lunedì, novembre 18, 2013

L’UOMO E IL CIBO: MANGIARE E’ SOLO ALIMENTARSI O UN RITO PIU’ AMPIO, QUALCOSA CHE OLTRE IL CORPO NUTRE ANCHE LA MENTE?



Oristano 18 Novembre 2013

Cari amici,

l’argomento di oggi lo “tocchiamo con mano” (e con la bocca) tutti i giorni: si tratta del cibo, quel necessario cumulo di calorie che quotidianamente dobbiamo introdurre nel nostro organismo per la sopravvivenza. 
Per l’uomo, però, il cibarsi non corrisponde solo ad una necessità biologica, ma riveste anche un’importanza più ampia, che spazia dall’appagamento mentale alla vita di relazione, entrando anche in variabili più complesse.
Che il cibo non sia soltanto un mezzo di nutrimento è da secoli opinione abbastanza diffusa: stare a tavola, era ed è un modo di “riunire” la famiglia, trattare affari, insomma un punto di riferimento importante nella nostra giornata. Mangiare non è un semplice, automatico, rifornimento di calorie: non tutto quello che viene portato a tavola è gradito allo stesso modo. Scegliamo in base ai nostri gusti, abbiamo passioni forti nei confronti di certi cibi, mentre altri li rifiutiamo: condividere il cibo è un rito di socializzazione, di aggregazione, un modo unico di festeggiare gli avvenimenti importanti. Il cibo è parte integrante anche dei rituali religiosi, un rito di comunione. Nessuno, anche quelli che vengono definiti “indifferenti” al cibo (che considerano il mangiare solo una necessità corporale), sono totalmente distaccati o emotivamente non coinvolti dai rituali del convivio. 

