Oristano 15 Novembre
2013
Cari amici,
che la Sardegna sia
proprio un Continente in miniatura lo hanno affermato studiosi ben più capaci
di me, a partire da Marcello Serra. In Sardegna c’è proprio tutto, magari in piccolo, ma sempre in grado di stupire: dai cavalli in miniatura, come i cavallini
della Giara, agli uccelli, come il gabbiano sardo-corso, dalle erbe medicinali
uniche al mondo, come le mini orchidee, ai minerali come l’ossidiana, per
finire allo stranissimo agrume “Sa Pompia”, che pare esista solo in Sardegna.
Proprio di questo strano albero oggi voglio parlare con Voi, non solo per la
sua stranezza estetica ma, soprattutto, per la sua straordinaria bontà, oltre
che unicità.
La Pompia (nota come Citrus Mostruosa, termine però non riconosciuto a
livello accademico essendo questo agrume ancora poco studiato e in via di
classificazione), o meglio, sa pompìa,
è un agrume endemico della Sardegna, diffuso in Baronia, in particolare nei
comuni di Siniscola, Posada, Torpè e Orosei. La pianta ha
origine molto antica e nella cultura baroniese riveste un certo interesse di
nicchia per le sue particolari possibilità di utilizzo nella tradizionale
industria dolciaria locale.
L’agrume, conosciuto solo in Sardegna, è sicuramente una specie modificatasi nel tempo all’interno
della famiglia degli agrumi: risalire alle sue origini è molto complicato, a
causa della forte compatibilità tra specie e generi, all’alta frequenza delle
mutazioni delle gemme e alla lunga storia di coltivazione e diffusione. Molti
sono stati, nel corso dei secoli, i casi di impollinazione incrociata che hanno
dato vita a ibridi fertili con caratteristiche nuove ed esclusive. Ad esempio,
per arancio dolce e pompelmo è stato raggiunto tra i vari ricercatori pieno
accordo sul fatto che essi siano ibridi originati dall’incrocio tra pomelo e
mandarino. Il limone, invece, è ritenuto un ibrido derivato da cedro e arancio
amaro. Sa Pompìa è considerata da alcuni un ibrido tra cedro e pompelmo, da
altri un cedro, o un ibrido tra cedro e limone. La specie, però, è diversa da
entrambi, per caratteri sia dell’albero che del frutto e potrebbe essere un
ibrido naturale originatosi, probabilmente, nell’ambito della popolazione
agrumicola locale.
Le prime notizie certe
della sua esistenza risalgono al Settecento. Un saggio sulla biodiversità
vegetale e animale della Sardegna, del
botanico sassarese Andrea Manca Dell’Arca, pubblicato nel 1780, parla di
questo frutto che, in una statistica redatta per ordine del
Viceré, risulta presente in alcune coltivazioni a Milis, in provincia di
Oristano. Relative al secolo precedente, in alcune fonti iconografiche provenienti dalla
corte medicea, si trovano raffigurazioni di varie tipologie di frutti a
grandezza naturale, che individuano alcuni esemplari di Citrus mostruosa. Anche
tornando indietro nella storia, pare che Sa Pompìa fosse già nota nella civiltà
greca. Tra queste citazioni viene riportata una descrizione di questo
frutto, attribuita a Teostrato di Ereso (discepolo di Aristotele, Ereso, 371
a.C. – Atene, 287 a.C.), che la descrive come
una Citrus spinosa (Citrus medica cetra). Palladio, inoltre, segnala la
coltivazione del cedro in Sardegna e Dioscoride descrive la cottura di un
frutto bislungo e rugoso nel vino o nel miele, affermando che è mangiabile solo
se trasformato.
Rimanendo nelle fonti
storiche è probabile che la Pompìa, data la documentata presenza a Milis nel
1760, si sia poi spostata da Milis verso il centro e la costa orientale
dell’Isola. La sua diffusione nel tempo, comunque, restò limitata ad alcune
zone della Baronia e oggi è conosciuta e apprezzata solo da un locale mercato
di nicchia, attualmente, però, in espansione. La sua coltivazione viene praticata
principalmente nelle zone che vanno da Posada a Siniscola e Torpè, fino ad
Orosei, anche se alcuni esemplari sono stati individuati a Limpiddu (Budoni).
Nel 2004 Slow food, per questo agrume, a creato il presidio denominato “Sa
Pompia”: la motivazione dell’intervento è legata al sostegno dato alla
diffusione della cultura della Biodiversità. Vediamo ora come si presenta
l’albero ed i suoi vari aspetti.
