Oristano
17 Luglio 2018
Cari amici,
Che l’argomento spopolamento in Sardegna sia particolarmente scottante non è certo una novità. Lentamente ma inesorabilmente uno dopo l’altro nei piccoli centri dell’interno sono scomparse prima le botteghe, poi il barbiere, il sarto, il verduraio, per arrivare poi alla chiusura della banca, dell’ufficio postale e, strano ma vero, anche del prete in chiesa. Con questi presupposti è ovvio che alla fine vada via anche il medico! Il recente caso di Ussassai, ora senza medico condotto, come riportato dai quotidiani dell’Isola, lo dimostra fuori da ogni dubbio.
Il problema è sul
tappeto da tempo. Anche io su questo blog ho avuto modo di riportarlo più
volte; chi desidera può andare a leggere quanto scrissi nel Gennaio del 2014: http://amicomario.blogspot.com/2014/01/la-sardegna-e-il-suo-futuro-unisola.html.
Il problema, amici, non è solo serio ma assolutamente drammatico. È possibile
oggi immaginare una Comunità che possa vivere senza i servizi essenziali?
Ovviamente no! Ma se accettiamo questo presupposto, segue un’altra domanda
altrettanto importante: cosa fa lo Stato, e a cascata i suoi organi dipendenti
(Regione, Province e Comuni) per bloccare uno spopolamento che dissangua giorno
dopo giorno un considerevole numero di piccoli centri, ubicati in particolare
nell’interno dell’Isola, portandoli presto all’estinzione? Ci rendiamo, poi,
conto dei terribili danni che queste estinzioni porteranno, tra diretti e
indiretti?
Il recente caso di
Ussassai senza medico, considerata la massiccia presenza di anziani, è solo una
goccia in un mare di guai. Una volta andata in pensione la dottoressa che garantiva
l’assistenza medica, un giovane sostituto ha occupato l’ambulatorio, ma per un
tempo brevissimo, abbandonandolo in fretta. Il bando successivo è andato
deserto, forse perché un paese poco popolato non fa gola a nessun medico. Per
ora i medici dei paesi vicini si sono detti disponibili ad intervenire alla
bisogna, ma certamente questo tipo di servizio non basta.
Cari amici, quando si
innesca una spirale di “abbandono generale”, quando la “mano pubblica” non
interviene per mitigare gli effetti della brutale economia del guadagno, a
soccombere è sempre la parte più fragile della popolazione. I negozi di paese
prima citati sono scomparsi per gli effetti della globalizzazione, le piccole
banche locali e gli uffici postali sempre per la necessaria quadratura
economica dei conti, a cui si aggiunge anche la mancanza di vocazioni
religiose, che hanno fatto sì che un prete segua 2 o anche 3 parrocchie. Tutto
questo non fa che aggravare il problema, costringendo, anche chi in teoria
sarebbe disposto a restare, a gettare la spugna.
È da anni che su quest’argomento
si fanno convegni, tavole rotonde, dibattiti che per ora non hanno portato a
fatti concreti. Riempirsi la bocca di ipotesi sulle strade da percorrere, non
porta acqua al mulino delle soluzioni reali, concrete, da applicare. I Comuni
ed i loro Sindaci, per quanto volenterosi e a volte temerari, sono lasciati
soli a cercare di risolvere problemi pesanti come macigni e che mai, da soli,
saranno capaci di risolvere. Anche la nostra Regione, senza un consistente
aiuto da parte dello Stato centrale, non può certo mettere sul tappeto ricette
risolutive.
Eppure io sono convinto
che le soluzioni esistono. La Sardegna ha un patrimonio potenziale enorme: un paesaggistico
incontaminato, una storia antichissima che parte dal Nuragico, una tradizione
culturale che affonda le radici nel luminoso passato giudicale, una enogastronomia
degna della migliore cucina. Perché, allora non partire da tutto questo, a cui
possiamo aggiungere che abbiamo uno dei mari più belli e puliti del
Mediterraneo?
Se valorizzassimo tutto
questo, se utilizzassimo le attuali zone interne in via di spopolamento come
nuove zone di benessere ecologico, dove far soggiornare in vacanza quelli “intossicati”
dalla vita nelle grandi città sia italiane che straniere, non sarebbe questa
una delle possibili soluzioni? E questa è solo una delle possibili vie. Si, perché
raccordando l’interno con le coste, creando “percorsi salute” in collina e in
montagna, a piedi, a cavallo o in bicicletta (non solo ippovie ma anche
ciclovie), potremmo sicuramente creare nuovi strumenti per dare lavoro ai
giovani e ripopolare le zone interne.
Pensate che la mia sia
solo utopia? Io credo di no, perché questi, se volessimo, non sono sogni ma
realtà possibili.
A domani.
Mario
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