venerdì, settembre 11, 2015

LA FELICITÀ È QUALCOSA DA “CONDIVIDERE” SEMPRE? VALE SOLO NELLA VITA DI COPPIA, OPPURE SI PUÒ ESSERE FELICI, ANCHE DA SINGLE?



Oristano 11 Settembre 2015
Cari amici,
La specie umana (come  quella di diversi altri mammiferi) ha una predisposizione naturale a “vivere in  gruppo”, a stare insieme in un contesto sociale condiviso, al cui interno la coppia uomo-donna forma una famiglia, alleva dei figli, e, parafrasando un antico modo di dire, “vive felice e contenta”. Da questo comportamento, fortemente radicato nel tempo, si è affermata la convinzione che la felicità è qualcosa da “condividere”, che non appartiene sic e simpliciter al singolo individuo, ma è un bene da spartire, da vivere in comunione con gli altri.
In effetti, tornando indietro nel tempo, fino al secolo scorso era in auge la famiglia patriarcale, dove addirittura “lo stare insieme anche di due o più generazioni”, costituiva la vera felicità, che aveva la famiglia come sinonimo. Stante questa premessa, vivendo in una società, dove risulta molto più importante “la coppia” del singolo, appare poco naturale il bisogno di alcuni di estraniarsi, di “Stare da Soli”, di godere del piacere, dell’intimo bisogno di dialogare meglio con noi stessi.  Questi soggetti nella Società sono visti come misantropi: chi sta bene da solo è visto come un asociale, perché rifiuta il piacere di condividere la felicità con gli altri.
Anche i grandi scrittori, gli autori dei libri importanti, delle trame dei film, delle telenovele o delle fiction della Tv, raccontano la solitudine quasi sempre in senso negativo, e i soggetti solitari privi di felicità.  Eppure, cari amici, la solitudine  non è un marchio d’infamia, ma una  condizione psico-fisica normalissima, che ha origine nell’uomo fin dalla nascita. Per spiegare meglio il concetto, proviamo a partire proprio dall’infanzia, quando da piccoli, le nostre esigenze, la nostra lenta crescita, risulta necessariamente basata sulla dipendenza dagli altri: sotto tutti i punti di vista, fisici ed emozionali. Esigenze, tutte, che si compenetrano nel bisogno di essere accuditi, lavati, nutriti, protetti.
Il periodo della “dipendenza”, però dura poco: Man mano che si cresce, aumenta invece il desiderio, la necessità di “staccarsi” dall’originaria dipendenza e iniziare a “volare da soli”.
Col passare del tempo cresce l’esigenza di sentirsi liberi, di farcela da soli; a livello fisico si cerca l’indipendenza fin da subito: vogliamo mangiare da soli, camminare da soli, vestirci da soli. Nel periodo adolescenziale la ricerca dell’indipendenza arriva per gradi: economicamente, con i primi lavoretti con i quali ci manteniamo agli studi, ci compriamo lo scooter , facciamo le prime vacanze lontano da casa, o addirittura riusciamo a comprarci l’auto; dal punto di vista emozionale, invece, questa scalata all’indipendenza risulta più difficile e faticosa.
I primi patemi d’animo arrivano con i primi innamoramenti: attacchi di panico, di confusione e disorientamento, sicuramente comprensibili, in quanto l’innamoramento è come una malattia; le precedenti abitudini consolidate vengono spazzate via, ridiscusse, la routine quotidiana cambia. Ma è solo questione di tempo: giorno dopo giorno, imparando ad affrontare la quotidianità in due, ci si si ritrova in una nuova dimensione. Agli svantaggi apparenti, si aggiungono i nuovi vantaggi derivanti dalla condivisione di interessi comuni e da una visione più ampia, allargata.
Questo periodo roseo di “innamoramento” non è detto che duri per sempre: l’amore, sentimento al quale è difficile comandare, dettare legge, vive di vita propria, da entrambe le parti; se è vero che, spesso, non abbiamo fatto nulla per meritarcelo, è anche vero che col passare del tempo, iniziamo a sentire lentamente l’esigenza di riappropriarci della nostra indipendenza, di tornare indietro, quasi all’infanzia, quando avevamo quell’agognato bisogno di “farcela da soli”.
Quando succede che riprendiamo a pensare: voglio essere indipendente, sto bene con me stesso, la mia vita funziona comunque anche se tu non ci sei, la precedente condivisione e felicità di coppia, inizia ad incrinarsi. La maggior parte dei rapporti di coppia, quando arriva a questo punto, diciamo che è scoppiata e il feeling finisce anche in modo poco ragionevole. A questo punto ci si interroga: con la fine del rapporto di coppia è finita anche la felicità prima esistente, in quanto senza essere in due, questa non è possibile mantenerla? Niente di più sbagliato. Non è obbligatorio essere in coppia per essere felici! 
Il gruppo di ricerca ha esaminato oltre 4 mila neozelandesi, con il risultato che le persone 'allergiche' ai conflitti e agli scontri con il partner, sono risultate felici sia da sole che in coppia. Nel primo caso, perché stavano bene con se stesse, nel secondo, invece, perché con la loro capacita di mediazione riuscivano a diminuire e controllare l’asprezza degli scontri, cosa che spesso avvelena definitivamente il rapporto. La ricerca ha incluso soggetti dai 18 ai 94 anni e con relazioni in corso o alle spalle, durate in media 22 anni. Un quinto dei volontari era single al momento dello studio.
Cari amici, nel tempo, come ho detto all’inizio, la famiglia è cambiata molto e continua a cambiare. Felici o infelici, oggi il numero dei single è in aumento, e negli Stati Uniti ormai si contano 128 milioni di 'solitari', il 51% della popolazione adulta. Ecco perché i ricercatori vogliono approfondire gli effetti di questa modalità di vita, che incide su psiche e salute. Per consolare quelli che, dopo una lunga vita di coppia oggi sono singoli infelici, riporto una riflessione di Cristina Rossi Morley, autrice di un famoso libro dal titolo  "Soli e Felici", dove cerca di dimostrare che la solitudine non è un “valore negativo”. Cristina scrive nel suo diario, dopo aver superato un brutto periodo di solitudine continua, queste parole: 
"Perché quando sono sola posso  starmene con me.  Perché quando sono sola posso comunicare  con me.  Perché quando sono sola posso giocare  con me.  Perché quando sono sola posso vivere  con me.  Perché quando sono sola sono con  ciò che penso, ciò che sento, ciò che  faccio.  In questo momento sono in totale  solitudine al centro di una  radura di montagna, ma non mi  sento sola........ Perché sono circondata  da centinaia di stupende margherite  gialle, da decine di  nuvole bianche che si rincorrono  allegramente, da due scoiattolini  rossicci che mi guardano con gli  occhietti vispi.  Come potrei sentirmi sola? ".
E’ con queste parole che la scrittrice cerca di aiutare gli altri a star bene con se stessi, cercando la felicità nella solitudine e amandola… 
Grazie, amici, a domani.
Mario

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