Oristano
30 Marzo 2017
Cari amici,
Zygmunt
Bauman, filosofo e sociologo del lavoro, nel suo libro “Vita liquida” analizzando il
comportamento umano moderno sostiene che esso si è alquanto modificato, rispetto
al rigido e predeterminato sistema precedente che ha contraddistinto gran parte
della storia umana fino al secolo scorso. I rapporti umani si sono secondo il
filosofo liquefatti, non nel senso
che siano improvvisamente “spariti”, anzi: hanno invece subito una sorta di
dilatazione e allentamento che paiono, in un primo momento, in opposizione alla
concreta frenesia della vita liquida.
Per Bauman, gran parte
dell’incertezza da cui si sente attanagliato l’uomo postmoderno deriva dalla
sua trasformazione, in negativo, nei confronti della socialità. Insomma, sostiene il filosofo, l'uomo ha rarefatto la sua 'comunicazione sociale' richiudendosi in se stesso e creando dei frame sempre più spessi tra se stesso e gli altri. Questo concetto
è valido anche in campo affettivo: la liquefazione e la rarefazione dello scambio dei
sentimenti amicali toccano tanto la forma quanto i contenuti delle relazioni, che diventano
sempre più aride e discontinue. L’essere umano, in sintesi, è sempre più stordito
e disorientato, e la sua realizzazione sociale sempre più precaria. Concetti
apparentemente complessi quelli espressi, anche di difficile interpretazione, che però ci dicono che in
effetti l’uomo nel tempo è riuscito a trasformare i rapporti umani in modo
sicuramente molto negativo.
Ho voluto usare il pensiero
filosofico di Bauman per introdurre la mia riflessione di oggi che intende analizzare
con Voi la crescente aridità dei rapporti umani, evidenziati in
particolare durante le lunghe ore di lavoro. Nei diversi contesti la gran parte di noi vive la
quotidianità lavorativa quasi sempre in 'isolamento empatico' rispetto al contesto che lo circonda; tra i vari occupanti le scrivanie o le postazioni di lavoro, tra
una pratica o una fatturazione, tra il montaggio di un manufatto e una riunione col Capo, quasi mai c'è del dialogo con gli altri lavoratori che operano al nostro fianco; spesso
ci dimentichiamo (sarebbe meglio dire ignoriamo) di coltivare delle buone
relazioni sociali. Spesso una telefonata fatta con un collega lontano, in una giornata densa di
impegni, si svolge in maniera così asetica da sembrara frutto di un'operazione computerizzata, anzichè essere motivo di scambio anche relazionale con il nostro interlocutore, risultando anche, di conseguenza, anche più fruttuosa e appagante.
Eppure, cari amici,
basterebbe poco per creare maggiore socialità nella conduzione della nostra routine lavorativa quotidiana. In
teoria nel nostro comportamento, privo di stimoli di socialità, ci comportiamo sempre di più come automi: si, certo, vogliamo bene alle tante persone di cui abbiamo stima e che
certamente questa è ricambiata, ma riserviamo loro solo gli spicchi del nostro tempo libero, perchè la gran parte del tempo la dedichiamo al nostro
impegno di lavoro.
Comportamento questo poco condivisibile, in quanto dovremmo impegnarci attivamente, invece, a relazionarci anche durante il ciclo lavorativo, tenendo in questo modo sempre viva la nostra rete sociale. Una conversazione più lunga del necessario, anche con un collega di lavoro e su argomenti non strettamente legati all’ufficio, non sottrae risorse preziose ai nostri obiettivi da raggiungere, ma è capace invece di allargare il nostro orizzonte sia umano che professionale, con indiscutibili vantaggi anche sul piano del lavoro.
Comportamento questo poco condivisibile, in quanto dovremmo impegnarci attivamente, invece, a relazionarci anche durante il ciclo lavorativo, tenendo in questo modo sempre viva la nostra rete sociale. Una conversazione più lunga del necessario, anche con un collega di lavoro e su argomenti non strettamente legati all’ufficio, non sottrae risorse preziose ai nostri obiettivi da raggiungere, ma è capace invece di allargare il nostro orizzonte sia umano che professionale, con indiscutibili vantaggi anche sul piano del lavoro.
Tornando al nostra
grande Bauman ed alla sua ‘società liquida’, il ragionamento fatto prima nei
confronti dei colleghi può essere validamente applicato anche in campo
affettivo familiare: quello di coppia. La
liquefazione e la rarefazione delle relazioni, sostiene il filosofo, toccano
tutte le forme ed i contenuti delle relazioni; quale può essere il senso di una
relazione stabile di coppia se questa non viene costantemente coltivata, dedicandogli
tempo e attenzione anche durante il lavoro? Come definire il senso del “per sempre”,
del “finché morte non ci separi”, se poi mancano i presupposti per coltivare con
continuità e costanza la relazione affettiva sottostante?
Come ho
detto in premessa la nostra giornata lavorativa può essere vissuta in due modi: utilizzando il lavoro come veicolo, come strumento, per essere presenti e
utili nella società, come mezzo per realizzarci ed essere utili a noi stessi ed
agli altri, oppure, al contrario, diventandone succubi, schiavi; nel secondo caso
non saremo altro che un semplice strumento produttivo, senza gioia ne anima: solo dei fuchi o delle semplici api operaie
dedite esclusivamente alla produzione, praticamente dei soggetti-robot, capaci ed esperti nel lavoro come in futuro i
meccanici robot di nuova concezione.
Cari amici, nella mia visione del
mondo il lavoro è certamente uno strumento importante per condurre al meglio la propria esistenza, attraverso il quale esprimere le nostre capacità e apportare il giusto contributo di valore, ma allo stesso tempo deve essere un mezzo per la realizzazione dell’uomo, non un
fine a cui totalmente votarsi, corpo e anima, sacrificando la nostra parte
migliore: quella delle relazioni sociali e affettive. Un vecchio detto
asseriva che “il lavoro nobilita l’uomo”, ma i buontemponi aggiunsero subito
dopo, invece, che esso “lo rende schiavo come una bestia”. Da soma, ovviamente!
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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