Oristano 29 Novembre
2013
Cari amici,
una recente notizia di
cronaca mi da oggi l’opportunità di parlarvi di un pericoloso aracnide da
sempre presente in Sardegna: l’Argia. La notizia di cui Vi parlo è questa: l’Argia, il ragno cugino primo della
più famosa “Vedova Nera”, ben conosciuta e temuta in Sardegna, non si è del
tutto estinta, come era convinzione comune, ma, anzi, prolifera in maniera
eccellente in provincia di Oristano, in particolare nell'isola di Mal di
Ventre, nel sottobosco alle pendici del Monte Arci e nella zona di Siscu, nelle
campagne di Santa Giusta. La conferma da parte degli zoologi dell'Università di
Cagliari e degli agenti del Corpo forestale della stazione di Marrubiu non
lascia spazio a dubbi, e il fatto che gli stessi ne abbiano incontrato decine di
esemplari non fa che confermare quanto appena detto. Tutti
gli esemplari sono stati censiti e alcuni sono stati prelevati e fatti
riprodurre in laboratorio.
«Le
ultime ricerche erano state curate da alcuni studiosi svizzeri, che erano
arrivati alla conclusione che questi artropodi in Sardegna si fossero estinti -
spiega
Anna Maria Deiana, direttore del dipartimento di Biologia animale
dell’Università di Cagliari - I
ritrovamenti ci stanno aiutando a conoscere meglio il loro stile di vita, a
capire con quali altri animali si associano e come si accoppiano». Tra i
cespugli di Mal di Ventre le vedove nere hanno costruito le loro tane, dentro
ci passano la vita, ma qualche volta si incontrano mentre si spostano per
costruire la tela, cibarsi e riprodursi. Hanno trovato casa anche nella zona di
Siscu, nelle campagne di Santa Giusta, tra i cespugli secchi, in mezzo alle
legnaie e sotto le pietre». «Le più pericolose sono le femmine, i maschi sono
gracili e non hanno i cheliceri, gli organi usati per pungere, molto robusti - aggiunge
Francesco Fois, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna - Comunque non sono animali aggressivi,
mordono solo quando sono in pericolo e non hanno possibilità di fuggire».
S'argia è sempre stato
un temibile animale velenoso, avvolto da leggende e mille misteri: pronunciarne
solo il nome, Argia, incuteva un sacro timore, tanto che questo ragno è stato
l’ispiratore di un intero apparato di riti e rimedi per combatterne la presenza
e gli effetti. Secondo una nostra antica leggenda, quando Dio ordinò lo
sterminio degli animali velenosi per liberare le campagne della Sardegna,
soltanto l’argia riuscì a sopravvivere e i contadini ne avevano un sacro
timore, come se essa fosse una maledizione. Nella civiltà contadina del passato,
in particolare nei racconti popolari, l’aggressività di questo temibile ragno era
sicuramente considerata esagerata, anche se, in ogni caso, non possiamo
dimenticare che il veleno dell’argia è quindici volte più potente di quello del
serpente a sonagli! Le più pericolose
sono le femmine, i maschi sono gracili e con minori capacità di pungere; Questo ragno pur poco aggressivo è pericoloso perchè poco individuabile. Essendo, infatti, grande solo pochi millimetri, quindi poco visibile, in aperta campagna, era facile venirne a contatto ed essere
quindi punti. I sardi di qualche secolo fa, considerato il timore che
suscitava la sua puntura, cercavano di esorcizzare la malcapitata vittima con particolari rituali e
danze tribali, come se sul questa fosse caduta una possessione demoniaca!
Prima
di portare a Vostra conoscenza le curiosità storiche ed i rituali sardi su
questo temibile aracnide, vorrei prima descriverlo scientificamente questo piccolo
ma terribile ragno.
