culture , terra di Maghi e Profetesse, Taumaturghi e Sciamane... Popolo orgoglioso e terra di Artisti ... Grazie, mi auguro che il suo articolo abbia un riscontro presso i giovani che verso la saggezza la conoscenza e la tradizione degli anziani debbono andare.. Basta tecnologie fasulle... Fulvia
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