L'albero si presenta
molto simile ad un arancio, ma i rami sono molto più spinosi. I frutti sono
stranissimi, grandi come e più di un pompelmo: possono pesare anche 700 grammi,
sono di colore giallo intenso e con la buccia spessa, granulosa, anzi, meglio
ancora, bitorzoluta, costoluta. Si direbbe, osservando le prime volte il
frutto, proprio il risultato di un qualche esperimento di biogenetica mal
riuscito! Gli alberi di pompìa crescono sporadicamente qua e là nelle campagne
della Baronia e sono molto resistenti. Gli agricoltori della zona curano questi
alberi soprattutto per il consumo familiare: solo due di loro coltivano veri e
propri agrumeti e vendono le pompìe alle poche pasticcerie e ai ristoranti di
Siniscola che producono dolci tradizionali. Nell’intento di incentivarne la
produzione il Comune di Siniscola ha avviato, di recente, un campo sperimentale
con 500 alberi. Tutte le coltivazioni esistenti sono assolutamente naturali:
l'albero di pompìa è molto rustico e
raramente si ammala. La raccolta dei frutti maturi è manuale e avviene a
partire dalla metà di novembre fino a tutto Gennaio.
Anticamente questo
strano e bitorzoluto frutto era usato quasi esclusivamente per produrre i dolci
tipici della zona di produzione. In Baronia il suo
utilizzo avveniva in un contesto di grande povertà: a fronte dell’utilizzo di
un frutto di poco prezzo erano necessarie lunghe e laboriose preparazioni, che
davano, però, un risultato di gran pregio. Era d’uso, da parte della
popolazione povera, farne regalo ai notabili del Paese. Donarlo (considerato il
lunghissimo tempo necessario alla trasformazione del frutto in prodotto
commestibile), voleva dire aver fatto dei grandi sacrifici per portarlo in dono
a qualcuno importante, a cui era necessario rendere omaggio. La lavorazione dolciaria
antica realizzava due diversi prodotti: uno è “S’aranzada”, l’altro da “Sa
pompìa intrea”, dolci buonissimi, ancora oggi in auge, nonostante la lenta e
lunga lavorazione necessaria.
Gli ingredienti per
fare "s'aranzata" sono, oltre "sa pompia", mandorle dolci
sgusciate, lessate, asciugate e poi tostate, miele e "trazea"
(confettini minuscoli di zucchero dai diversi colori). La scorza della
"pompìa", tagliuzzata a striscioline larghe poco più di due
centimetri, veniva bollita e poi distesa su un tavolo per essere asciugata,
mentre in un tegame di rame venivano versate sul miele bollente, le mandorle,
intere se piccole o diversamente dimezzate orizzontalmente e tagliate in due
pezzetti. Quando queste stavano per indorarsi, si aggiungevano le striscioline
di "pompia" ed il tutto veniva continuamente rimescolato per oltre
tre ore con una paletta di legno fino a quando "sa pompìa" non
assumeva un colore tra il giallo ed il marrone. Il dolce così preparato, veniva
quindi disteso su un tavolo e lasciato raffreddare. Cosparsa di
"trazea", "s'aranzata" veniva tagliata in piccole porzioni
romboidali che venivano poggiate su foglie d'arancio; era il dolce tipico da
servire nelle occasioni di festa: battesimi, cresime, matrimoni. Quadrati più
grandi venivano preparati in confezioni caratteristiche da regalare ai padrini
di battesimo, di cresima o ai compari e invitati ai matrimoni.
Anche per confezionare
sa “pompìa intrea” i tempi di lavorazione sono lunghissimi: almeno sei ore di
tempo, da quando si gratta via la scorza del frutto e lo si libera dalla polpa
molto amara, cercando accuratamente di non danneggiare o rompere la parte
bianca sottostante. Al termine del delicato e minuzioso lavoro, del frutto non
rimane che una sorta di palloncino vuoto, che viene prima lessato e poi immerso
nel miele millefiori e posto in una teglia a sobbollire per circa tre ore. Al
termine si fa raffreddare e si pone su un piattino: ecco sa pompìa intrea è pronta ad addolcire, con il suo magico sapore,
gli invitati. Una curiosa variante e quella che si chiama “sa Pompìa prena”: il
frutto vuotato dalla polpa viene riempito di mandorle tritate, seguendo poi la
precedente lavorazione. Dalla pompìa si ricava anche un ottimo
digestivo: la scorza del frutto, abilmente staccata con un coltello molto
affilato (evitando di incidere la parte bianca) viene messa a macerare nell’alcool
per un periodo di almeno un mese, fa ottenere un liquore giallo oro, dal
profumo intenso, con buone proprietà digestive.
