sabato, gennaio 11, 2014

MICRO E MACRO ECONOMIA. INFLAZIONE E DEFLAZIONE: APPARENTEMENTE DUE SITUAZIONI ECONOMICHE OPPOSTE. PERICOLOSE ENTRAMBE, MA, SPESSO, C’E’ PIU’ SVILUPPO NELL’INFLAZIONE CHE NELLA DEFLAZIONE.



Oristano 11 Gennaio 2014
Cari amici,
l’andamento dell’economia, certamente da tempo immemorabile, è passata attraverso cicli di crescita e di decrescita, di abbondanza e di carestia, come già ai tempi dei Faraoni in Egitto; come abbiamo appreso dalla Bibbia c’erano i tempi delle vacche grasse e di quelle magre, le annate buone e quelle cattive, definite le piaghe d’Egitto, che avrebbero affamato quella Comunità. Da allora ad oggi, nonostante i tanti cambiamenti messi in atto nel mondo, l’andamento economico ha continuato a muoversi in maniera altalenante, non essendo mai stato trovato un sistema perfetto che regolasse, più o meno automaticamente, gli scostamenti e le conseguenti crisi nelle varie epoche e nelle diverse classi sociali.
Nei periodi di crescita economica, l’aumento del benessere sociale che si verifica nelle varie categorie economiche crea un maggior volume di contrattazioni, maggiori acquisti di beni, maggior quantità di moneta in circolazione, con la conseguenza, però, di un aumento dei prezzi che crea “inflazione”, ovvero perdita di potere d’acquisto della moneta. Al contrario, nei momenti di crisi, quando l’economia si ferma, si acquistano meno beni e servizi, diminuiscono i posti di lavoro, la moneta circolante e conseguentemente i prezzi diminuiscono, creando il fenomeno della cosi detta “deflazione”; la conseguenza è che, pur teoricamente aumentando il valore della moneta, questo non crea benessere, anzi, al contrario, crea dei presupposti di grande negatività. Cerchiamo di esaminare meglio questi due percorsi economici nei dettagli.
L’inflazione, l’abbiamo detto prima,  impoverendo il valore d’acquisto della moneta consente di comprare meno beni e servizi. Ma il risultato (se l’inflazione non supera determinati livelli non solo non è dannosa ma può risultare addirittura positiva), può addirittura essere conveniente. Cerchiamo di vedere perché. Secondo John Maynard Keynes l'inflazione dipende dalla domanda, che però può crescere a prescindere dalla quantità di moneta immessa, se ci si trova in una situazione di piena occupazione, in cui quindi la domanda naturalmente “aumenta” per la crescita dei salari.  In una situazione di andamento economico favorevole, con produzione ed occupazione positiva, l’inflazione crea un livellamento anche tra le varie categorie economiche: la perdita nominale di valore della moneta è subita da tutti, sia da chi produce che da chi consuma; chi ha crediti è vero che vedrà assottigliarsi il loro valore, ma anche chi ha debiti potrà farvi fronte più facilmente, essendo diminuito il peso reale dell’obbligazione. Queste considerazioni spingono quindi ad affermare che una inflazione di peso medio (un 4 o 5 per cento) può addirittura essere vantaggiosa, svolgendo - sempre se ci riferiamo ad un periodo di andamento economico favorevole – anche la funzione di modesta redistribuzione della ricchezza.  Diverso, invece, il ragionamento per la deflazione.
La deflazione è, in macroeconomia, una diminuzione del livello generale dei prezzi. Fenomeno opposto a quello dell’inflazione, la deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i quali, poi, nell’attendere ulteriori cali dei prezzi, alimentano una perversa spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano allora di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi inevitabilmente si ripercuote, per le imprese, sui ricavi che, prima diminuiscono poi crollano. Per salvare il salvabile la strategia delle imprese effettua  il tentativo di comprimere ulteriormente i costi di produzione, sia dei materiali che del personale, creando prodotti di qualità più bassa, diminuendo le retribuzioni ed il personale, con conseguente calo sia dell’occupazione che degli investimenti. 
