Oristano 30 Novembre
2013
Cari amici,
la Sardegna è una terra
antica, ricca di consuetudini e tradizioni che si sono conservate durante i
secoli, nonostante l’influenza dei popoli che l’hanno colonizzata. L’isolamento
dovuto all’insularità, soprattutto della popolazione dell’interno, ha
determinato il fiorire di superstizioni e credenze popolari che accompagnano il
popolo sardo da secoli. Tra le tradizioni popolari più note quella che riguarda
la medicina è indubbiamente quella più particolare e curiosa. In tempi lontani
la cultura contadina aveva scoperto i rimedi per curare la gran parte delle malattie
attraverso un sapiente uso di erbe medicinali, che venivano somministrate, con
il “fai da te”, dalle donne anziane esperte; ma oltre i mali comuni, questa
saggia ed antica cultura, era in grado di “trattare” anche malattie più
complesse, quelle derivanti da suggestioni, da superstizioni e credenze
popolari (sempre in Sardegna largamente diffuse), che richiedevano interventi
particolari, “mirati”, come quelli per
la cura del Malocchio.
Dai racconti degli
anziani apprendiamo che il malocchio era un male così diffuso nell’Isola da
suscitare il massimo interesse da parte della cultura magico-popolare contadina
che, nel tempo, aveva metabolizzato tutto quell’immenso corpus di credenze,
tradizioni e antichi riti legati al Malocchio, approntando, per contrastarlo, dei
rimedi e delle pratiche di buona efficacia, anche se, spesso, molto differenti
tra loro. Il malocchio è ritenuto una delle credenze più radicate in quasi
tutte le culture del mondo: fonte della sua forza l’invidia, il desiderio della
cosa altrui, il successo degli altri. In Sardegna, specialmente nei tempi
antichi, la credenza nel malocchio era così forte e radicata da influenzare sia
il quotidiano, che gli eventi più importanti della vita stessa di ognuno.
La pratica di “colpire”
persone e cose con l’occhio consisteva nel provocare un danno con lo sguardo, che
veicolava il pensiero malevolo della persona; nella sua forma più evoluta il
malocchio si estrinseca attraverso dei veri e propri rituali, durante i quali
si interagisce con la vittima usando oggetti personali oppure una delle sue
unghie, dei capelli o comunque qualcosa strettamente legata al bersaglio da
colpire. Secondo la tradizione il malocchio non può essere
fatto da un membro della propria famiglia: due persone che hanno lo stesso
sangue non ne posseggono la capacità e solitamente sono costrette a ricorrere
ad un esterno, quest’ultimo può anche essere un cognato oppure una nuora.
Stranamente sembra che le vittime più facili da colpire siano le donne mentre i
portatori di malocchio più temuti sono gli uomini di cultura e i preti. Così
come è facile riconoscere colui o colei che si trova sotto l’influsso del
Malocchio, allo stesso modo è facile riconoscere chi è un operatore:
tradizionalmente gli strabici, oppure quelli con un solo occhio oppure che soffrono
di cataratta o sguardo fisso; questi, in modo particolare, vengono
potenzialmente etichettati come “Occhiatori”, cioè coloro che sono in grado di
lanciare il Malocchio.
La cultura contadina
aveva messo in atto dei sistemi di contrasto preventivo contro questo male, costituiti
sia da gesti che da oggetti: sono gesti particolari ed amuleti apotropaici, da
contrapporre al portatore di malocchio e capaci di contrastarne l’influsso
malefico. Toccare ferro, corno o secondo una vecchia usanza, poiché spesso
colpiva la sfera sessuale, toccarsi i genitali, metteva al riparo dal
malocchio, come bestemmiare al passaggio dello iettatore, tirar fuori
velocemente la punta della lingua per tre volte, oppure fare le fiche (sas
ficas – pollici delle mani tra l’indice ed il medio chiusi a pugno) di nascosto
(a fura) al suo indirizzo, usanza diffusa fra gli uomini e le donne, come pure
la consuetudine gestuale di sputare, documentata in Sardegna persino in un
manoscritto anonimo del settecento.
