Oristano 2 marzo 2020
Cari amici,
In Italia l'imposta che
grava sulle successioni, che colpisce il trasferimento della proprietà e di
altri diritti su beni mobili e immobili a seguito della morte del titolare, se
confrontata con altre realtà europee a noi vicine, non risulta essere poi così
alta. Quest’imposta ha fatto litigare non poco gli schieramenti politici al
potere degli ultimi decenni, se pensiamo che, introdotta nei primi anni Novanta
del secolo scorso, fu poi abolita da Berlusconi e successivamente reintrodotta
da Prodi; quest’imposta torna ogni tanti in auge, con l’intento di modificarla (ovviamente
in aumento), data la crescente necessità di finanziare investimenti e misure
sociali/fiscali.
Edoardo Frattola e
Giampiero Galli, dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani (il gruppo di
ricerca dell'Università Cattolica guidato da Carlo Cottarelli), di recente,
facendo un confronto con altri Paesi europei a noi vicini, hanno rilevato che
nel nostro bel Paese questa tassa fa incassare una cifra abbastanza modesta: 820
milioni di euro nel 2018, importo considerato "significativamente
inferiore agli altri Paesi europei".
Nel nostro Paese la
struttura dell'imposta e quanto da essa ricavato, sempre secondo i ricercatori
di Cottarelli, appare, come cifra, abbastanza "modesta" se
confrontata con i Paesi a noi vicini, come Francia, Germania e Spagna dove gli
incassi risultano ben più consistenti. In Italia l'imposta attuale colpisce
tutte le eredità e donazioni tra i vivi, distinguendo sia il grado di parentela
di chi eredita col “De cuius” che l'entità dei beni che passano di mano. La
successione tra coniugi o parenti in linea retta (figli, nipoti o genitori) per
esempio sconta l'aliquota del 4 per cento, considerando esente l’asse
ereditario fino ad 1 milione di euro.
Se invece la successione
è a favore di fratelli o sorelle, l'aliquota sale al 6 per cento e la
franchigia scende a 100 mila euro; poi, diminuendo il grado di parentela, il
costo della successione diventa più 'pesante', in quanto l’aliquota sale all’8
per cento senza franchigie; da notare che ci sono anche alcune tipologie di
beni (come i titoli di Stato o le polizze vita) che risultano esenti da imposte
di successione.
Con questo meccanismo, come
detto, l'Italia nel 2018 ha incassato 820 milioni di euro, cifra pari allo 0,05
per cento del nostro PIL. Cifra, dunque modesta, ben lontana da quanto
incassato negli altri principali Paesi europei. In Francia, per esempio, nel
2018 il gettito dell'imposta sulle successioni e donazioni è stato pari a 14,3
miliardi di euro, cioè lo 0,61 per cento del PIL: in altre parole, quasi
tredici volte il gettito italiano. Se facciamo i conti alla vicina Germania quest’imposta
è pari allo 0,20-0,25 per cento del PIL (6,8 miliardi), mentre nel Regno Unito l’introito,
sempre riferito al 2018, è risultato di 5,9 miliardi e in Spagna di 2,7
miliardi.
Una differenza notevole,
se pensiamo che tutti i Paesi prima indicati riescono a incassare quasi cinque
volte l'Italia. La maggiore consistenza di questi incassi, se confrontati con
quelli del nostro Paese, trova giustificazione nelle aliquote più alte (punte
superiori al 50 per cento in Francia) e nelle franchigie più basse. Un
raffronto, fatto dai ricercatori su un ipotetico caso fuori dai confini
nazionali, evidenzia l’abissale differenza.
“Se consideriamo un'eredità del valore netto di 1 milione di euro lasciata da un genitore al proprio figlio: in Italia la franchigia di 1 milione è sufficiente a evitare completamente l'imposizione, mentre negli altri Paesi non è così. In Spagna l'imposta ammonterebbe a circa 335mila euro, in Francia a 270mila, nel Regno Unito a 245mila e in Germania a 115mila". Differenze ben più pesanti delle nostre tasse di successione!
“Se consideriamo un'eredità del valore netto di 1 milione di euro lasciata da un genitore al proprio figlio: in Italia la franchigia di 1 milione è sufficiente a evitare completamente l'imposizione, mentre negli altri Paesi non è così. In Spagna l'imposta ammonterebbe a circa 335mila euro, in Francia a 270mila, nel Regno Unito a 245mila e in Germania a 115mila". Differenze ben più pesanti delle nostre tasse di successione!
Cari amici, secondo l'Osservatorio
sui Conti pubblici, considerate anche le ristrettezze finanziarie in cui il
nostro Paese si trova, sarebbe necessario iniziare ad “avvicinarsi” alle
tassazioni vigenti negli altri Paesi. Le ipotesi possibili, però, sono
divergenti, in quanto due visioni, una il contrario dell’altra, si scontrano.
Da un lato c’è chi sostiene che un serio giro di vite porterebbe con sé un
disincentivo ad accumulare ricchezza e anzi rischierebbe di esser letto come un
invito implicito a spostare i capitali in altri Paesi, dalla mano fiscale più
leggera; dall'altro c’è chi sostiene che l’aumento aumenterebbe la capacità
ri-distributiva dell'imposta, che, con i maggiori introiti, soddisferebbe più
facilmente i bisogni dello Stato nei confronti dei ceti più deboli, riuscendo magari
a diminuire le imposte sui redditi più bassi.
Indubbiamente rimettere
mano a questa imposta non sarà semplice, considerata anche la litigiosità delle
varie anime dei nostri governanti. Eppure il confronto con i Paesi europei a
noi più simili per caratteristiche socio-economiche, suggerisce che aumentare
il gettito derivante da questo tipo di imposta è possibile. Una proposta
ragionevole potrebbe essere quella di mantenere franchigie sufficientemente
elevate, in modo tale da evitare che la tassazione ricada prevalentemente sulle
proprietà immobiliari del ceto medio, ma al tempo stesso aumentare le aliquote
(e la loro progressività) sui trasferimenti dei patrimoni più grandi.
A domani.
Mario
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