Oristano 24 Gennaio
2014
Cari amici,
l'altra mattina mentre facevo una passeggiata verso la mia casa al mare di Funtana Meiga, sulla strada che immette proprio nel villaggio uno stuolo di gatti era radunato a prendere il sole. Con il mio telefonino, curioso come sono, ho fotografato il bel raduno, pensando che, anche in assenza di residenti, la loro vita si svolge nella massima libertà e tranquillita! Il gatto, pur domestico, ha mantenuto una grande autonomia ed indipendenza, sempre.
Cane e gatto sono
certamente fra i migliori amici dell’uomo. Entrambi capaci di convivere in modo
straordinario con la specie umana, sono dotati di grande intelligenza e
affettuosità, anche se molto diversi per
indole e autonomia. A differenza del
cane, infatti, il gatto continua da millenni a convivere con l’uomo mantenendo
una grande indipendenza. In sintesi, se hai un gatto, si può affermare che “tu non sarai mai il
“padrone” del tuo gatto; egli sarà un
tuo caro amico ma nel pieno rispetto dei ruoli, senza mai dominarlo, senza
imporgli i tuoi voleri”. Il gatto, nonostante sia considerato domestico, è
rimasto sempre un “felino”, fiero e indipendente, che ha imparato a convivere con
la specie umana ma non si è rassegnato a farsi dominare; la sua libertà non
potrà mai essere messa in discussione! Ecco, oggi voglio ripercorrere con Voi,
cari amici, la storia di questo splendido animale partendo dalle sue origini,
dagli “antenati del gatto”.
Le prime creature
simili al gatto di cui abbiamo notizia comparvero sulla terra circa 40 milioni
di anni fa, pressappoco nello stesso periodo in cui comparvero i primi antenati
del cane. Fu allora che dal gruppo comune di antenati, i miacidi, si
distaccarono gli aeluroidi (antenati del gatto) e gli arctoidi (antenati del
cane). I miacidi, piccoli carnivori arboricoli, avevano fatto la loro comparsa
circa 20 milioni di anni prima. Dal comune genere degli aeluroidi i gatti
ebbero un’evoluzione che diede origine agli attuali tre generi: Acinonyx (il
ghepardo), Panthera (i grandi felini come il leone e la tigre) e Felis, i
piccoli felini come il gatto domestico e altri felini selvatici quali l’ocelot
e il gattopardo. Nel corso dell’evoluzione vi furono anche degli altri
esperimenti che non ebbero successo. Un esempio per tutti può essere lo
Smilodon, un felino dai denti a zanna
che fu un eccezionale predatore fino a circa 13.000 anni fa, quando si
estinse definitivamente.
L’istinto fortemente
individuale dei felini e l'appartenenza ad un loro territorio non consentirono
contatti amichevoli con l’uomo finché questi era nomade (raccoglitore e
cacciatore). Il gatto iniziò la marcia di avvicinamento all’uomo, abbandonando
il suo fiero isolazionismo, solo quando questi divenne sedentario e cominciò a diventare
stanziale, coltivando la terra e dedicandosi all’allevamento. Il
gatto con tutta probabilità venne “addomesticato”, all’incirca tra i 5000 e i
3000 anni fa, tra l’Egitto e la Mesopotamia, anche se il primo rinvenimento
archeologico di un gatto in una tomba di Cipro, sepolto accanto a quello del
suo padrone, è datato a circa l’8000 a.C. Una volta addomesticato l’evoluzione
del gatto, attraverso i successivi incroci fra le varie razze, ha dato vita all’attuale
gatto domestico.
Scientificamente il
gatto domestico (Felis catus Linneo, 1758 o Felis silvestris catus Schreber,
1775) è un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia dei felidi. Sebbene
gran parte degli etologi concordino nel definire il gatto domestico discendente
del gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica), alcuni esemplari di
Felis chaus, un piccolo felino africano parente stretto del gatto, ritrovati mummificati nelle tombe egiziane e
presumibilmente addomesticati, hanno fatto presumere (anche dall’esame della
forma del cranio), ad alcuni studiosi, che il gatto domestico discenda dal
Felis chaus, e non dal Felis lybica, come da molti ritenuto.
