sabato, marzo 21, 2015

LO STATO? È IL NOSTRO SOCIO DI MAGGIORANZA! SE IL REDDITO AUMENTA, LE TASSE ANCORA DI PIÙ! IL PRELIEVO FISCALE IN ITALIA , NONOSTANTE LE PROMESSE, CONTINUA A CRESCERE.



Oristano 21 Marzo 2015
Cari amici,
lo dice impietosamente l’OCSE: in dieci anni, dal 2003 al 2013, il reddito medio degli italiani è sì aumentato del 28,5%, passando da euro 23.113 a 29.704, anche se l’aumento, tra l’altro nominale, deve tener conto dell’inflazione e dell’effettivo nuovo potere d’acquisto. Ebbene, dei 6.590 euro percepiti in più dai contribuenti, pensate, oltre la metà sono finiti nelle tasche dello Stato: ben 3.869 euro! Per quale motivo? Semplicemente perché l’aumento del reddito ha modificato la precedente tassazione che è passata dal 28% al 31%, con un incremento di ben tre punti percentuali. E la volontà di cambiare, riducendo le tasse almeno in alcune fasce di reddito, non appare neppure all’orizzonte!
Le aliquote IRPEF 2014 – 2015, relative alla tassazione sui redditi, sono le seguenti: vanno dal 23% al 43%, divise in cinque scaglioni di reddito. Tutto questo emerge dalla tabelle dell'OCSE, elaborate dall'Adnkronos, dalle quali si ricava che sul reddito medio degli italiani, aumentato come detto prima del 28,5%, la parte del leone l’ha fatta lo Stato! Dopo tante promesse l’Erario ha ripreso alla grande a spremere le tasche degli italiani, e le precedenti aliquote non solo non sono state ritoccate in diminuzione ma addirittura aumentate.
Il confronto con altri 13 Paesi che fanno parte dell’Euro Zona, dimostra che il reddito lordo medio pro capite, in alcuni di questi Paesi, nel decennio preso in esame, è anche più che raddoppiato; si tratta della Slovacchia e della Slovenia dove l'aumento è stato rispettivamente del 74,6% e del 51,2%, anche se è necessario precisare che si partiva da redditi precedenti piuttosto bassi. Non mancano, però, casi di Nazioni dove, pur con redditi di partenza già alti, si sono registrati incremento più consistenti: in Finlandia, per esempio, l'aumento è stato del 43,4%, il che ha portato i guadagni dei cittadini da 29.624 euro a 42.493 euro, mentre il peso delle tasse gravanti sui redditi, si è invece ridotto, passando dal 31,5% al 30,2%.
Cari amici, ci lamentiamo spesso che in Italia i consumi sono calati e continuano a calare, che le famiglie sotto la soglia di povertà sono sempre in aumento, ma le tanto ventilate ipotesi di riduzione delle tasse gravanti sugli emolumenti derivanti da lavoro o pensione non tendono assolutamente a diminuire! Che dire, poi, del carico aggiuntivo che le famiglie sostengono per i tanti figli senza lavoro che continuano a soggiornare in casa? La soluzione del problema non è certo facile, ma bisognerà trovarla, perché altrimenti uscire dalla recessione sarà sempre più difficile!
L’elefantiaca macchina burocratica dello Stato, nonostante le promesse, continua ad ingurgitare enormi risorse finanziarie, e l’ipotizzata spending review (di cui ho recentemente parlato qualche giorno fa in questo blog), non sembra aver trovato nessun tipo di soluzione possibile, se addirittura l’uomo al comando (Cottarelli) si è elegantemente dimesso, tornando al Fondo Monetario Internazionale. La risultante è che nessuno vuole rinunciare ai privilegi che, ormai, non hanno più ragion d’essere e il divario tra ricchi e poveri continua ancora ad aumentare. La statistica dell’OCSE, prima menzionata, ha messo in luce che il divario di reddito esistente fra il 10% della popolazione italiana più ricca e il 10% di quella più povera, risulta sempre più ampio.
L’aumento della forbice delle disuguaglianze, già evidente a partire dagli anni Ottanta, si è ulteriormente aggravato a seguito delle crisi finanziarie globali, aumentando le distanze fra le diverse fasce sociali. I dati impietosi evidenziano che il 10% più povero della popolazione italiana riceve appena il 2,4% del reddito nazionale globale, appena un decimo di quanto guadagna il 10% più ricco (24,4%). Il divario tra i due estremi, calcola ancora l’OCSE, è cresciuto durante la crisi: tra il 2007 e il 2011: il 10% più povero ha perso circa il 3,9% del reddito familiare disponibile all’anno, mentre per il 10% più ricco la perdita è stata solo dello 0,8% annuo.



Lo studio dell’OCSE, condotto dall’economista italiano Federico Cingano, ha rilevato che l’Italia (che si muove sulla stessa lunghezza d’onda delle economie più avanzate), fra il 1990 e il 2010 dovrebbe aver `bruciato´ circa l’8,5% della crescita, per via anche delle negative ricadute sulla formazione dei giovani delle classi meno avvantaggiate. Un fenomeno questo contro il quale l’economista suggerisce una ridistribuzione dei redditi attraverso una maggiore tassazione delle fasce più abbienti e la concessione di sussidi più elevati nei confronti delle famiglie più disagiate.

Infine, per quanto riguarda il lavoro, lo studio rileva che, dopo il lieve calo della disoccupazione registrato a Settembre, a Ottobre l’indice è tornato a salire di 0,3 punti percentuali, toccando il 13,2%. In crescita anche il tasso di “disoccupazione giovanile”: per i giovani under 25, a Ottobre si è passati dal tasso del 42,7% al 43,3%, il terzo più elevato dell’area OCSE dopo la Spagna (53,8%) e la Grecia (49,3% in agosto, ultimo mese per cui ci sono dati).
Cari amici, sono dati che classificano l’Italia un “malato in coma profondo”, che mi deprimono non poco. Credo, almeno per oggi, di non riuscire a commentare ulteriormente.
A domani.
Mario



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