Cari amici,
Si è appena spento l’eco
del Festival di Sanremo. Chi aveva dei dubbi sulle capacità di Amadeus di
condurre in modo autonomo e non eterodiretto il 70° Festival della canzone di
Sanremo, si è certamente dovuto ricredere. Eppure le avvisaglie c’erano tutte,
culminate con il tentato (ma non riuscito) ostracismo nei confronti di Rula
Jebreal, la giornalista palestinese che il conduttore intendeva portare al
Festival. Amadeus, però non si è
lasciato intimidire, e quest’anno quel “solito” Festival nazional popolare della
canzone italiana, grazie a lui, si è alquanto differenziato dal passato, portando
sul palco non solo “canzonette” ma anche problematiche serie che il pubblico ha
dimostrato di apprezzare.
Questa mia riflessione di
oggi, però, non intende parlare dell’argomento principale del festival, ovvero
le canzoni, i vincitori ed i vinti, ma semplicemente prendere atto che qualcosa
di importante è cambiato in questo antico e glorioso programma. A mio avviso
questa manifestazione canora ha fatto un importante passo avanti che, senza
nulla togliere alla competizione fra cantanti, è riuscita nell’intento di
mettere a fuoco, di fronte ad un immenso pubblico, anche serie problematiche inerenti
alla nostra vita sociale, come la violenza nei confronti delle donne.
Certo ci voleva un grande
coraggio per farlo: inserire in uno “spettacolo leggero” un problema serio come
quello della violenza non è certo facile, e a molti è sembrato quasi un violare
le regole, ma Amadeus ha avuto il coraggio di farlo e credo che abbia vinto la
sfida. Ha difeso senza timore Rula, la giornalista palestinese che voleva
inviare il suo accorato messaggio al mondo in favore delle donne, evidenziando
in maniera forte il loro stato di sudditanza che non si riesce a cancellare;
donne spesso vittime di violenza, come sua madre e tante altre in ogni dove.
E il grande pubblico ha
premiato il nostro eccellente conduttore, come ha dimostrato lo share: il picco
della prima serata di Sanremo 2020 è arrivato a toccare, durante il monologo di
Rula Jebreal, il 59 per cento di ascolti. Un festival certamente apprezzato,
considerato che anche la seconda serata, quella che ha visto la presenza del
grande Benigni, come ha reso noto l’Auditel, gli ascoltatori erano ben 9.692.000,
con uno share del 53,3 per cento, percentuale che si colloca al primo posto
della storia delle seconde serate del Festival, dal 1995. Questo sta a
significare che l’innovazione portata da Amadeus, nonostante i veti inziali, è
stata vincente.
Nella mia personale
visione, una delle novità più dirompenti di questo Festival è stata proprio
l’esibizione della Jebreal, che non si è certo limitata a svolgere il suo ruolo
di co-conduttrice, svolto tra l’altro con garbo ed eleganza; Lei ha voluto, verso
la mezzanotte, approfittare della sua presenza sul palco per parlare a viso
aperto a quell’immenso pubblico che la ascoltava delle problematiche che
continuano ad affliggere le donne, ancora maltrattate e vilipese seppure
viviamo nel terzo millennio! Lo ha fatto raccontando sé stessa e la sua
sofferenza, senza timore e senza vergogna!
È partita dalla brutale
realtà vissuta, quella che vede ogni giorno tante donne vittime di violenza
sessuale, poco protette anche dalle Istituzioni. Nelle aule giudiziarie, ha
detto Rula nel suo monologo, volano spesso parole come queste, rivolte ad una
donna vittima di stupro: «Che biancheria aveva quella sera?» e «trova
sexy un uomo coi jeans?», o commenti come questo: «Se le donne non
vogliono essere stuprate devono smettere di essere poco di buono». Poi Rula
ha proseguito con enfasi: «Noi donne non siamo considerate mai innocenti: o
perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, o perché siamo troppo
belle o troppo brutte, o disinibite e ce la siamo voluta».
Rula nel suo monologo ha
parlato sì in preda a grande emozione, ma le sue parole erano dure, taglienti
come un coltello. Con la voce spesso incrinata dallo stato emotivo, ha raccontato
di sé e della sua triste infanzia di bambina cresciuta in un orfanotrofio per
la morte della mamma; «Sono cresciuta in un orfanotrofio con altra bambine;
tutte le sere raccontavamo una storia ed erano favole tristi; storie delle
nostre madri spesso stuprate, torturate, uccise». Rula, che durante il suo
monologo è riuscita a creare un silenzio profondo in sala, ha poi elencato i
numeri agghiaccianti dei femminicidi in Italia: «negli ultimi 3 anni 3
milioni di donne hanno subito violenza. Sei donne sono state uccise solo la
scorsa settimana e nell’80 per cento dei casi il carnefice abitava in casa».
Ma la sua dura filippica
contro il maschilismo sempre imperante non era ancora arrivata al termine. Il
momento più duro è stato quando ha ricordato il suicidio di sua madre Nadia, e Lei
non è riuscita a trattenere le lacrime. Successe quando lei aveva 5 anni. «Si
è data fuoco – ha detto - ma il suo dolore cominciò da adolescente,
voleva liberarsi del suo corpo perché mia madre fu stuprata due volte: a 13
anni da un uomo e poi da un sistema che non le ha consentito di denunciare. L’
uomo che l’ha violentata, per anni aveva le chiavi di casa». Nel suo lungo
“atto d’accusa” ha citato poi altre donne che avevano fatto la stessa fine,
dimostrando che il maschilismo, purtroppo, è sempre presente.
Poi, tornando sul tema
del festival ha detto: «Le canzoni che ho citato stasera sono scritte da
uomini. Allora è possibile cantare l’amore e la cura. Questo è il momento che
quelle parole diventino realtà, che non restino solo musica, ma che vengano
vissute ogni giorno». Poi con voce ancora più forte: «Dobbiamo urlare da
ogni palco, anche quando non è opportuno. Io sono diventata quella che sono
grazie a mia madre e a mia figlia che è qui (mentre le telecamere inquadrano
la giovane figlia che piange)».
Rula chiude infine il suo
monologo (che io considero una sorta di manifesto in difesa dei diritti delle
donne), con un forte invito al mondo maschile: «Parlo agli uomini, Vi
chiedo: lasciateci essere quelle che siamo, madri, casalinghe in carriera; siate
nostri complici, indignatevi insieme a noi». Poi, usando anche le parole di
una canzone di Ivano Fossati: «Sì stasera ho messo il miglior vestito.
Domani chiedetevi pure com’era vestita la Jebreal, ma che non si chieda mai più
a una donna com’era vestita quella notte che è stata stuprata. Mia madre ha
avuto paura di quella domanda. E così tante donne. Noi non vogliamo essere
vittime, accessori, quote. Tutto questo io lo devo a mia madre, lo devo a me
stessa e alle nostre figlie. Nessuno può toglierci il diritto di addormentarci
con una favola. Noi donne vogliamo essere musica».
Cari amici, per me le
sue parole sono state “davvero musica”, ovviamente per chi le sa ascoltare!
In un Festival importante come quello di Sanremo, stracciando i divieti
iniziali, queste parole sono risuonate forti e chiare, a dimostrare,
finalmente, che “Sanremo non è solo canzonette”!
Grazie Rula del Tuo forte
invito rivolto a noi uomini di essere ‘uomini veri’, non “uomini-lupo”,
esseri predatori; credo che il Festival di Sanremo di quest’anno sarà in futuro
ricordato anche per la Tua straordinaria presenza!
A domani.
Mario
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