Oristano 28 Novembre
2013
Cari amici,
a promettere e “far
finta di provarci” sono stati bravi
tutti: l’ultimo governo Berlusconi, che con grandi fanfare aveva promesso
almeno un milione di posti di lavoro, il successivo governo Monti, che, pur con
una solenne “ulteriore spremitura” dei soliti italiani che da sempre pagano le
tasse (quelli che non le pagavano ieri non le pagano oggi e sarà difficile che
le pagheranno anche domani), aveva promesso soluzioni che avrebbero ampiamente dato
lavoro ai giovani, e ci prova pure l’attuale governo Letta, che fin dal primo
giorno di governo disse che la priorità era quella di far lavorare i giovani,
unica via da dove può passare la vera ripresa che tutti aspettano.
L’ultimo atto di questo
governo, il “Documento di Programmazione Economica”, meglio noto anche come
Legge di Stabilità, pur con mille paroloni non garantisce quella ripresa tanto
sbandierata (che il governo non può fare
direttamente ma solo incentivando, con appropriati provvedimenti, le aziende che creano i posti di lavoro). Le parole non hanno mai dato ne pane ne
lavoro: ci vogliono i fatti – a seguire –, quei provvedimenti che creano
strutture aziendali produttive. Lo Stato si dovrebbe muovere come una grande famiglia,
e proprio come questa dovrebbe operare: come una famiglia saggia e risparmiosa,
dove tutti diano il proprio contributo, consentendo così di affrontare anche i
momenti di maggiore difficoltà senza traumi. Nelle antiche famiglie patriarcali,
oltre il capofamiglia, tutti davano il proprio contributo: lo stesso discorso
vale per lo Stato, che deve garantire, come un buon padre di famiglia,
innanzitutto la possibilità di lavoro a tutti, perché tutti hanno diritto ad
una vita dignitosa, possibilmente senza pesare sugli altri. In questo momento
difficile, senza provvedimenti anche molto dolorosi, che debbono partire
proprio da quella “spending review” che dovrebbe – sul serio – tagliare tutte
quelle spese improduttive, eliminare tutti quei “parassiti” che vivono a spese
della Comunità, per proseguire poi con una lotta più ferma e forte all’evasione,
per finire con misure drastiche contro la corruzione imperante in tutti i
livelli della pubblica amministrazione.
Far riprendere fiato a
questo nostro Paese non sarà facile, se non garantiamo lavoro ai giovani (ce ne sono tanti seri e capaci), se
non troviamo loro una collocazione lavorativa nella nostra nazione. Lo vediamo
e tocchiamo con mano tutti i giorni: i cervelli migliori emigrano, portano
sapere e innovazione all’estero, dove sono accolti e apprezzati. Un Paese
incapace di innovare e di utilizzare i giovani migliori, è un Paese senza
futuro.
Ricerca
e Innovazione, questi sono questi gli strumenti chiave
che consentirebbero la ripresa e la crescita, strumenti che le aziende,
opportunamente supportate e incentivate, potrebbero mettere sul campo ed in
grado di fare la differenza, ma in Italia così non è! Il Presidente di
Confindustria Squinzi ha fatto ai politici una serie di proposte (non sono tante
sono solo 5), indispensabili per uscire
dal guado, per cercare di far ripartire l’Italia: Semplificazione, taglio «drastico» dei costi per le imprese, pagamento
al più presto di tutti i debiti della p.a., mercato del lavoro «meno vischioso
ed inefficiente», detassazione degli investimenti in ricerca e innovazione.
Questo il manifesto di Confindustria per il rilancio economico, industriale e
sociale del Paese. Le proposte partono da una realtà che non ammette più
ritardi: l’industria manifatturiera italiana è un malato grave.
Il recente studio fatto
dal Centro Studi di Confindustria traccia un quadro preoccupante sulla nostra industria
manifatturiera. La crisi, in circa sei anni, «ha causato la distruzione» di una
buona fetta «del potenziale manifatturiero italiano», pari a circa il 15%. Il
settore «è in condizioni molto critiche» anche se il Paese ha ancora «ottime
carte da giocare». Dal 2007 al 2012 poco meno di 540 mila persone impiegate nel
manifatturiero hanno perso il posto di lavoro. In quattro anni, dal 2009 al
2012, in Italia hanno cessato l’attività 54.474 aziende del settore, il 19,3%
del totale. Dal 2007, anno della prima delle due recessioni che si sono
abbattute sul Paese, il numero totale delle imprese manifatturiere è diminuito
di oltre 32mila unità. Le più colpite sono state le P.M.I. A causa della crisi
ogni giorno chiudono 40 imprese, avverte il vice presidente Confindustria per
il Centro Studi, Fulvio Conti. Sono dati che non abbisognano di commenti.
«Il Paese deve agire
perché non può perdere il treno della ripresa. Abbiamo fatto cose straordinarie
in questo dopoguerra e non possiamo arretrare»,
sostiene il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Tra i capitoli su cui
agire in fretta, cita quello dei giovani. «I loro problemi sono i problemi del Paese,
l’ultimo dato sulla disoccupazione è agghiacciante e inconcepibile»,
conclude.
Se l’Italia è malata la
Sardegna pare addirittura in coma. Il tasso di
disoccupazione giovanile in Sardegna è più alto che in tutte le altre regioni e
tocca il 44,7 per cento, contro la media nazionale che è del 25. L’unico
dato certo (però di valenza assistenziale) rispetto all’occupazione, sono gli
oltre 140 mila lavoratori che a diverso titolo beneficiano di ammortizzatori
sociali, di cui oltre 30 mila in deroga, su richiesta di oltre 2000 aziende in
crisi! Una realtà che senza mezzi termini fa dire che in Sardegna lavora
solamente un giovane su due. Non si
vedono, neanche lontanamente, significativi segnali di ripresa: la crisi è
generalizzata in tutti i territori come testimoniano le vertenze sindacali aperte
con Palazzo Chigi, Regione ed Enti
locali. Il dramma vero, il dramma nel
dramma, è, però, il fenomeno dello “scoraggiamento”.
In Sardegna ci sono 456 mila persone in età lavorativa
che non lavorano, cercano lavoro non
attivamente, non cercano ma sono disponibili a lavorare; ecco il vero dramma sta in questo lasciarsi andare, in questo
arrendersi senza voler continuare a combattere. Questo è il dato davvero
agghiacciante!
Cosa comporti tutto
questo per la nostra fragile economia sarda è facile da capire ma difficile da contrastare.
Senza una seria politica di “ricostruzione” non ce la potremo mai fare.
Solo “insieme”, Stato (che significa anche Europa), Regione, Imprenditori e
lavoratori possono, “remando insieme” verso un unico obiettivo, uscire dal guado
e superare una crisi che sembra senza fine. Col concorso di tutti, nessuno
escluso.
Grazie dell’attenzione.
Mario
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