Cari amici,
quand’ero ragazzo il ricordo del defunti era
festeggiato in modo semplice e austero insieme: un rito molto diverso da quello di
oggi, con feste che non ricalcano la nostra tradizione ma quella di altri
popoli.
Per Voi uno dei miei racconti: non è proprio
autobiografico, essendo arricchito con buona fantasia. Eccolo.
ANTONEDDU
E “IS ANIMAS DE SU PRUGADORIU”.
Seduto vicino al camino
Antoneddu osservava le leggere fiammelle che con piccoli lampi di luce si
levavano verso l’alto, creando quel bagliore e quel movimento che faceva
piacevolmente compagnia. L’uomo, con le spalle appoggiate allo schienale della
sedia, sentiva i passi veloci della mamma che, in un andirivieni lesto e
nervoso, riapparecchiava la tavola. Zia Efisina, la mamma, dopo cena aveva
sparecchiato, “fatto i piatti” e rimesso la cucina in ordine, ma non si era
seduta anche Lei al camino come suo solito. L’indomani era il 2 di novembre,
festa del ricordo dei defunti, e la sua mente era rivolta al passato: a quelli
che non c’erano più. Mentre si muoveva avanti e indietro, per “apparecchiare
nel modo migliore la tavola”, si rivide bambina, mentre si muoveva curiosa in
mezzo ai grandi, ed i genitori preparavano la grande tavola imbandita per
ricordare e onorare le anime di quelli che non c’erano più: Is animas de su prugadoriu.
Antoneddu seguiva con
lo sguardo la mamma, cercando di capire se poteva ancora aiutarla a preparare
quel rito che si ripeteva da generazioni. Nei giorni precedenti tutto era stato
predisposto per bene. Un sacco del grano migliore era stato fatto macinare nel
piccolo mulino del paese, appositamente per preparare il pane della festa. Ci
aveva pensato Antoneddu, che aveva anche provveduto a sgusciare le mandorle che
Zia Efisina, con le amiche, aveva poi fatto scottare in acqua calda per
togliere la pellicina scura e prepararle per confezionare i dolci della festa:
papassini, gateau, amaretti e pardule al
formaggio fresco. Era stato spillato dalla botte anche un po’ del vino migliore,
messo in alcune bottiglie ben tappate e tenute al fresco in cantina, insieme ad
una piccola forma di formaggio. Quella sera, prima di cena era stato preparato
anche il bollito (un misto di carne di vitella, agnello e maiale), che era
stato lasciato in pentola, sopra i fornelli a carbone della cucina, a
raffreddare lentamente.
Zia Efisia, mentre
Antoneddu con gli occhi semichiusi sembrava osservare il lento bagliore delle
fiamme del camino, dopo aver verificato che il grande tavolo di cucina fosse
perfettamente pulito, lo ricoprì con la tovaglia di lino, quella delle grandi
occasioni, destinata alle feste più importanti. La sistemò per bene, in modo
che cadesse nello stesso modo ai quattro lati. Dopo aver passato a lungo le
mani sulla tovaglia, quasi volesse togliere anche le pieghe più minute, andò a
prendere dalla credenza i piatti. Scelse quelli con il bordino dorato, ricordo
del suo matrimonio (glieli aveva regalati la madrina di battesimo), che
venivano usati solo per gli ospiti importanti che raramente capitava di
ospitare. Li portò a tavola e poi, lentamente, iniziò a sistemarli in buon
ordine. Anche le posate andò a prenderle dall’armadio buono, quello che
conteneva le cose che non venivano usate correntemente. Sistemò per bene i
tovaglioli, le posate ed i bicchieri: anche questi ultimi erano quelli della
festa, quelli in vetro sottile che sembrava cristallo!
Dopo aver osservato se
tutto era stato messo in buon ordine scese in cantina a prendere il vino e la
forma di formaggio che collocò su un piatto, mettendo il tutto a tavola.
Aggiunse anche una brocca d’acqua poi andò a prendere il pane. Nella cameretta a
fianco alla cucina e destinata alle provviste, il pane, cotto nel forno a legna
il giorno prima, era stato messo a sfreddare e riposare sopra un ampio
contenitore di vimini (su carrigu), coperto da uno spesso telo di lino. Alzato
il telo, prima di prenderne alcune forme, zia Efisina si fece il segno della
croce e, tenendo in mano uno dei pani, osservò che era ben cotto ed emanava un
buon profumo. Ricoprì nuovamente il recipiente e portò il pane a tavola. Soddisfatta
del lavoro diede, poi, uno sguardo d’insieme per rendersi conto se tutto era
stato collocato a dovere: mancavano ancora la pentola con la carne in brodo e i
dolci.