Questo dimostra che esiste, dunque, un legame importante tra alimentazione e coinvolgimento emozionale. Numerosi studi e ricerche, per quanto ancora incomplete, hanno dimostrato che molte emozioni sono strettamente collegate con l’alimentazione: l’ansia, la depressione, la noia, la solitudine, la rabbia, lo stress, per esempio. Pur  non risultando ancora del tutto chiaro il ruolo preciso giocato dalla nutrizione in riferimento alle emozioni, è certo tuttavia che le scelte alimentari influiscono sul nostro stato d’animo, probabilmente in associazione ad altri fattori risalenti alle fasi evolutive della nostra personalità. È quasi un luogo comune affermare che certi modelli alimentari sono riferiti ad esperienze avute durante la nostra infanzia.
L’alimentazione, come ben sappiamo, inizia con i nostri primi momenti di vita. Il bambino, a partire dal suo primo vagito, inizia ad alimentarsi creando un rapporto simbiotico con la madre: non solo alimentazione fisica con il latte, ma inizio di un rapporto affettivo duraturo. Una stretta relazione, quindi, tra cibo ed emozioni, fin dalla nascita. Il neonato beve il latte dal seno materno, creando un immediato feeling con la madre, successivamente il bambino un po’ cresciuto inizia a mangiare in autonomia mangiando da solo, ma sempre in “unione conviviale” con i suoi familiari. Questa catena tra cibo ed emozioni non si interrompe neanche da grandi: anche l’affetto viene scambiato attraverso un prodotto alimentare: il regalo di un cioccolatino ad esempio, dimostra l’amore verso di noi di chi ce lo offre. La tavola, insomma, luogo principe di aggregazione, dove, la famiglia si riunisce tutti i giorni e, in modo solenne, nelle ricorrenze importanti. Anche nella socialità della Comunità la tavola imbandita è un luogo d’incontro importante: dalla politica all’economia, dall’attività lavorativa a quella del tempo libero; è a tavola che nascono alleanze, affari, e maturano decisioni importanti.
Il cibo, insomma, sempre protagonista indiscusso: amato e a volte odiato, ma indispensabile; adorato e divinizzato, ma da sempre uno dei principali mediatori nella nostra relazione con il mondo. “L'uomo è ciò che mangia” - affermava il filosofo Feuerbach - “se volete far migliore il popolo, dategli un'alimentazione migliore”. Con queste parole il filosofo voleva sottolineare come l'alimentazione costituisca quella base indispensabile perché gli uomini possano vivere insieme in modo fraterno e solidale, aprendosi reciprocamente all'amore e collaborando alla creazione della cultura e della civiltà. L'alimentazione può essere considerata la base di partenza della cultura di un popolo, in quanto è proprio essa che contribuisce ad identificare e distinguere le diverse culture. E’ proprio attraverso il cibo, ed i riti ad esso legati, che appare chiaramente l’identità e la specificità di un popolo e viene confermata l’appartenenza degli individui che compongono quella Comunità. Il cibo, insomma, è sempre stato uno dei maggiori veicoli di identificazione di un gruppo sociale, i cui membri si riconoscono tra loro come tali dal modo in cui mangiano, da quello che mangiano e da ciò che rifiutano di mangiare.
Cibo, dunque, strumento di identificazione e di aggregazione, che gioca un ruolo importante sul nostro Io interiore: sui nostri sentimenti e sulle nostre emozioni, che siano amore o odio, gioia o dolore, ansia o solitudine, angoscia o rabbia, indifferenza o piacere. Ecco, cibo come ingrediente base del piacere, come sostiene Folco Portinari nel suo libro «Il piacere della gola: il romanzo della gastronomia» (Aliberti, 2005). Non c'è piacere della gola, a sé isolato, come non c'è il peccato di gola, ma c'è il piacere-peccato di cervello». Certo, cibo ed eros sono un binomio vincente! Nella danza della seduzione il cibo e l’eros vanno a braccetto. A confermare questa tesi il libro “Cibo e sesso”, realizzato dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), uscito l’anno scorso, che analizza come sia possibile accendere la passione a tavola. Tra gli alimenti considerati “hot”, oltre al peperoncino e i molluschi (in particolare le ostriche), troviamo gli asparagi, la rucola, il formaggio, il vino rosso (senza dimenticare, però, lo champagne), i fichi e il miele.
Cari amici, il cibo è stato da sempre un ingrediente base per l’uomo: cibo come appagamento del corpo, della mente, della socialità, delle proprie credenze religiose. Cibo, dunque, anche un grande veicolo di “spiritualità”, di culto, che ha influenzato e si è lasciato influenzare dai miti e dalle credenze, creando attorno a se quell’insieme di usi, costumi e tradizioni, capaci di andare ben oltre il folclore! Ripercussioni ed influenze che hanno contribuito a consolidare le origini e la storia di quel popolo.
Dopo aver fatto questa lunga riflessione non potevo non mettere a fuoco, da sardo, la grande valenza del cibo nella nostra antica cultura, quella millenaria dell’orgoglioso “popolo sardo”. 
In Sardegna cibo e culto sono strettamente ed indissolubilmente legati, fanno parte del vivere quotidiano. Il cibo, per noi sardi, è qualcosa di sacro, verso il quale rivolgiamo attenzioni, esprimiamo sentimenti, di valenza quasi soprannaturale. Il cibo per i sardi costituisce un importante messaggio: da trasmettere, da interpretare, costituendo un vero e proprio linguaggio fatto di gesti e rituali, che nascono fin dalla preparazione del cibo e successivamente dal suo utilizzo. Ecco, brevemente, le caratteristiche salienti di questo strano linguaggio, spesso criptico ma mai banale, che ha significati apparenti e reconditi, in una danza che svela, a chi lo sa interpretare, la vera essenza della nostra identità. Per semplificare (elencarle tutte sarebbe oltremodo lungo e complicato), riporto le 5 principali caratteristiche che in Sardegna il cibo ha nella ritualità: 
Cibo e ospitalità, Cibo e ricorrenze, Cibi di buon auspicio, Cibi afrodisiaci ed infine la Ritualità del Convivio dell’ospitalità.

Cibo e ospitalità.  E’ cosa nota che il popolo Sardo è costituito da persone riservate, a volte anche apparentemente scorbutiche; in effetti non è esattamente così, perché  è la diffidente riservatezza dei sardi a voler tenere lontano da occhi ed orecchie indiscrete il “privato”, a dare questa impressione. E’ la curiosità spesso troppo spinta dell’ospite, a far nascere la “chiusura”, la gelida barriera. Nella normalità il sardo è molto ospitale, soprattutto nei paesi dell’interno, dove è quasi impossibile uscire da una casa senza aver assaggiato un pezzo di formaggio fresco, prosciutto, pane e un bicchiere di buon vino. In Sardegna condividere con l’ospite anche quel poco che si ha da mangiare è quasi una regola, più si dà più si riceverà dalla provvidenza.
Cibi e ricorrenze. Ogni evento al di fuori dalla normalità quotidiana è segnato in Sardegna da cibi particolari, preparati sulla scorta di antiche ricette tramandate di generazione in generazione. Per le nozze si preparano ancora oggi pani e dolci di forme diverse: a cuore, a fiore, a corona, a colomba, oppure con varie punte a rappresentare gli organi sessuali degli sposi. Il 31 Ottobre in passato si distribuivano ai bambini pani a forma di corona, “is animeddas”, in nome delle anime del purgatorio, per rendere omaggio, il successivo primo di Novembre, ai morti. Durante la notte del primo novembre era usanza anche lasciare sul davanzale la cena per i defunti, pane e pastasciutta.  
Al settimo o nono giorno dalla morte di un congiunto è d’uso donare a parenti e amici un pane gustosissimo, sa panedda, con carne e maccheroni. Per la S. Pasqua si confeziona ancora il pane con uno o più uova incastonate nella pasta prima della cottura. I tipici dolci pasquali sono: sas pardulas (focacce di pecorino fresco) e sos pabassinos (fatte con uva passa, mandorle, noci e mosto cotto). A Natale la tavola sarda è addolcita da torrone, mostaccioli e guefus (pasta di mandorle vestita di zucchero).