Il minore ricorso al credito, unito al fenomeno della tesaurizzazione, inteso come conservazione della moneta nella previsione di un ulteriore aumento del suo potere d'acquisto, secondo Keynes, creano una forte diminuzione della domanda aggregata, con conseguente impoverimento della ricchezza, in quanto diminuiscono conseguentemente sia la produzione che l’occupazione; fatto questo che porta a considerare “distruttivo” quell’accumulo di risparmio che prima, invece, consentiva crescita e sviluppo. La tendenza al risparmio e all'accumulazione di denaro in periodi come questi sono, sempre secondo Keynes (Paradox of thrift), le caratteristiche peculiari della crisi. Una situazione di deflazione si verificò in Giappone fra il 2000 e 2006, con la Banca Centrale costretta a fissare un tasso d'interesse allo 0%, per favorire la liquidità circolante. È recente (il dato è riferito a maggio 2009) anche la diminuzione del livello generale dei prezzi in USA, dove nel periodo maggio 2008- maggio 2009 la deflazione ha fatto registrare un valore uguale a -1,3%.
L'andamento deflativo dei prezzi è capace quindi di innescare un processo di recessione per la diminuzione della domanda aggregata di beni. La deflazione è un pericoloso sintomo di una “patologia negativa” in economia, perché associata a un periodo di stagnazione e recessione economica, di cui è difficile quantificare la durata.
Tutti sappiamo e siamo preoccupati della situazione socio economica che attraversano sia l’Italia che l’Europa, e ovviamente, la gran parte dei Paesi industrializzati del mondo. A pesare in maniera oserei dire quasi catastrofica è l’enorme debito pubblico accumulato negli anni e che oggi ha raggiunto livelli da capogiro. Costruire un’inversione di tendenza non è facile per nessuno: non lo è per gli USA, dove il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha esortato i legislatori ad impegnarsi per ridurre il deficit sul bilancio, pari a quasi 2.000 mld usd, sottolineando che il Governo non può prendere in prestito "all’infinito" per bilanciare la crescente domanda; non lo è per l’Europa, dove è assente innanzitutto una politica fiscale ed economica comune, mancando uno Stato federale vero e proprio, e dove la BCE governata dal nostro pur bravo Mario Draghi, può solo fare pochi equilibrismi con l’Euro, considerato che ogni Stato ha mali diversi e debiti sovrani difficili da ridimensionare.
In Italia, per tornare a casa nostra, dove la disoccupazione ha raggiunto livelli record (quella giovanile si è fortemente attestata sopra il 40%), per costruire nuovi posti di lavoro necessiterebbero capitali enormi, che, con il debito pubblico che abbiamo, difficilmente possono essere reperiti. A me da l’impressione che cercando la soluzione siamo come il “gatto che si morde la coda”! Se fossimo ancora in grado di stampare moneta (oggi non lo possiamo più fare) avremo “creato liquidità” , facendo ripartire la locomotiva anche a costo di ricreare un livello medio di inflazione, ma tentando almeno di far riprendere l’economia. 
Il recente tentativo di Renzi e del suo strombazzato “Job Act”, di ricreare posti di lavoro ai giovani, senza copertura sarà difficile da realizzare, a meno che non si forzi la mano all’Europa e si sfori quel fatidico tetto del 3% del Pil, con o senza il loro benestare.
A voi, cari amici, la mia preghiera di meditare seriamente sulle nostre miserie, confermandovi che, qualsiasi conclusione possiamo ipotizzare nessuno è in grado di capire dove andrà l’economia, sia la nostra che quella europea ed americana: troppi gorghi, troppi mulinelli e vortici imperversano sul grande mare economico mondiale. La nostra sconquassata nave economica dovrà destreggiarsi con grande impegno, tra Scilla e Cariddi, per non naufragare clamorosamente!
Ciao a tutti!
Mario

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