La Malmignatta, o vedova nera mediterranea, detta anche ragno
volterrano (Latrodectus tredecimguttatus Rossi, 1790) è un aracnide del genere
Latrodectus (vedove nere) del sottordine Araneomorfi. In Italia è, assieme al
Loxosceles rufescens, una delle poche specie italiane il cui morso può
rivelarsi molto pericoloso per gli umani. Prende anche il nome di arza o argia in Sardegna e in Liguria, falange
volterrana, bottone nell'alto Lazio e a nord di Roma. Il
corpo di questo aracnide, che nella femmina può raggiungere i 15 mm, è
contraddistinto dalla presenza di 13 macchie rosse. Questa colorazione, esibita
a scopo di avvertimento contro i predatori, rappresenta un chiaro esempio di
aposematismo nel mondo animale. È diffuso in tutto il
centro e sud Italia tirrenico (Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata,
Calabria, Sicilia) è inoltre presente in Puglia e in Sardegna. Vive in tele
molto resistenti e dalla forma irregolare in zone a macchia mediterranea bassa,
spesso aride e pietrose, fra sassi e muretti; molto raramente lo si può trovare
nelle vicinanze delle case di campagna.
Le loro più comuni
prede sono gli scarafaggi o altri tipi di artropodi, che dopo essere stati
imprigionati vengono punti e risucchiati del loro liquido. Anche loro hanno dei
nemici: a loro volta vengono depredate da alcuni tipi di vespe. I maschi adulti
di solito vagano alla ricerca delle femmine ma solitamente non pungono. Comunque
non li si vede molto spesso perché vengono mangiati dalle femmine dopo
l'accoppiamento. Queste ultime depongono circa 750 uova ogni anno e le lasciano
sospese alle ragnatele avvolte in un involucro che sembra carta. Normalmente
solo una esigua parte riesce a vedere la luce e la loro completa crescita
richiede da 2 a 4 mesi. Le femmine riescono a vivere anche 1 anno e mezzo
mentre i maschi hanno vita più breve.
Il morso della femmina
dell’argia, pur se meno pericoloso di quello della cugina americana (la
famigerata Vedova nera - Latrodectus mactans), non è doloroso al momento ma
successivamente provoca sudorazione, nausea, conati di vomito, febbre, cefalea,
forti crampi addominali e nei casi più gravi perdita di sensi e talvolta morte;
i casi mortali sono tuttavia veramente molto rari. Si segnalano 4 possibili
episodi di morte in seguito ai morsi (due in provincia di Genova), avvenuti nel
1987. Il veleno di questo ragno resta ovviamente pericoloso per i bambini,
perché la quantità iniettata va proporzionata alla corporatura e per il corpo
di un bambino tale quantità può essere letale. In pericolo sono anche gli
anziani, e gli adulti che siano indeboliti da malattia al momento del morso, in
quanto un soggetto adulto non pienamente sano può non riuscire a salvarsi dagli
effetti del veleno che anche in questi casi può essere letale. Inoltre il
veleno può provocare nei soli soggetti allergici shock anafilattico, come
d'altronde molte altre punture di insetti ritenuti praticamente innocui (come
ad es. i vespidi).
La credenza popolare sarda
considerava la persona punta dall’argia la vittima di una sorta di possessione
demoniaca che richiedeva per la guarigione dei rituali particolari, dei riti
magici: i Riti Argiatici. In effetti
l’antica cultura sarda ha sempre cercato di inventare rimedi naturali ai mali poco
conosciuti, soprattutto a causa dell’assenza di medicine adeguate. Per
combattere un terribile nemico come l’argia, che a loro avviso impersonava una
forza demoniaca, non bastavano certo i soliti accorgimenti umani ma si doveva
ricorrere alla magia; gli effetti della puntura dell’argia potevano essere combattuti
solo esorcizzando il soggetto attraverso determinati rituali, che si
traducevano quasi sempre in balli e travestimenti. Dopo la puntura dell'argia, infatti,
la vittima non era più la stessa persona: subiva una vera e propria possessione
da parte dell'animale. L'unica speranza di salvezza era scoprire le
caratteristiche dell'argia colpevole. Tutto il paese si impegnava in questa
indagine, suonando e danzando per scoprire le preferenze dell'argia. Si facevano
indossare al malato abiti femminili dai diversi colori per poter capire se
l'argia era nubile, sposa o vedova. Si cercava anche di interrogare il malato
stesso per ottenere altre informazioni. Il risultato di questo complesso
rituale era una festa ricca di suoni, balli e colori. L'argia doveva essere
messa allo scoperto entro tre giorni esatti: solo dopo essere stata individuata
e accontentata si sarebbe allontanata e avrebbe permesso al malato di ritrovare
la sua identità e la sua dignità.