La pentola era ancora sui
fornelli ormai spenti, a due passi dal tavolo ed a fianco al camino, mentre i dolci
erano ancora nella stanzetta delle provviste. Preso dall’armadio un ampio
vassoio lo ricoprì con un piccolo telo di lino e iniziò a posarvi, uno ad uno,
i dolci della festa. Alternando i vari tipi, riempì il vassoio, portandolo poi
in cucina e collocandolo nella parte centrale del tavolo. Preso, poi, un poggia
pentole vi collocò sopra il recipiente con la carne in brodo, appoggiando sopra
il coperchio il mestolo; coprì, infine, il tutto con una tovaglietta di lino.
Accertato che tutto fosse al suo posto, dopo un’ultima occhiata di controllo,
si fece il segno della croce e, data la buona notte al figlio, si ritirò per
andare a dormire.
Antoneddu, rimasto solo
in cucina, diede uno sguardo compiaciuto alla bella tavola imbandita e, commosso,
pensò con devozione e amore a quanto lavorava la mamma: in piedi dall’alba fino
a sera inoltrata, senza mai lamentarsi, senza mai uno scatto d’ira o una parola
poco gentile. Lei era davvero un angelo, che Dio aveva mandato sulla terra solo
per lui. Socchiusi gli occhi si rivide bambino in occasioni simili a quella che
ora, da grande, riviveva. L’arrivo della festa dei defunti era vissuta dai bambini del vicinato con
grande gioia e “tutti insieme”! Fin dai giorni precedenti la festa erano tutti
in grande agitazione: entravano in fibrillazione per fare squadra e preparare
le visite a tutte le case, in cerca di prelibati dolcetti, noci, nocciole,
mandorle e quant’altro servisse a dare gioia e dolcezza e “riempire quella
pancia” che durante il resto dell’anno non era spesso appagata secondo i loro desideri!
Antoneddu, sempre ad
occhi socchiusi e ammaliato dalle mobili lingue del fuoco, quasi come in un
sogno si rivide bambino, insieme alla sua squadra. Ecco Gianni, Nando, Osvaldo,
Chicco, Pietro, Antonio, Benigno, Carlo e poi gli altri…tutti a correre in
gruppo nelle stradine in terra battuta, entrando dentro le case, il cui uscio
era sempre aperto, e porgendo con occhi imploranti il sacco semivuoto! Il più temerario, e poi
gli altri in coro, pronunciavano a voce alta la fatidica frase “po is animas de su prugadoriu”, mentre
quello che teneva alzato il sacco aperto, aspettava con ansia che una mano
amica mettesse dentro un pugno di noci, di mandorle un paio di papassini o
qualche mela, pera o melagrana. Qualcosa finiva sempre dentro il sacco e alla
fine del giro era grande festa: ci si spartiva il frutto della ricerca, dividendo
tutto, con gioia e grande senso di comunione e amicizia.
I tempi cambiavano,
pensò Antoneddu. La fratellanza che aveva conosciuto da piccolo ormai non
esisteva più. Rivedendo le scene del passato si rese conto che certe belle
tradizioni iniziavano a sfibrarsi e, forse, anche a morire. Ormai i ragazzi che
praticavano questo rito quasi non esistevano più: la modernità, col suo nuovo
finto benessere, aveva iniziato a soppiantare tante tradizioni, a cancellare
quei riti di aggregazione e di solidarietà tra generazioni, che erano stati una
grande forza del passato, quel collante dello stare insieme in modo solidale.
Costumi che avevano tenuto insieme le generazioni, dandosi l’aiuto reciproco, e
alimentato l’armonia della vita in Comunità. La modernità aveva già iniziato a
distruggere la solidarietà, inculcando nelle generazioni future l’individualismo,
l’egoismo e l’arrivismo, cancellando quel benefico “stare insieme” dove tutti
dividevano quel poco che avevano.
Mentre Antoneddu
continuava la sua riflessione, il fuoco terminò di lanciare le sue fiammelle: ormai
era quasi spento e un sottile brivido di freddo lo assalì. Pensò che l’ora era
tarda e la stanchezza del giorno si faceva sentire, richiamando il sonno. Si
chinò per coprire il restante fuoco sotto una leggera coltre di cenere e,
alzatosi, si avviò alla sua camera per mettersi a letto. Prima di spegnere la
luce della cucina diede un ultimo sguardo alla bella tavola apparecchiata. Li
rivide tutti, seduti uno a fianco all’altro: il babbo, il nonno, la nonna, gli
zii e le zie; erano felici di ritrovarsi, insieme tra di Loro e con Lui e la mamma, per festeggiare
“tutti insieme” un giorno di comunione, uniti dall’amore e dalla solidarietà.
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Grazie a tutti dell'attenzione!
Mario
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