Cari amici,
ieri nel mio post “L’Italia
del gambero, che fa un passo avanti e due indietro”, ho voluto esprimere la mia
opinione su quanto sta avvenendo a proposito delle forti “restrizioni”, e/o accorpamenti, in corso o
ipotizzati, sulle attuali strutture decentrate (periferiche) dello Stato (Regioni, Province, Prefetture, Tribunali, Camere di Commercio, etc.),
con un ritorno al precedente centralismo di ottocentesca memoria. Poiché ieri avrei voluto
trattare in modo più approfondito il caso della ristrutturazione prevista delle Camere di Commercio (sulle
Regioni da accorpare ho già detto la mia e sulle Province, ormai ‘il dado è
tratto’), ma la lunghezza della trattazione non me lo ha consentito, oggi voglio focalizzare la Vostra attenzione proprio su questa antica
struttura, esistente da lungo tempo e oggi ritenuta dal Governo, invece, obsoleta e da riconvertire: una specie di
carrozzone superato. Vediamo insieme la storia di questo Ente.
Gli Organismi
associativi degli operatori delle arti e dei mestieri esistono da migliaia di anni. Anche
nell’antica Roma erano presenti dei sodalizi che raggruppavano gli
esponenti delle varie categorie artigiane, e si presume addirittura che i
romani li avessero mutuati dai popoli preesistenti, in pratica tramandati dagli
etruschi. Ai tempi di Numa Pompilio le associazioni corporative contavano e
rappresentavano almeno otto “mestieri nobili”: calderai, calzolai, conciatori,
falegnami, flautisti, orefici, tintori e vasai. I Collegia Artificum, come erano denominate queste associazioni,
possono essere considerate, dunque, le primordiali organizzazioni delle
categorie artigiane.
Con l’andare del tempo,
l’accresciuto volume degli scambi, con la creazione di mercati ben più vasti, condusse
alla formazione di Organismi corporativi ancora più definiti. Il notevole incremento
demografico e i grandi bisogni di una Roma ormai commercialmente avanzata, facilitò il rafforzamento
ed il potere delle esistenti Corporazioni che ottennero il pubblico riconoscimento
di “Collegia Pubblica”, assimilabile
potremmo dire alla funzione oggi svolta dalle CCIAA. L’importanza di queste
strutture si consolidò durante l’impero di Alessandro Severo, periodo nel quale
il numero delle Corporazioni riconosciute salì a 32; con apposito Editto fu
introdotto il principio che, per svolgere qualsiasi industria o professione, vigeva
l’obbligo dell’appartenenza ad una di esse.
Questa struttura di
rappresentanza e governo delle arti e dei mestieri venne ulteriormente
rafforzata nel Medioevo, che, con la creazione delle “Corporazioni”, stabiliva dettagliatamente
gli obblighi a cui gli appartenenti dovevano sottoporsi. Corporazioni forti e
con alto potere, che impedivano anche a chi non era iscritto di esercitarne
abusivamente la professione; nei rigidi “Statuti”
erano previste pene salate per i trasgressori, e addirittura il carcere nei
casi più gravi. Col passare del tempo questi Organismi, variamente strutturati
e diversamente definiti nelle diverse città e nei successivi periodi storici, si
trasformarono, in “Libere Associazioni”
per la tutela degli interessi commerciali, regolate sempre da dettagliati “Statuti”,
con funzioni giurisdizionali e politiche di controllo e di regolazione del
mercato.
Cari amici, se per curiosità dovessimo prendere in mano
la copia di uno di questi Statuti, ci renderemmo conto con quanta pignoleria
essi stabilivano, come un vero e proprio ‘codice interno’, le funzioni attribuite
alle Corporazioni, che venivano esercitate attraverso i Consoli. Essi
regolavano: la tutela della dignità della Corporazione, la protezione dei
mercanti da ogni offesa reale e personale, la cooperazione con i magistrati
civili per la sicurezza delle strade commerciali; regolavano, inoltre,
l’amministrazione del patrimonio della corporazione, la vigilanza sui prezzi e
sulle misure, la tutela dei marchi di fabbrica o di commercio e degli usi
mercantili; stabilivano infine anche le forme idonee a regolare le controversie
sorte tra mercanti e l’attribuzione e l’esecuzione delle pene da far scontare ai trasgressori.