La civiltà egizia
teneva in altissima considerazione il gatto. In Egitto, l’intero sistema
economico si fondava sulla coltura del grano. Le riserve di cereali venivano
conservate in enormi granai, costantemente minacciati da un numero sempre
crescente di voraci roditori. Il gatto,
attirato dalla ricca disponibilità di cibo, iniziò a circolare nei dintorni dei
granai, raggiungendo con l’uomo un buon connubio: il gatto si dedicava alla
sorveglianza dei granai ed in cambio poteva mangiare topi a profusione. Nacque cosi,
come un vero e proprio rapporto di collaborazione, il sodalizio tra i gatti i
gli egizi, considerata la reciproca convenienza.
Il gatto, che gli egizi
chiamavano Miù o Mau, per il loro dolce miagolio, erano paragonati alla Sfinge
per la loro natura misteriosa. Importanza, quella riconosciuta al piccolo
felino, derivata dalla reale riconoscenza per la sua opera, tanto che il gatto divenne
per gli egizi una vera e propria divinità. Al gatto, oltre che l’abilità nel
cacciare i topi, gli egizi attribuivano anche caratteristiche sovrannaturali,
in quanto era l’unico animale in grado di cacciare i serpenti (compresi quelli
velenosi) e aveva anche, in più dell’uomo, la capacità di vedere di notte. Il
gatto venne associato alla dea dell’amore Pasht, compagna del dio sole Ra,
nota anche come Bast, Bastet o Bubasti e
raffigurata come una donna con la testa di gatto. A Miù vennero dedicati templi
e cimiteri ed era un onore speciale poterlo seppellire nella vasta necropoli di
Bubasti, principale luogo di culto della dea-gatta. Singolare anche la
punizione per chi faceva soffrire o uccideva un gatto: poteva essere punito anche
con la morte. Quando il gatto di casa moriva i suoi "padroni" si
vestivano a lutto e si radevano le sopracciglia, come se fosse morto un
familiare. L’animale morto veniva mummificato e seppellito con tutti gli onori,
come una persona. I sacerdoti che nei templi si occupavano dei gatti erano
tenuti nel massimo rispetto ed erano considerati degli eletti. Gli
egizi erano così gelosi dei loro gatti da emanare una legge che ne vietava
l’espatrio. Basti pensare che durante le campagne militari uno dei compiti dei
soldati era quello di rintracciare i gatti presenti "in territorio
nemico" e riportarli immediatamente in Egitto.
Il gatto giunse in
Europa nel II millennio a. C. A Cnosso, infatti, sono stati ritrovati dei
sigilli (risalenti al 1600 a. C.) recanti il ritratto di felini tigrati che
sembrerebbero essere dei gatti domestici. Inoltre, la scrittura minoico-cretese
Lineare A (1400 a. C. circa) presenta un simbolo che parrebbe riferirsi proprio
al gatto domestico. In generale, comunque, sono molti gli esempi di arte greca
in cui vengono raffigurati gatti tenuti al guinzaglio e portati a spasso. Nella
civiltà greca i gatti erano tenuti in grande considerazione, accolti in casa e
venerati: Erodoto racconta che quando ne moriva uno, le persone della casa lo piangevano
come un membro della famiglia.