Oltre ai gesti hanno avuto diffusione tutta una serie di oggetti, che nel
tempo hanno acquisito valore socio-culturale, definiti “amuleti”, tutti
riconducibili al contrasto del malocchio, costituiti da materiali diversi, sia
poveri che ricchi (abbinati spesso a metalli preziosi), diventando così
amuleti/gioielli.
Come si riconosce un
soggetto colpito da malocchio? La persona colpita dal maleficio viene
identificata da una serie di eventi più o meno inspiegabili e insoliti: malessere
improvviso, come uno svenimento, forte mal di testa, febbre alta non
giustificata da cause patologiche, cattivo umore, sindrome depressiva, tutti sintomi
spesso accompagnati da ulteriori episodi negativi, quali l’abbandono improvviso
degli affetti, guasti ingiustificati ai suoi beni, oggetti che si rompono da
soli, piante che si seccano, animali che si ammalano. Ad
innescare il malocchio è spesso lo sguardo di ammirazione verso una persona o
una cosa: uno sguardo di ammirazione/invidia, una lode per un successo ottenuto,
lo sguardo pieno di desiderio rivolto verso qualcosa che piace ma non ci
appartiene; sono attimi durante i quali lo sguardo lanciato, volontariamente o
involontariamente, può causare il Malocchio.
Anche in questi casi esistono
semplici precauzioni per evitare che il malocchio possa essere “gettato”
involontariamente; se ad esempio ad una lode fatta per strada si premette
l’espressione “Chi Deus du mantengada”
(che Dio lo protegga), la lode si dimostrerà sincera, priva di malizia e quindi
non rivolta appositamente per mascherare il Malocchio. Se per caso ci si
dovesse dimenticare di recitare tale premessa, per evitare il malocchio, il
lodatore deve toccare l’oggetto del complimento, spesso un neonato, esclamando “po non ti ponni ogu!” (per non
metterti l’occhio). Oltre all’atto del toccare, anche lo sputo possiede una
buona valenza contro il Malocchio. Il momento durante il quale bisogna
stare molto attenti perché propizio per lanciare il Malocchio è la presentazione
del bambino appena nato. La madre, ancora a letto, teme gli iettatori, e, per
evitare l’occhio, fa toccare il bambino a tutti i visitatori, magari con la
scusa di tenerlo in braccio. Se poi ha motivo di credere che qualcuno abbia
posto l’occhio sul suo bimbo, non appena questo le volta le spalle sputa tre
volte verso di lui per annullare la sua azione. Per evitare l’azione malevola
dell’occhio, la cultura popolare ha previsto, come detto prima, tutta una serie
di azioni e studiato degli oggetti (definiti per la loro forza protettiva
“amuleti”), capaci – in via preventiva – di annullare l’azione negativa messa
in atto. Variegata la serie degli amuleti protettivi utilizzati, così come quella delle azioni messe
in atto per contrastarlo, una volta lanciato, in particolare, forse la più importante, è quella de “sa mejina de s’ogu”.
Fra gli amuleti più
utilizzati quelli a forma circolare, proprio per richiamare la forma
dell’occhio; essi vengono chiamati “Sabegias”
nel Campidano, Cocco in Gallura, Pinnadellu nel Logudoro e ad Orgosolo, Pinnadeddu nell’Oristanese, a Desulo e
nella Barbagia di Belvì, e sono costituiti da pietre rotonde incastonate in
argento (l’oro darebbe un influsso ridotto), per poter essere esibite ed utilizzate
come gioielli. Is Sabegias simboleggiano l’occhio buono, che assorbe il flusso negativo
del malocchio: essi non possono toccare la terra e nemmeno l’acqua pena la
perdita dei loro poteri; sono
generalmente costituiti da ossidiana, basalto o corallo, e, in ogni caso, devono essere di colore nero o rosso e
molto appariscenti. Secondo la tradizione popolare, infatti, più è ricco e
vistoso l’amuleto più aumenta la sua efficacia contro il Malocchio. Uno altro degli
amuleti più popolari e conosciuti contro il Malocchio è “l’Occhio di Santa Lucia”, ovvero l’opercolo di un mollusco marino,
caratterizzato dalla forma ad occhio, che si trova facilmente sulle spiagge
sarde.
