Oristano, 6 Novembre
2013
Cari amici,
la mia riflessione di
oggi trova spunto nei recenti fatti di cronaca che mettono in luce la “grande solitudine”
insita nei personaggi di comando, quelli ai quali è delegato il destino di
molti altri. Anche solo dando un rapido sguardo ai fatti più recenti: da
Benedetto XVI che, clamorosamente e in modo assolutamente inaspettato, ha
abbandonato il soglio di Pietro a Berlusconi che, a capo di un grande partito,
si trova oggi “solo” ed in procinto di dover abbandonare il seggio di “rappresentante
politico”, che da vent’anni lo vede al timone di uno schieramento di peso.
La solitudine,
cari amici, non è una condizione umana naturale, perché l’essere umano è, per
sua natura, un animale sociale. Fin dagli albori dell’esistenza, infatti, ha
cercato di vivere la sua vita condividendola con gli altri esponenti della
Comunità. Vivere in solitudine per l'individuo (sia quando si isola volontariamente,
così come quando viene isolato dagli altri), è una condizione inusuale, che gli
comporta anche pesanti conseguenze psico-fisiche. Questo però non significa che
la regola non abbia la sua eccezione: cioè che l’uomo non abbia necessità di
“isolarsi”, di esaminarsi dentro, in totale solitudine. E’ una
necessità, questa, richiestagli dallo stesso suo individualismo che necessita di
momenti di solitudine. Momenti dei quali non gli è possibile fare a meno, pena
la perdita della sua identità.
Nel corso della
vita ogni uomo ha provato l’esperienza della solitudine, e quando l’ha
confrontata con gli altri si è accorto che non ne esiste una sola. Ognuno di
noi ha un modo proprio di rappresentarsela, di viverla e perché no,
d’immaginarsela. Termine, quindi, difficile da interpretare quello della
solitudine! Proviamo a comprenderlo meglio, partendo proprio dall’analisi del suo termine.
Etimologicamente il termine solitudine rimanda alla parola “separare” composta
da “se” e “parare”. La prima indica “divisone”, la seconda “parto”. La parola
solitudine rimanda quindi alla “separazione”, quella del nascituro dalla madre,
con la conseguente perdita di uno status particolare. Solitudine quindi come
conseguenza di una separazione da un contesto sociale. L’uomo, oggi più di
ieri, risulta essere sempre più solo: la solitudine dell’uomo moderno risulta più
arida di quella biblica di Re Saul. Come, allora, riuscire a convivere con la
solitudine dei nostri giorni, e quale il prezzo da pagare?
Male antico,
quindi, la solitudine dell’uomo, che nasce in tempi lontani. Addirittura
riconducibile ad Adamo ed Eva, cacciati dal “paradiso perduto” per aver peccato
contro Dio e da Questi condannati ad una vita di solitudine, di sofferenze e di
dolore. Solitudine, dunque, nata con l’uomo e successivamente perpetuata: lo
stesso ovulo, al momento della fecondazione, è solo. Questo, assunto il
patrimonio genetico del partner, diventato prima embrione e poi feto, si
ritrova poi sperduto a nuotare nel liquido amniotico del ventre materno, sempre
“solo”. Solitudine che lo accompagnerà anche da adulto, e che sarà sempre presente nel suo DNA, accompagnandolo
nei suoi momenti di necessaria e solitaria riflessione.
La stessa Bibbia,
nel Primo Libro dei Re, ci parla della solitudine di Re Saul che, abbandonato
da Dio e tormentato da uno spirito maligno, si ritrova a non essere più il Re
vittorioso. La sua ira è forte e tremenda e si scaglia contro il sommo
sacerdote Achimelech, accusato di aver unto Re, David (genero
di Saul, in quanto sposo della figlia Micol). Le conseguenze sono pesanti per
David che (anche per le esortazioni malefiche del ministro Abner), viene
bandito e costretto a fuggire. Tornerà nel momento della lotta contro i
filistei, ma Saul non ne accetterà l'aiuto e non ne condividerà il suo piano di
battaglia. L’epilogo è tragico: Saul sarà vinto e si darà la morte, ponendo
fine alla sua triste solitudine, lasciandosi cadere sulla sua spada.
Esempio, quello
di Re Saul, che incarna la solitudine del monarca, del condottiero, votato alla
“guida”, al “comando” di Popoli, Paesi o Comunità. Oggi, in tempi moderni,
possiamo definire simile a questa
solitudine, quella dei manager,
dei grandi capi d’azienda o di partito, che governano strutture a volte grandi
come Stati. Solitudine pesante, quella dei Leader, che contiene il fardello
delle responsabilità aziendali, e il compito di trovare la strada migliore da
seguire. Non è facile essere un leader: posizione agognata quella di “Capo” o di
“Numero Uno”, ma posizione che, se da un lato offre notevoli vantaggi di
carattere economico e sociale, comporta anche un alto prezzo da pagare: vivere
per l’azienda, assumendo la responsabilità di guidarla e governarla ma
rinunciando al tempo libero, alla famiglia ed agli affetti. Il prezzo maggiore del comando è, però, un
altro: la solitudine del Manager: in tutte le sue decisioni, nel bene e nel
male, sarà sempre solo.
