Oristano
13 Novembre 2015
Cari amici,
Che le statistiche
siano quasi sempre impietose è un dato di fatto: esse sono capaci, senza sotterfugi,
di darci sempre la nuda e cruda realtà! La mia riflessione di oggi riguarda le
problematiche di quel “mondo giovanile” che costituisce la generazione successiva
alla nostra: quel deluso mondo di “senza
lavoro” che, brutalmente definito di bamboccioni,
sembra farci dimenticare, però, che noi, quelli della generazione precedente,
di colpe ne abbiamo fin troppe! Ma cerchiamo di fare insieme una lucida analisi
della situazione.
Secondo i dati Eurostat riferiti al 2014, apprendiamo che in Italia quasi il 66% dei ''giovani adulti'', ovvero le persone tra i 18 e i 34 anni, vive in casa con i genitori: una percentuale
di quasi 20 punti superiore alla media di tutti i 28 Paesi UE (48,4%), la più
alta dell'Unione, dopo la Croazia. Secondo questi dati il 49% dei giovani
italiani tra i 25 e i 34 anni vive
con la famiglia originaria, a fronte di appena il 3,7% dei coetanei svedesi, il
3% dei danesi e dell'11,2% di quelli francesi. Come numero sono circa 7
milioni i giovani under 35 che vivono in Italia in casa con i genitori.
Non mi sembra un dato di poco conto!
Perché, ci chiediamo in
tanti, in Italia è così difficile lasciare la famiglia d’origine per mettere su
casa soli o con un partner e crearne una nuova? Perché, nonostante spesso questi giovani siano in
possesso di un lavoro, essi continuano a rimanere attaccati al cordone
ombelicale dei genitori? Se l’impietosa statistica mette in luce il dato che in
Italia 6 giovani su 10 vivono con genitori, mentre nei Paesi Scandinavi questa
percentuale scende al 4%, allora sicuramente da noi c’è qualcosa di diverso, di particolare,
rispetto agli altri! Se la percentuale dei ''mammoni'', o bamboccioni come
spesso vengono definiti questi nostri giovani, è particolarmente elevata in
Italia, rispetto al resto dell'Europa, soprattutto nella fascia tra i 25 e i 34
anni, età nella quale si dovrebbe, finiti gli studi, cominciare a lavorare e
costruire la propria famiglia, dobbiamo cercare di individuare qualche ulteriore motivazione.
Nel nostro Paese a differenza
dei Paesi Scandinavi, risulta assente quel forte bisogno di lasciare presto la famiglia d’origine.
In Svezia, per esempio, la percentuale dei figli che continuano stare con i
genitori è bassissima: attestata come detto prima sotto il 4%, perché i
ragazzi attendono impazienti, non vedono l’ora di lasciare la famiglia, cosa che abitualmente fanno
intorno ai 19 anni. E’ a quell’età che essi desiderano prendere il volo, e, in
autonomia, farsi una propria vita. Troppo presto, diremmo noi con la nostra mentalità, abituati a ben
altre comodità nella casa parerna! Certo che c’è davvero un abisso tra il nostro modo di pensare e il loro!
Cari amici, il dato più
sconfortante, nell’analisi tra i dati italiani e quelli del resto d’Europa, è
che le differenze percentuali esistenti anziché diminuire addirittura
aumentano! Complice ovviamente anche la crisi economica, che dal 2010 al 2013
ha cancellato più di un milione di posti di lavoro, nella fascia di età 25-34
anni, le statistiche evidenziano il dato in crescita. Questo fatto, unitamente a quanto detto prima circa il piacere di
continuare a “restare in famiglia” il più a lungo possibile, non fa che
accentuale ancor più le differenze.
Come si legge nel
Rapporto Giovani 2013, realizzato dall'Istituto Toniolo, per i nostri giovani continuare a vivere
con i genitori anche dopo i 25 anni è considerato, a differenza di molti
altri Paesi dell’Europa nord-occidentale, del tutto normale; una chiara
dimostrazione che, oltre alle difficoltà economiche, vi sono anche motivi
culturali che favoriscono una lunga coabitazione tra genitori e figli. Pensate, vivere
con i genitori, anche dopo i 25 anni è considerato un fatto normale per il 61,95% dei nostri
giovani! Infatti, solo poco più del 10% considera lo stare a casa con i
genitori un peso economico o un problema relazionale, mentre il 27,38% lo considera addirittura un piacere. Potenza
del mammismo tutto italico!
Amici miei, a parte
tutto, la realtà è che, fermo restando il piacere di stare in casa accuditi e
riveriti, dentro i nostri giovani non manca, anzi cresce, il bisogno di realizzarsi, di dimostrare le proprie capacità, di
assumere un ruolo attivo nella Società. Questo li spinge a guardarsi intorno, cercarsi in qualche
modo un’occupazione, senza continuare a vivere alle spalle dei genitori o dei
nonni. Sono sempre più numerosi quelli che gridano questo bisogno di autonomia e che sono disposti ad accettare anche un lavoro al di sotto delle loro aspettative, così come
ad emigrare, lasciando la terra d’origine per raggiungere Paesi stranieri anche
molto lontani da casa.
Tornando alla realtà politico
economica odierna, se il Governo non troverà adeguate e sicure soluzioni per
trattenere i giovani in patria, i migliori cervelli andranno via, impoverendo
ulteriormente le capacità di crescita della nostra nazione. Da noi rimarranno quelle migliaia e migliaia
di immigrati che continuano ad arrivare, e che, ci piaccia o no, volenti o nolenti contribuiranno a creare anche da noi
quel “melting pot” multiculturale e multirazziale che visse l’America ai primi del secolo
scorso, ai tempi della prima industrializzazione.
Questo, se succedesse
davvero, richiederebbe però da parte di tutti noi un vero "cambio di mentalità", un'apertura concettuale che credo per ora non esista; significherebbe stravolgere tutti quei concetti "italici" che ho detto prima: un "cambio di passo" che per molti sarebbe concepito solo come un grande passo indietro…
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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