A differenza dei Sabegias, gli occhi di Santa Lucia possono essere sia
indossati come gioielli che tenuti nascosti. Si tratta di una pratica molto
diffusa tanto da spingere alcune persone a farne addirittura collezione. Anche i
Nudus, dei particolari scapolari, sono
efficacemente usati contro il malocchio.
I Nudus sono costituiti
da piccoli sacchetti, degli “scapolari”, che al loro interno contengono diversi oggetti: una composizione di tre
grani di sale, tre semi di asfodelo, verbena o valeriana, oppure fiori di
lavanda e ruta; possono contenere anche pezzetti di palma e di ulivo benedetti,
unitamente a tre grani di carbone o di basalto. Questi particolari amuleti
vengono chiusi da nastri verdi: questi hanno il potere universalmente
riconosciuto di annullare l’occhio e di portare bene. Gli amuleti vengono
tramandati generalmente seguendo la linea femminile, oppure vengono regalati
dai nonni alla nascita del nipotino; una particolarità: non possono essere
venduti ma solo offerti, altrimenti perderebbero le loro facoltà protettive. In
Sardegna, patria del matriarcato, anche la pratica e l’insegnamento dei rituali
contro il malocchio sono riservati alle donne: con il lento passaggio delle
formule dalle più anziane alle più giovani, che vengono addestrate nelle
pratiche, e potranno così tramandare, alle generazioni future, i segreti per
togliere il Malocchio.
Gli amuleti, come detto
sono solo una parte del problema: essi sono una specie di “medicina preventiva”
per contrastare il verificarsi del malocchio: ma è necessario anche provvedere
ad annullarlo, il malocchio, quando questo risulta posto in essere. I rimedi a
scopo “curativo” sono costituiti da tutta una serie di rituali e preghiere
specifiche. La preghiera, l’invocazione ai Santi, è parte integrante di
entrambe le medicine, sia preventive che curative. Se i Nudus, mezzo curativo
di natura preventiva, sono anch’essi, impregnati di preghiere ed invocazioni, svolte
durante la preparazione, queste sono, invece, la parte centrale nella classica
preparazione de “sa mejina de s’ogu”
(la medicina dell’occhio), rimedio principe per combattere i danni causati
dagli strali malefici dell’occhio malvagio.
Ogni paese della
Sardegna aveva in passato almeno una donna che praticava il rito de “sa mejina
de s’ogu”; rito questo che veniva praticato più o meno segretamente in quanto
avversato dai preti (perché lo ritenevano un rito blasfemo), ma ciò non
impediva alla quasi totalità della popolazione, all’occorrenza, di farvi
ricorso. Come peri Nudus, le donne che praticavano questo rito non potevano
accettare dei soldi per il loro servizio, pena l’inefficacia dello stesso. In
entrambi i casi, sia quando si consegnava l’amuleto sia dopo
aver fatto “sa mejina de s’ogu”, essi venivano dati con la formula “ti
srebada po saludi” (ti serva per
salute), e il destinatario rispondeva “Deus ti du paghidi” (Dio ti ripaghi). Se
questo rituale non veniva rispettato l’efficacia dell’amuleto era nulla.
Il rito de “sa mejina
de s’ogu”, che aveva diverse varianti nelle diverse zone della Sardegna, aveva però
sempre – in comune - la presenza dell’acqua sulla quale, con ripetuti segni di
croce sopra il recipiente che la conteneva, veniva ripetuta per tre volte una
formula del tipo “Eo, abba, ti battizzo in nomine de Deus e Santu Juanne
Battista” (io, acqua, ti battezzo in nome di Dio e di S. Giovanni Battista).