Gli Statuti prevedevano anche per gli associati diverse forme di assistenza
creditizia, e altri obblighi di natura assistenziale fra gli associati, oltre
che regolare i rapporti tra gli artigiani e gli apprendisti.
Perché ho voluto
riportare la storia di queste antiche strutture che regolavano l’attività
commerciale? In primo luogo per ribadire l’enorme importanza che esse rivestivano
e ancora oggi rivestono! Per questi motivi, penso, che la riforma, se riforma ci deve
essere, debba essere ponderata, concordata e non imposta dall'alto! Autore della bella “pensata”
di sburocratizzare la struttura (senza valutare molte cose, ma solo in ossequio
all’applicazione di una “spending review” di dubbia efficacia), è stato proprio
il Presidente del Consiglio Matteo Renzi che, quando era ancora “Premier in pectore”,
tra i numerosi punti dell’agenda di
riforme sul lavoro aveva incluso anche l’eliminazione dell’obbligo, per le
aziende, di iscrizione alle Camere di Commercio. «Un piccolo risparmio per le
aziende» – spiegava Renzi – ma anche un «segnale contro ogni Corporazione». C’è
anche di più: Renzi andava oltre, ipotizzando di attribuire le funzioni
ora assegnate alle Camere a degli Enti territoriali pubblici. Mai ci fu una pensata
più azzardata di questa!
Dalle parole ovviamente
si è passati presto ai fatti: col decreto-legge del 24 giugno 2014, n. 90
coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114 sono state
stabilite le «misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.». (c.d. ddl Madia).
A questo punto il Countdown per la
riforma delle Camere di commercio è partito: si inizia dal taglio del numero degli Enti,
che passerebbero dalle attuali 105 sedi camerali a 60 (mediante l'accorpamento
di due o più camere di commercio, rispettando la soglia minima delle 75 mila
aziende iscritte nei registri), per passare poi a stabilire i “nuovi compiti” da assegnare
alle CCIAA a cominciare dal «supporto all'internazionalizzazione delle imprese
per la promozione del sistema italiano delle imprese all'estero, nei mercati
esteri e la tutela del Made in Italy». Belle parole ma molto vuote di
contenuto.
Cari amici, anche la Sardegna delle
attuali 4 Camere di Commercio potrebbe passare a due. A parte quella di
Cagliari, che ha i numeri per evitare la soppressione o l'accorpamento, quella di
Sassari potrebbe inglobare sia Nuoro che Oristano. Per le “zone interne”
questo sarebbe l’ennesimo scippo: Oristano, ad esempio, dopo aver perso negli anni
scorsi la Banca d’Italia, la Tesoreria Provinciale dello Stato, la Provincia,
ora ha in sospeso, ennesima spada di Damocle, l’abolizione della Prefettura,
della Questura, dei vari Comandi Provinciali delle FF.OO, del Tribunale e, ultima in ordine di tempo, la Camera di Commercio.
Torno alla mia
riflessone di ieri: pensa davvero lo Stato di risolvere in questo modo i
problemi che attanagliano il Paese? Pensa che continuando a tagliare in questo
modo i pochi servizi esistenti in periferia (risparmiando"tagli" e sprechi ben più importanti ma ubicati al “centro” e
non in periferia), portando alla fame chi abita nelle zone interne, facendo
stringere la cinghia a chi già non ce la fa più, di riuscire a far quadrare i
conti? Io penso di no.
Nessuno deve dimenticare che il
passato ci ha insegnato che tirare troppo la corda, spesso, ne causa la rottura:
con le conseguenze che, spesso, sono difficili da prevedere…
Ciao, amici, a domani.
Mario
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