Oristano 21 Giugno 2013
Cari amici,
la storia del credito in Sardegna continua, facendo qualche passo avanti e anche qualche passo indietro! Considerato che i Monti apparivano non più adeguati allo svolgimento del compito creditizio per cui erano sorti si tentò, con poco successo, prima la ristrutturazione a cui seguì con la Legge del 1862 la chiusura. Altri importanti soggetti si affacciavano all’orizzonte! Ecco a Voi un nuovo capitolo.
DAI MONTI ALLE CASSE COMUNALI DI CREDITO AGRARIO.
In relazione alla discussa ristrutturazione dei Monti, in previsione di una epocale ristrutturazione delle norme sul credito (a cui in effetti seguì la chiusura, sancita con la Legge sulle Opere Pie del 1862), scrive G. Toniolo ne “La storia del Banco di Sardegna”:
“..Il nuovo ordinamento sopprimeva la struttura piramidale congiunta di laici ed ecclesiastici (Amministrazione locale-Giunta diocesana-Censorato generale) e la sostituiva unicamente con Commissioni locali, presiedute da Sindaco e nominate dal Prefetto, , in base a una lista, comprendente il triplo dei nominativi, formata dal Consiglio comunale….”.
Il contributo portato dalle modifiche non apportò miglioramenti sostanziali. L’ammontare della produzione cerealicola dell’Isola, che già alla fine del Settecento era attestata in circa un milione di quintali, fu di fatto superata solo negli anni Settanta del nuovo secolo, principalmente grazie all’uso dei concimi chimici, come sostiene lo stesso Toniolo che, nel libro citato, cosi continua:
“.. Il processo di annullamento della funzione economica svolta dai Monti venne accelerato nel corso della seconda metà del XIX secolo dalla sovrapposizione di fenomeni diversi: la volontà politica di favorire una riallocazione del patrimonio immobiliare su cui i Comuni esercitavano diritto di usi civici (ci si riferisce ai progetti di abolizione degli ademprivii discussi nel 1857-59 e nel 1863-65), l’affermarsi, nel corso dei primi anni Settanta, di nuovi intermediari creditizi, che esercitavano credito agrario e fondiario, il riordino giuridico degli istituti di assistenza, cui i Monti vennero spesso assimilati, sebbene in modo non giuridicamente fondato...”.
La chiusura ufficiale dei Monti fu stabilita con la Legge sulle Opere Pie del 1862. Questa norma, che riordinava il comparto degli Istituti di assistenza, autorizzava le amministrazioni comunali a dichiarare lo scioglimento dei Monti, destinandone i patrimoni ad opere di pubblica utilità. La mano pubblica calò, come una mannaia, sui Monti. La verifica, effettuata nel 1861 prima e nel 1875 poi, accertò che solo nella provincia di Sassari furono chiusi 78 Monti nel 1861 e 84 nel 1875. Nel sud dell’Isola, invece, complice la convinzione che essi potessero svolgere ancora una funzione di migliore tutela della popolazione rurale, tardarono ad estinguersi. Nel 1897 erano attivi in provincia di Cagliari 167 Monti contro uno solo in provincia di Sassari. La capacità dei Monti di assicurare un intervento di credito in natura, stante i nuovi tempi, si era ormai esaurita.
Gli ultimi anni del secolo furono caratterizzati, in Sardegna, dalla radicale trasformazione del sistema economico fino ad allora ancora allo stato primordiale e basato sull’uso collettivo della terra. La società isolana abbandonava una delle sue più antiche consuetudini, il possesso comune del territorio, per uniformarsi ai nuovi canoni giuridici e produttivi propri della società civile contemporanea, fondata sulla tutela e valorizzazione della proprietà individuale.
Nell’isola questo processo di trasformazione (già avviato nella penisola fin dal 1819) fu avviato lentamente e conobbe una certa accelerazione solo dopo l’unificazione. La rottura dei vecchi meccanismi del passato non fu ne facile ne indolore. Il risultato fu l’alienazione dei beni ademprivili, la costruzione delle reti di comunicazione e le fondamentali opere di bonifica. Questi importanti miglioramenti necessitavano, però, di strumenti finanziari e creditizi diversi dai Monti, stante anche il miglioramento degli scambi commerciali non solo con la penisola ma anche con l’estero.