Seguivano, da parte della celebrante il rito, la recita di formule segrete
dette “oraziones” o “pregadorias” (o anche "brebos"). Nel Campidano l’uso più frequente era quello
dell’utilizzo di un bicchiere d’acqua santa, oppure non benedetta ma con
sciolti dentro tre grani di sale per purificarla, sostituendo cosi quella
benedetta dal prete. Successivamente, dopo ogni segno di croce, venivano
gettati, uno ad uno, i tre chicchi di grano nel bicchiere, facendosi tre volte
il segno della croce; se i chicchi si
gonfiavano o presentavano delle bollicine (in alcuni casi contavano solo le
bollicine che si formavano sulle punte dei chicchi) era il segno che era presente
il malocchio sul malcapitato. In questo caso era necessario che il colpito
bevesse tutta l’acqua, o la buttasse alle spalle; il malocchio poteva essere
annullato anche immergendo nel bicchiere un occhio di Santa Lucia. Un’altra
versione prevedeva l’uso, anziché del bicchiere d’acqua, dell’olio, che veniva
versato lentamente, tracciando una croce, su un piatto o un recipiente pieno
d’acqua salata: tre gocce d’olio cadevano dall’indice destro dell’esecutrice e
dal comportamento delle gocce si comprendeva il grado di malocchio che aveva
colpito il malcapitato. Usi e costumi, analizzati anche da importanti studiosi
che visitarono l’Isola.
Il grande studioso della nostra isola, Max Leopoldo Wagner, nella sua opera "Il Malocchio e Credenze affini in Sardegna", scrisse che
il malocchio poteva essere trasmesso sia da uno iettatore che da una
iettatrice, ma che la qualità di iettatore è congenita, in quanto non si può
acquisire. In genere uno iettatore ha gli occhi fatti a punta come per
ferire...infatti una persona colpita da
malocchio, in sardo si dice che è "ferta
de ogu". Chi invece, sempre secondo Wagner, è predisposto ad essere
colpito dal malocchio, è di belle forme, di bel viso, con gli occhi splendidi,
e perciò, quando una persona è bella in Sardegna si dice scherzando "e ita timisi, de ti pigai ogu”?
Cari amici, la credenza
dell’influsso malefico chiamato “Malocchio”, ha radici antiche, che affondano
nella mitologia classica: lo sguardo delle donne dell’Illiria uccideva, nella
leggenda celtica il gigante Balor poteva trasformare l’unico occhio in un’arma
mortale e Medusa tramutava in pietra chiunque incontrava il suo sguardo. Nella
tradizione popolare sarda questo “potere nefasto” fa parte dei diversi “malefici”,
capaci di nuocere a persone o animali, influenzando spesso anche la sfera
affettiva ed economica dei colpiti; questo potere malefico risulta affondare le radici nel nostro
passato più remoto. I soggetti attivi, particolarmente predisposti a trasmettere questi “strali
malefici”, capaci di trasferire attraverso gli occhi la carica negativa
interiore, sono soprattutto preti, storpi, guerci, orbi da un occhio e le donne
sospettate di stregoneria. La causa scatenante è sempre l’invidia, il desiderio o
l’ammirazione invidiosa per le persone o le cose altrui; da notare che questo
sentimento malevolo può essere trasmesso, da parte del soggetto predisposto,
anche inconsapevolmente, col semplice atto di guardare una persona.
Cari lettori, i sardi,
da tempo immemorabile, si sono cautelati contro questi eventi negativi o con
gli amuleti, in via preventiva, o
una volta colpiti, con diversi rituali curativi, tipo “sa mejina de s’ogu”. Di questo rito, pensate, sono state contate
ben 24 varianti: tutte terapie mirate, studiate per la guarigione dal malocchio!
Medicina
efficace o solo placebo? Difficile rispondere. Le tradizioni popolari in
Sardegna riescono indubbiamente a mantenere inalterato nei secoli un sapore
misterioso, mistico e seducente.
Grazie, cari amici,
della Vostra attenzione.
Mario
1 commento:
grazie, Mario, è un pezzo davvero interessante. Potresti suggerirmi un buon libro sulla cultura sarda?
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