Quelle ricordate finora
erano le semplici, ancorché lunghe e faticose ricette di ieri, per il miglior
utilizzo di questo frutto. Oggi, invece, questo frutto è diventato interessante
anche sotto molti altri punti di vista. L’Università di Sassari ha studiato questo
strano frutto e le sperimentazioni fatte hanno accertato che le proprietà de sa
pompìa risultano molto utili anche in campo medico e cosmetico. I
principi attivi, scovati in questo frutto dal Dipartimento di Scienze Biomediche, hanno dimostrato di possedere importanti proprietà
antinfiammatorie, antimicotiche, antibatteriche e antivirali. Inoltre l’olio
essenziale estratto dal frutto (già sperimentato da un’azienda di San Marino) può
essere una base essenziale per una linea di nuovi farmaci naturali. Ma non
basta: l’idrolato (sostanzialmente l’acqua della bollitura del frutto) che
avanzerà dalla lavorazione industriale sarà a sua volta usato per produrre
cosmetici e creme, con effetti idratanti ma anche lenitivi e cicatrizzanti. Infine
sarà utilizzato anche il “bianco” del frutto, che diventerà mangime per animali
e compost. Insomma di questo strano frutto non andrà perso proprio nulla!
Il futuro, cari amici, è
fatto di innovazione, che, spesso, ha la capacità di rivitalizzare, portare a vita
nuova, prodotti apparentemente obsoleti. Gli studi dell’Università di Sassari hanno
consentito la nascita di una interessante start-up
rosa:
la “Pha.re.co essential oils”, composta da quattro donne, tutte sarde e con sede di lavoro a Sassari. Guidate da
Grazia Fenu, docente di Anatomia nel dipartimento di Scienze biomediche
dell'università di Sassari ed esperta di fitoterapia e medicine naturali,
lavorano con Lei: la sua dottoranda Marianna Bonesu, l’addetta all’immagine
Mavina Scarzella e la commercialista Alessandra Cuccu. Un gruppo tutto al
femminile serio e caparbio, che verrà
“incubato”, proprio dall’Università Turritana, nel contenitore di nuove imprese
che dovrebbe vedere la luce entro il 2013. Il dado, ormai, sembra tratto!
A suggellare ancora di
più la bontà dell’interessante progetto, il protocollo di intesa già siglato
dal Rettore dell’Università di Sassari Prof. Attilio Mastino con l’ASL, il
Comune di Siniscola e l’Istituto Agrario di Sassari, che verrà aggiornato a
breve per inserirvi la giovane nuova azienda. Accordo che garantisce una
robusta fornitura di pompìa, stimola gli studenti locali a selezionarne e
migliorarne la qualità e le tipologie di coltivazione ed allo stesso tempo
diventerà terapia per gli ospiti del Centro di salute mentale della zona, che
potranno lavorare nei terreni comunali di Siniscola coltivando e raccogliendo
l’agrume. Un progetto, insomma, che non lascia nulla al caso e sfrutta ogni
milligrammo del giallissimo e bitorzoluto frutto che riempie le campagne baroniesi.
Medicine, cosmetici,
mangime per animali, compost, senza dimenticare l’antico dolce della
tradizione, “s’aranzata thiniscolesa”,
questo il pull dei prodotti che accompagneranno il nuovo progetto. Della pompìa
non si butterà via nulla, perché questo magico frutto, pur brutto e bitorzoluto
(oltre che asprissimo agrume) potrà essere per la Baronia come il “Principe –
Ranocchio, capace di trasformarsi come nella favola!
Cari amici, la Sardegna,
come diceva Marcello Serra, è proprio un Continente, ma non solo da osservare, bensì
da utilizzare! Abbiamo nella nostra isola risorse straordinarie ma che restano
latenti e addormentate: un po’ come noi sardi! Diamo ai giovani “nuove”
possibilità di lavoro che potrebbero derivare dalle nostre risorse naturali: sarebbero
davvero interessanti le prospettive sull’utilizzo delle tante piante officinali
endemiche della Sardegna! Se vogliamo
possiamo e dobbiamo crescere commercialmente, ne va del futuro nostro e di
quello dei nostri figli.
Grazie dell’attenzione.
Mario
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