Oristano 16 giugno 2021
Cari amici,
Per la donna, molti
secoli fa, l’attesa di un bambino era un momento particolarmente critico,
considerato che cure mediche e ospedali non erano certo quelli di oggi e i
bambini nascevano in casa con l’aiuto della “levatrice”. Nella nostra antica Sardegna,
per certi aspetti particolarmente scaramantica, si diceva che " Sa parturenti
tenidi coranta dis sa fossa oberta"
(La partoriente ha per quaranta giorni la fossa aperta), a significare
il reale pericolo di morte, durante o dopo il parto. Le partorienti, perciò,
erano invitate a confessarsi in prossimità del parto, tenendo presente il
pericolo che esse andavano a correre.
Nel libro "Cultura popolare in Sardegna tra '500 e '600", di Salvatore Loi, leggiamo che la Chiesa vigilava in maniera costante sull'attività delle levatrici che, in caso di pericolo, dovevano somministrare
il battesimo ai neonati. Prima di iniziare la loro attività dovevano
sostenere un esame per essere in grado di battezzare e dovevano giurare di
"tener segreta qualunque cosa di cui fossero venute a conoscenza, sotto
pena di essere private dell'ufficio e pure di scomunica maggiore". Queste donne esperte,
che aiutavano a dare la vita ai neonati, nel Medioevo erano spesso sospettate di
portare anche la morte. Nel periodo in cui imperava l'Inquisizione numerose levatrici furono
processate come streghe-fattucchiere, sospettate di essere legate
al demonio. Nell'autodafé del 1583 (L'autodafé, o auto da fé o sermo generalis, era una cerimonia pubblica, facente parte soprattutto della tradizione dell'Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita, coram populo, la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione.), furono processate tre levatrici e tutte confessarono di aver ucciso molti
bambini con l'aiuto del diavolo.(pag.241).
Il Ghirlandaio, nascita di Giov.Battista |
Fino agli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso si partoriva sempre in
casa, e l’idea di andare in ospedale non era minimamente presa in
considerazione, salvo rarissimi casi. il parto, come detto, era gestito dalla
levatrice, figura che noi oggi chiamiamo ostetrica. Solo quando si presentavano
particolari difficoltà si ricorreva al medico. A questo proposito si racconta che
un medico (siamo negli anni Cinquanta del secolo scorso) chiamato al capezzale
di una partoriente in quanto il bambino tardava a nascere, trovò intorno al
letto un gruppo di donne che recitavano preghiere e formule magiche, agitando
anche un paio di forbici sul ventre della donna. Le forbici servivano per
alleviare i dolori del parto. Se il parto si prolungava più del previsto si
ricorreva alla Medicina dell'Occhio.
In alcune zone della Sardegna vi era l’usanza, durante il parto, di far
stendere sul letto il marito della donna, che doveva simulare i dolori del
parto, urlando come in preda a laceranti dolori; questo comportamento
scaramantico serviva a distrarre il diavolo, perché si riteneva che il demonio,
attraverso la placenta, poteva impossessarsi dell'anima del nascituro. Contente
di aver sconfitto il diavolo, le mamme facevano poi seccare la placenta e la
chiudevano in una “Punga” che accompagnava per anni il bambino. La punga era un
sacchetto di forma romboidale, talvolta anche ricamato. Poteva contenere
svariati oggetti o cartigli con formule magiche e veniva usato come scapolare.
Si portava sempre addosso appeso al collo con un laccio o fermato da una spilla
sulla maglietta. Era simile al breve.
Altro rito importante, legato alla nascita, è quello inerente il “Cordone
ombelicale”. Il cordone ombelicale, in sardo “s’imbìligu", rappresenta
nella cultura popolare sarda il legame esistenziale tra figlio e madre, pregno
di significati magici. Per evitare che “s’imbìligu" potesse diventare, in
mani estranee, uno strumento utilizzato contro la serena unione tra madre e
figlio, esso veniva distrutto (spesso insieme alla placenta), sotterrandolo o
bruciandolo al fuoco del camino. In alcune zone, quella parte del cordone che
seccandosi poi si stacca dall'ombelico del neonato, veniva conservata
mummificata come reliquia, in quanto avrebbe svolto la funzione magica di
perpetuare l'originario profondo legame tra madre e figlio, anche quando questo
era ormai diventato adulto.
Terminate felicemente le incombenze del parto, la puerpera era tenuta a
stare a lungo a casa (in quanto le era vietato uscire prima dei quaranta giorni)
dopo il parto. Alla prima uscita era d’obbligo recarsi in chiesa per
purificarsi, confessandosi e comunicandosi; andando in chiesa la donna doveva
camminare a testa bassa e non poteva salutare o parlare con nessuno. Altra
norma da rispettare era questa: durante le visite o gli incontri con amici e parenti non si poteva baciare il bambino prima del
compimento del primo anno di vita, e non si potevano donare dei fiori.
Successivamente, quando la mamma usciva col bambino, chi lo ammirava doveva toccarlo o sputargli
sopra (si sputacchiava), perché non fosse vittima del malocchio. La saliva era
considerata efficace per la guarigione di certe malattie o ferite. Tale usanza
è originaria delle genti delle colonie greche ed orientali. Nella Grecia antica
quando si accarezzava un bambino bisognava sputare subito leggermente su di lui
per tre volte. Questa curiosa usanza è viva ancora oggi in alcune
parti della Sardegna, e risulta in auge pure in Grecia.
Che dire, amici, la Sardegna è una terra con una cultura millenaria, e
quello che ho riportato oggi a Voi è solo un minuscolo frammento di un puzzle scaramantico
straordinario di dimensioni grandissime. Vi racconterò in seguito altri dettagli,
anche se chi mi legge sa che molte altre cose le ho già scritte (come gli oggetti scaramantici che si usano da noi in Sardegna per proteggere il bambino dagli influssi malefici)!
A domani.
Mario
Antica stampa del parto |
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