Non si sa di preciso
quando il gatto giunse in Italia. Una moneta risalente al 450 a.C. mostra Iokastos, fondatore di Rhegion
(l'attuale Reggio Calabria), che gioca con un gatto tendendogli un pezzo di
tessuto. Sembra però che, in realtà, il gatto si diffuse nella penisola solo
più tardi. Da qui sicuramente giunsero alla Roma Imperiale, ed
il gatto domestico ebbe la definitiva affermazione e consacrazione. Anche gli
Etruschi, oltre che i Romani, li apprezzavano e li tenevano in casa per
uccidere i topi, che già allora si moltiplicavano numerosi, belli e grossi
all'ombra delle città. Nella Roma Antica il gatto rappresentava un compagno di
vita terrena ed anche in quella oltre la morte. Nonostante non fosse più sacro,
il gatto era comunque accomunato a diverse divinità, prima fra tutte Artemide e
in seguito Diana Cacciatrice, vista la sua abilità di predatore notturno. Il
gatto appare anche in opere etrusche. Nella Tomba del Triclinio a Tarquinia
(470 a.C.) è possibile osservare, acquattato in attesa di un buon boccone
sfuggito ai commensali, proprio un gatto soriano. A Roma venne anche istituito
un tempio che sorgeva dove oggi si trova la chiesa di Santo Stefano del Cacco,
nel rione Pigna; qui venne rinvenuta la piccola statua della gatta che ancora
oggi si può ammirare su un cornicione di Palazzo Grazioli, in Via della Gatta.
Sempre apprezzati per
la loro indipendenza, dolcezza e astuzia, i gatti conobbero un periodo buio
solo nel Medioevo: si diceva che le streghe li scegliessero per le loro
trasformazioni. Nel Medioevo la sorte dei gatti,
associati agli eretici, alle streghe e ai demoni, fu quella degli eretici: per
molto tempo l’animale venne bruciato sul rogo delle streghe, sacrificato nei
riti e torturato. Il gatto nero, addirittura, fu segnalato nel 1233 da Papa
Gregorio IX come la reincarnazione di Satana e più tardi, nel 1484, Papa
Innocenzo VIII scomunicò tutti i gatti e decretò che fossero bruciati tutti
quelli trovati insieme alle streghe. Per circa 500 anni i gatti vennero
perseguitati ed uccisi, ma tale caccia spietata alla fine si ritorse contro
quelli che l’avevano messa in atto, poiché i topi proliferarono a dismisura e
con essi i loro parassiti. Durante il Medioevo si ebbero così diverse epidemie
di peste, che sterminarono milioni di persone. La riabilitazione del gatto avvenne
solo quando si scoprì che la causa dell’epidemia mortale risiedeva proprio nel topo,
l’animale che i gatti combattevano. Alla fine del Medioevo il gatto domestico ebbe
la giusta rivalutazione anche dalla Chiesa, tanto che il cardinale Richelieu,
che nutriva un grande amore per questo animale, alla sua morte lasciò parte
della propria eredità ai suoi adorati gatti. Del terribile cardinale Richelieu
si raccontava che li amasse cosi tanto da esclamare che: «Dio ha creato il gatto perché l'uomo potesse accarezzare una piccola tigre».
Per poter entrare a
pieno titolo fra gli animali domestici più amati, il gatto dovette attendere l’arrivo
del XVIII secolo. Fu proprio alla metà di questo secolo che Louis Pasteur
dimostrò che i batteri erano la causa di molte malattie ed epidemie e
introdusse la vaccinazione per combatterle. Di conseguenza, nelle case si
cominciarono a seguire maggiori norma igieniche e il gatto venne rivalutato
anche come esempio di scrupolosa pulizia. Il piccolo felino con questa
rivalutazione riacquistò importanza e divenne l’ornamento anche dei grandi
salotti; dame ed ammiratori si facevano ritrarre nei quadri in loro compagnia
ed alla sua morte si costruivano tombe con relative iscrizioni o sonetti. Alla
fine dell’Ottocento la passione per il gatto, un tempo maltrattato, tornò sulla
cresta dell’onda tanto che nacquero le
prime mostre ed esposizioni feline e si cominciarono a stabilire gli standard
delle diverse razze.
Nel Novecento i gatti di Roma diventarono talmente famosi e
amati da essere alimentati a spese del Comune con razioni di trippa; in seguito,
però, data l’insufficienza delle risorse comunali e i tagli al bilancio questa
spesa fu eliminata. Proprio da questa consuetudine nacque il detto “Nun c’è trippa pé gatti!”. Oggi a Roma i gatti sono ancora amati ed
accuditi in colonie feline dalle “gattare”, che ogni giorno impiegano tempo e
passione per portare cibo e cure agli animali.