Il rituale magico
prevedeva che il malcapitato colpito dalla puntura dell’argia venisse messo al
centro di un cortile o di un loggiato e tutto il vicinato gli ruotava intorno
ballando, cercando in questo modo di interessarlo, di distrarlo dal suo dolore;
solo quando si riusciva a strappargli un sorriso si poteva essere certi di
averlo salvato! "Su ballu de
s’argia" era accompagnato dal suono dei campanacci delle capre poiché
in questo modo si riteneva fosse possibile allontanare gli spiriti maligni; in
casi estremi, quando la situazione sembrava essere critica, in qualche paese
usavano persino infilare il malato dentro un forno riscaldato. Lo avvolgevano
in fasce calde e lo tenevano per almeno dieci minuti, fino a quando i più
esperti non ne diagnosticavano la guarigione. Esistevano, ovviamente, anche
altri accorgimenti: nel sassarese l'infortunato veniva avvolto in un sacco e
seppellito fino al collo nel letame.
Oggi, malgrado la
notizia riportata in apertura, l’argia fa sicuramente meno paura di ieri e questi
rituali sono soltanto un antico ricordo che è confluito in tradizionali feste e
balli di paese, molto seguite dai turisti e con una forte partecipazione
emotiva, segno che il ricordo è comunque ancora vivo e la paura ha sempre
bisogno di essere in qualche modo esorcizzata. I rimedi di oggi sono più
semplici ed efficaci: in caso di puntura, dopo aver lavato bene la parte
colpita applicare del ghiaccio e rivolgersi immediatamente ad un centro
specializzato. Quando si lavora in campagna o in ogni caso si opera intorno a
zone nelle quali si possono trovare questi micidiali ragni occorre prendere
ogni tipo di precauzione indossando indumenti specifici. Tenere anche presente
che questi aracnidi sono ormai resistenti a molti insetticidi.
Cari amici, oggi il
pericolo dell’argia ci angoscia meno di ieri: altre “punture” ci preoccupano
molto di più! Senza entrare nei dettagli parlo delle punture causate dalle “grosse
siringhe” che ogni giorno ci prelevano il sangue con tasse esagerate e ruberie
di ogni tipo, senza dimenticare i tanti giovani, ancora forzatamente parcheggiati
in casa, che a causa dell’assenza di lavoro e di serie politiche per l’occupazione,
anziché essere messi in grado di produrre ricchezza sono costretti a
consumarla.
Grazie dell’attenzione.
Mario
3 commenti:
Grazie per questo articolo! A me l'Argia è simpatica. Volevo segnalare un bel libro ''I rituali dell'Argia'',di Clara Gallini,un antropologa che documentò i riti varie l le soluzioni per la guarigione ( nelle foto in alto,le due donne accanto al forno,dove si inseriva il/la malato con letame animale) ,dato che questi cambiavano a seconda delle zone. Per salvaguardare fotograficamente questa usanza che stava scomparendo fece una sorta di servizio fotografico in base ai racconti delle persone. Queste foto,meravigliosamente in b/n si possono vedere nel libro,che ho trovato nella biblioteca di Oristano
Pericolosa..
Ugazz!
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