Oristano 26 Novembre
2013
Cari amici,
L’autore del libro “Carne da Demolizione” non era, fino a
pochi giorni fa, una delle mie amicizie: solo il padre mi era noto ed amico, in
virtù della comune appartenenza al Rotary. E’ stato proprio il padre, pochi
giorni fa, a presentarmelo ad Oristano, dicendomi di Lui – dopo i comuni
convenevoli tra amici rotariani - che Fabio a metà Dicembre (la data è quella del
20) avrebbe presentato, proprio ad Oristano, un suo libro: la sua prima
fatica letteraria, dopo la parentesi milanese all’Università, dove ha studiato Comunicazione alla IULM.
Tra amici rotariani è
comune scambiarsi amichevolmente notizie ed impressioni sia lavorative che
familiari, e in quest’ultima occasione Fabio mi fece dono di una copia del suo
libro, dicendomi che lo aveva già presentato con successo in altre città e che,
alla presentazione ad Oristano, avrebbe avuto piacere ad avermi suo ospite. Gli
assicurai di si e ricambiai il dono dandogli una copia della mia ultima fatica,
il mio libro “Tracce”, orme fragili nel cammino della vita”. Salutandolo gli
assicurai anche che, del suo libro, avrei parlato anche in questo blog, che Voi
ben conoscete, e dove quasi quotidianamente esterno le mie riflessioni.
Voi tutti sapete che
amo leggere e posso garantirvi che, rientrato a casa, presi subito in mano il
libro, prima sfogliandolo e successivamente decidendo, senza perdere tempo, di
leggerlo. “Carne da Demolizione” non è solo un romanzo, ma un libro che
affronta un argomento di grande interesse e, sotto certi aspetti anche drammatico:
il futuro dei giovani. Quel futuro che, per colpe anche della nostra
generazione, è stato messo in pericolo, “rubato” alle generazioni future. Una
delle frasi celebri del grande Groucho Marx, “…mi interessa il futuro: è li
che voglio vivere il resto della mia vita”, mette in luce la grande
ansia dei giovani di oggi che, a differenza della nostra generazione, non
trovano quella occasioni di “realizzazione materiale” per cui si sono
preparati.
L’ansia di Fabio l’ho
colta subito, è presente in tutte le pagine del libro: dall’abbandono della
Milano che non aveva mai amato (il distacco dai suoi inizialmente era solo una
fuga verso la libertà, un taglio del cordone ombelicale) al rientro
nell’azienda di famiglia (una grande azienda di trasformazione di carni) dove,
pur avendo imparato a “comunicare”, con le mani tuttalpiù sporche d’inchiostro,
non aveva mai avuto occasione di “sporcarsi le mani” materialmente.
Questo suo viaggio
introspettivo, vissuto svolgendo quel suo primo “lavoro sporco” all’interno
dell’azienda, lo mette a contatto con le tante realtà che ne fanno parte:
giovani e anziani, colletti bianchi e lavoratori inondati costantemente dal
fetore e dal sangue delle bestie; qui lui – in mezzo a tutte queste anime, da
figlio del padrone - cerca di trovare il
giusto equilibrio: senza passare da fannullone e cercando di dimostrare le sue
capacità operative e direzionali. Un equilibrio che stenta a trovare ma che,
caparbiamente, cercherà fino in fondo.
L’ansia di Fabio è
quella dei tanti giovani sardi che non vogliono continuare il retaggio del
passato: quello di replicare l’attività dei loro padri e dei loro nonni:
continuare a fare il pastore, il falegname, il fabbro, il contadino. Per Fabio
il futuro è diverso da quello di continuare a vivere in mezzo al sangue delle
bestie da macello, di governare quella immensa montagna di “Carne da
Demolizione” che quotidianamente inonda lo stabilimento di famiglia. La sua
voglia di autonomia, uguale a quella di tanti giovani, è fatta di conflitti con
il padre, di voglia di dimostrare le sue capacità, di fare un lavoro consono
alle sue aspirazioni! Non è un rinnegare il passato, a cui è certamente anche
devoto, ma è la ricerca di un “futuro” diverso: non un futuro di costrizione di ripetizione della catena esistente, ma un
futuro di costruzione, della
costruzione un percorso nuovo, dove poter dimostrare le sue abilità: far vedere
a tutti di saper volare!
Fabio, uomo sardo, già
forte della sua identità prova anche a cimentarsi nell’azienda di famiglia: ci
prova con tutte le sue forze, ma vede ogni giorno tramontare i suoi sogni: non
basta la palestra a fine giornata a dargli qualche piccola soddisfazione; fino
alla sua profonda riflessione finale, che lo porterà nuovamente lontano dalla
sicurezza della casa paterna, per cercare la sua strada. Ecco come viene
descritta da Fabio nel libro questa dolorosa decisione:
“…(Fabio) ha già
sperimentato la vita lontano da casa, ma come studente mantenuto. Ora il lavoro
vero, quello manuale, l’ha provato nell’azienda di famiglia, quella che il
padre Costantino ha pensato di accudire per lui e prima di lui. E la cosa in sé
non gli piace. Per dimostrare il proprio valore in battaglia bisogna partire
come gli altri, con l’attrezzatura degli altri. Non vuole essere ricordato come
un figlio di papà, uno che ha trovato la pappa pronta…”.
Presa
la decisione “si prepara a fare un grande passo (quello di comunicarlo al
padre) molto più sofferto di quanto avesse mai potuto immaginare”, scrive Fabio
nell’ultima parte del libro.
Cari amici, questo
“Romanzo/Verità” di Fabio Forma debbo confessarvi che mi è piaciuto molto. E’,
a mio avviso, un vero e proprio libro verità, dove appare in tutta la sua cruda
realtà l’ansia di un giovane che serio, forte e capace, cerca di realizzarsi
con le proprie mani, anche se avrebbe potuto evitarlo, considerato il
paracadute di cui la sorte lo aveva dotato. E’ questa l’ansia di tanti, giovani
come lui, che cercano ugualmente di volare da soli. Vorrei concludere questa
mia riflessione riportando le ultime parole del suo romanzo, eccole:
“…(Fabio) così, ora si
prepara a parlare col padre: gli racconterà finalmente tutto ciò che aveva
detto a se stesso, tutto ciò che non era mai riuscito a dirgli. E’ eccitato,
soprattutto vuole dirsi che questa fase è
conclusa, per partire con un peso in meno. Domani sarà un lunedì, ma non lo
passerà a sospingere vitelli e timbrare maiali. Non lo passerà a litigare con
Santino, né a scambiare due chiacchiere con Sandro. Domani preparerà una
valigia, con la speranza di portare anche se stesso – per buttare via la
maschera vuota che indossava da troppo tempo…”.
Anche per noi, figli di
un’altra generazione, è tempo di buttare via “la maschera”! Smettiamola di
fregarcene del futuro dei giovani, che se oggi manca è anche colpa nostra,
perché, per il nostro egoismo abbiamo intaccato il loro futuro.
Grazie dell’attenzione!
Mario
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