Cari amici, come potete
constatare il gatto ha una sua grande storia che, tra alti e bassi, ne ha
fatto, comunque uno degli animali da compagnia più usati al mondo. Mi
piacerebbe continuare a parlare con Voi di questo splendido animale, ma per
oggi sarebbe troppo lungo e Vi annoierei. Chiudo, pertanto, riportandovi alcune
curiosità storiche o mitologiche sul gatto, riservandomi una seconda puntata
dove ripercorrerò con Voi le molte curiosità sulla sua vita, sulle sue
abitudini, sulla molteplicità delle razze, e anche sulle sue manie. Per ora
ecco alcuni aneddoti su questo piccolo felino.
Si narra che durante il
Diluvio Universale sull'Arca di Noè i topi si riproducevano a grande velocità,
rischiando di consumare tutte le scorte di cibo. Non sapendo più che fare, Noé
chiese aiuto al Signore. Subito dopo il leone starnutì, e dal suo starnuto
nacquero due gatti che riportarono il numero dei topi a un giusto livello. Anche
il mondo Musulmano ama i gatti. Secondo la leggenda, infatti, Maometto aveva un
gatto al quale era molto affezionato, Muezza, il quale aveva il privilegio di
poter dormire sulle maniche dell’abito del Profeta. Un giorno Maometto dovette
allontanarsi proprio mentre Muezza riposava e, per non disturbarlo, si fece
tagliare la manica del vestito. Al suo ritorno, in segno di riconoscenza Muezza
si inchinò al padrone e Maometto lo accarezzò per tre volte sul dorso, donando
così al gatto la capacità di atterrare sempre sulle zampe. Secondo un’altra
leggenda, fu sempre un gatto a salvare Maometto dal morso di un serpente
velenoso.
Anche i grandi come Isaac Newton (1642-1727)
amavano i gatti. Fu il grande Isaac a inventare la gattaiola, la porticina
basculante che permette ai gatti di entrare e uscire di casa a proprio
piacimento. Anche Ernest Hemingway (1899-1961) ne possedeva uno, Boise, un
gatto nero a pelo corto, che fu per anni il suo migliore amico durante i suoi
soggiorni a Cuba. Lo scrittore lo amava talmente da farlo apparire in un suo
romanzo, "Isole nella corrente". Ma Hemingway amava tutti i gatti e
ancora oggi nella sua casa di Key West (Florida), trasformata in museo, abitano
i discendenti dei suoi mici, quasi tutti polidattili (cioè con più dita del
normale). Theodore Roosevelt (1858-1919), Presidente americano dal 1901 al
1909, aveva un gatto di nome Slippers, al quale era permesso di partecipare ai
pranzi ufficiali della Casa Bianca, mentre Colette (1873-1954), la celebre
scrittrice francese, era talmente innamorata dei gatti che, in un modo o nell’altro,
riusciva sempre a infilarne uno nelle trame dei suoi racconti. Al suo "blu
di Russia" dedicò nel 1933 un intero romanzo, "La Gatta", che ha
come protagonista la gatta Saha. Resta famoso un episodio che vide protagonisti
Colette e un randagio. Colette si trovava negli USA e, tornando da una festa,
incontrò un gatto per strada. Subito lo avvicinò e i due si miagolarono a
vicenda per una buona mezz'ora. "Finalmente - commentò lei - ho trovato
qualcuno che parla francese!"
Come vedete, cari
amici, l’amore per i gatti ha attraversato i secoli. Per finire, pensate che
anche Leonardo da Vinci aveva una
spiccata simpatia per questo animale, tanto da fargli sostenere che:
“Il felino più piccolo è un capolavoro”.
Grazie della Vostra
attenzione e…a presto per parlare ancora di gatti!
Ciao.
Mario
Nessun commento:
Posta un commento