Oggi il mondo è,
usando parole spesso abusate, un “unico villaggio globale”, dove tutto e
strettamente legato da avviluppanti fili, ancorché spesso invisibili. Tutto si
muove in tempo reale e la velocità è determinante: tutti quelli che hanno
posizioni di comando lo sanno, come sanno di essere soli nelle decisioni. Nelle
tante strutture socio-economiche, politiche e anche religiose, ognuno cerca di
fare al meglio la sua parte: da Barack Obama, Presidente USA, ai grandi manager
delle multinazionali come la Coca Cola o alle varie aziende sparse nel mondo,
dai grandi banchieri come Mario Draghi, governatore della Banca Centrale
Europea, ai Presidenti delle grandi nazioni,
passando anche per i responsabili di partito, come il nostro Silvio Berlusconi
e senza dimenticare i capi delle religioni, come il nostro Papa, capo della
Chiesa Cattolica.
Mi immagino la
solitudine del Presidente Obama, in momenti come il recente possibile default del
debito pubblico USA, scongiurato in extremis quasi per miracolo, quando, quasi
con angoscia, rivolto ai rappresentanti del Congresso disse: “Alziamo
il tetto del debito oppure sarà il disastro”! Come lucidamente ricordo la
grande tensione di John Kennedy, eletto presidente degli Stati Uniti nel febbraio del 1961(io ero allora ancora un
ragazzo), che nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca disse: «Non
chiedetevi cosa il Paese può fare per voi, chiedetevi cosa voi potete fare per
il Paese». Ho riportato qui una foto del grande fotografo statunitense
George
Tames che definì l’impegno di Presidente
degli USA «Il lavoro più solitario al mondo». La foto, scattata il 2
febbraio del 1961, mostra il presidente John Kennedy, che ha giurato da pochi
giorni, nella sala ovale, ripreso di spalle, curvo verso le vetrate della Casa
Bianca, piegato dalla tensione, in silenzio: solo. Sembra chiedersi in quell’istante cosa «lui» possa fare per l’America.
Da cristiano ho ancora
dentro di me la grande tristezza per l’inspiegabile decisione del nostro Papa
Benedetto XVI di abbandonare il Suo Ministero. Nella Chiesa il credente, però,
sa che il disegno di Dio è saggio, ancorché imperscrutabile: certamente è difficile
da comprendere ma possiamo constatare anche, dalla grandezza del Suo
successore, che Dio non abbandona mai l’uomo. Questo non toglie che la solitudine
dell’uomo Joseph Ratzinger rimane in tutta la sua interezza.
L’elenco dell’incurabile solitudine dei numeri primi
potrebbe continuare a lungo: dal nostro Presidente della Repubblica Napolitano
a quello del Consiglio Letta, dal Presidente della Russia Putin a quello della
Fiat Marchionne, per finire, evitando di citarne altri, all’uomo Berlusconi, da
mesi ormai sulla bocca di tutti, tutti i giorni ed a tutte le ore. Credo che,
sommando le ore in cui si parla di lui, poche ne rimangano, di ore, per parlare
degli altri gravi problemi che angustiano il nostro Paese. Certamente, però,
anche la sua solitudine è grande.
Il giornalista Piero Degli
Antoni così definisce l’odierna solitudine di Berlusconi:
“…Come un tempo i re
shakespeariani attendevano, circondati dai familiari più stretti, nel chiuso
delle mura dei loro castelli, l’esito di battaglie epocali, così ieri Silvio
Berlusconi ha aspettato a Palazzo Grazioli di conoscere la soluzione di uno
scontro per fortuna meno cruento ma per lui altrettanto fondamentale. Mentre
nel Medio Evo gli araldi galoppavano nelle brughiere inglesi per portare le
notizie di sconfitte e vittorie, ieri Re Silvio ha tenuto i contatti col
metaforico campo di battaglia attraverso Coppi e Ghedini, addobbati con la più
comoda toga al posto dell’armatura.(…) Allontanata da corte la
turba dei suggeritori, consiglieri reali, oltre che naturalmente dei giullari,
degli acrobati, dei circensi, Re Silvio ha voluto rinchiudersi tra le mura di
Palazzo Grazioli da solo con i compagni più fidati, una piccola tavola rotonda
trasportata da Camelot a Roma…”.
La solitudine, nella
giusta maniera, conforta anche l’uomo. Hermann Hesse, premio Nobel per la
letteratura nel 1946 (Hermann Hesse (Calw, 2 luglio 1877 – Montagnola, 9 agosto
1962), scrittore, poeta, aforista e pittore tedesco naturalizzato svizzero,
così definiva la solitudine:
« La solitudine è indipendenza: l'avevo
desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era
anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e
silente nel quale girano gli astri. ».
Grazie cari amici della
Vostra sempre gradita attenzione!
Mario
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