Il ventennio che va dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta risultò caratterizzato dalla crescita della produzione agraria e del miglioramento delle esportazioni di bestiame bovino e di alimenti e manufatti pre-industriali (farina, berretti di lana, pellame), principalmente verso i mercati francesi. Nel successivo quindicennio , dalla metà degli anni Ottanta alla fine del secolo, si ebbe, invece, un crollo delle tradizionali attività produttive e un aumento, invece, della pastorizia: la consistenza del bestiame ovino passò da 800 mila a 2 milioni di capi.
Per venire incontro alle nuove necessità creditizie e grazie alla legge nazionale che autorizzava la formazione di società ed istituti di credito agrario (in Sardegna la legge era diventata operativa solo nel 1869), la Cassa di Risparmio di Cagliari costituì l’apposita sezione di credito agrario. Era solo il primo passo. La febbre del cambiamento fece nascere, anche nell’Isola, una miriade di istituti bancari, che troppo numerosi per le esigenze della fragile economia del territorio ebbero vita breve.
Nacquero il Banco di Cagliari, il Banco di Sassari, la Banca Agricola Sarda, la Banca Agricola Industriale Arborense, il Credito Agricolo Industriale Sardo, la Banca Agricola di Gallura. In pochi anni (il massimo sviluppo fu nel 1883), la gran parte delle nuove strutture creditizie, fragili e poco capaci, vennero travolte da una crisi bancaria che iniziò nel 1887.
E’ utile segnalare che il credito all’agricoltura non fu, in Sardegna, appannaggio solo delle banche sarde ma anche di diversi Istituti a caratura nazionale. Tra i più attivi la Cassa di Risparmio del Banco di Napoli (autorizzata all’esercizio del credito agrario dalla legge n. 334 del 7.7.1901). Questo istituto esercitò il credito agrario in Sardegna tramite le Casse Rurali. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni venti del Novecento l’Isola acquisì un sistema sufficientemente organico e stabile di istituzioni mirate a concedere credito all’agricoltura. Vennero istituite, in primo luogo, le due Casse Ademprivili di Cagliari e Sassari, attraverso la trasformazione delle due sezioni della Cassa Ademprivile della Sardegna. Questa Cassa non era nata come struttura creditizia. Il suo compito istituzionale era quello di gestire ed amministrare i terreni di origine feudale degli “Ademprivi”, ovvero di proprietà pubblica. Compito originario della Cassa era quello dell’appoderamento delle terre e della successiva concessione in enfiteusi. I terreni non adatti alla coltivazione venivano rimboschiti tramite l’amministrazione forestale. La trasformazione in Enti finanziari diede nuova veste e soprattutto nuove funzioni alla vecchia struttura. Il nuovo compito creditizio si esplicò attraverso intermediari ben noti: i Monti di Soccorso. Era questa la riscoperta di una struttura consolidata che riprendeva vigore attraverso la nuova linfa dei finanziamenti accordati alle Casse Ademprivili di Cagliari e Sassari. Il 1924 fu il momento più importante del nuovo corso. Fu questo, infatti, l’anno che vide la trasformazione dei Monti di Soccorso in Casse Comunali di Credito Agrario. Le strutture, cosi rinnovate, avranno vita lunga: resteranno vitali ed operative fino agli anni Novanta del secolo appena trascorso, fuse per incorporazione nel Banco di Sardegna.
Il passaggio, però, dalle Casse Comunali ad una vera e propria Banca sarda (il Banco di Sardegna, appunto) sarà ancora lungo. Nella prossima puntata (la quarta), esamineremo la struttura che governerà le numerose Casse Comunali di Credito Agrario: l’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna, istituito con apposita Legge Nazionale, nel 1927.
Grazie, cari amici, della Vostra attenzione! A presto!
Mario
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