Cibi di buon auspicio. Nell'isola ogni festa è il momento giusto per gustare la carne di maiale arrosto. Il maiale viene abbruskiau (bruciacchiato), lavato per bene, tagliato in più parti e cotto all'aperto sul fuoco. Questo alimento, simbolo di gioia e di benessere, è considerato di buon auspicio, soprattutto se condiviso con altri. Per le feste nei paesi si fanno doni ai vicini o alle famiglie più bisognose: pezzi di carne appena macellata, pane fritto nel grasso del maiale, fegato e lardo. Doni che sono subito ricambiati con fave, ceci o lenticchie: cibi meno costosi ma anch'essi portatori di fortuna e benessere. Fave e lardo è il piatto tipico che viene offerto nei paesi durante il Carnevale: si saluta l'arrivo della primavera con una pietanza ricca, augurio di raccolti abbondanti e prosperità. Altri due alimenti di buon auspicio sono sicuramente il riso e il grano: ancora oggi gettati ai piedi degli sposi nel momento dell'abbandono della casa paterna. Così si augurano alla nuova famiglia prosperità e felicità. Brindare con bicchieri colmi di buon vino è infine il gesto di buon augurio più diffuso in Sardegna, ed è sempre considerato di cattivo gusto rifiutare unu zikkeddu, un bicchierino di vino.

Cibi afrodisiaci. In passato il popolo sardo era molto più riservato e chiuso di oggi; partendo da questo presupposto, la sessualità non era certo un argomento che veniva trattato platealmente in pubblico, soprattutto quando ci si riuniva tutti a tavola. Proprio per questo motivo la tradizione culinaria dell’isola è povera di quelle pietanze definite afrodisiache; l'unico cibo considerato dotato di tali poteri era ed è ancora oggi il sedano (s'appiu), mangiato crudo ed in grosse quantità. Ancora oggi nei tipici banchetti sardi si usa mettere mazzi di sedano sulla tavola ed invitare con malizia gli uomini presenti a consumarne in abbondanza.
Ritualità del convivio dell’ospitalità. Se si partecipa a un banchetto sardo non è proibito mangiare con le mani, anzi i cibi risultano più saporiti e gustosi; è però molto importante prestare la massima attenzione rispetto ad altri atteggiamenti: il pane, ad esempio, ha un valore molto importante, quasi sacro, in Sardegna. Il pane è stato per secoli l'alimento principale di ricchi e poveri e merita sempre il massimo rispetto: è necessario, pertanto, che venga sempre maneggiato con molta cura. Su civraxu (grande pagnotta), per esempio, non si deve mai infilzare con il coltello: va solo tagliato a grosse fette, mai intorno. Quando si taglia la prima fetta non bisogna mai tagliarla dalla parte dove è stata staccata la pasta (quella che rimane un po' meno cotta). Il rispetto che merita questo alimento, poi, impedisce che mai nessuno lo posi a tavola capovolto. Se un pezzo di pane cade per terra si raccoglie, lo si soffia per pulirlo e, con un segno della croce, si ripone sulla tavola: è impensabile che possa essere buttato. Anche il formaggio va trattato con riguardo: si taglia a fettine regolari e non molto grosse, partendo dal centro della forma. Prima di tagliare la cagliata i pastori facevano una croce sul latte coagulato, si segnavano e iniziavano a lavorare il formaggio. Massimo rispetto ed attenzione anche per quanto riguarda il vino: esso va versato nel bicchiere tenendo il fiasco o la bottiglia con il dorso della mano rivolto verso l'alto. Versare il vino in maniera diversa, è considerato un sacrilegio: un vero e proprio gesto di tradimento.
Amici miei, che la nostra vita sia totalmente dipendente dall’alimentazione non c’è bisogno di dirlo: lo sappiamo fin dalla nostra nascita. Ma nel tempo, alla necessità di alimentarci, abbiamo aggiunto una ritualità grande e complessa: perché all’uomo, Dio, oltre il corpo, che ha necessità di essere alimentato, gli ha dato qualcosa di più: un’anima razionale, che va anch’essa alimentata! Uno spirito intelligente, che ha consentito all’uomo di avere il dominio su tutti gli altri esseri viventi.
Grazie, cari amici della Vostra attenzione.
Mario

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