mercoledì, ottobre 26, 2011

SU "PAN'ISPELI", L'ANTICO PANE DI GHIANDE: QUELL'AMARA “MANNA” CHE HA CONSENTITO DI SUPERARE LE ANTICHE CARESTIE IN SARDEGNA.














Oristano 26 Ottobre 2011

Cari amici,
mi è passato tra le mani un libro di cultura sarda nel quale si parlava del pane di ghiande.
La mia curiosità mi ha convinto a fare qualche ulteriore ricerca e approfondire l'argomento.
Ecco quello che sono riuscito a trovare.
Buona lettura!

Tra magia e tradizione il “pane di ghiande” ha rappresentato per l’uomo, per un lungo periodo di tempo, un prezioso alimento della vita sostituendo il pane d’orzo e di frumento, carente o mancante per cattive annate, e consentendo ai ceti più poveri di superare le lunghe e frequenti carestie.

In Sardegna questa consuetudine era diffusa soprattutto in Ogliastra, in particolare nei territori di Talana, Urzulei e Baunei. La consumazione di questo alimento “particolare”, vera manna, anche se amara, era l’unica base di sopravvivenza nei periodi di carestia: ne hanno memoria gli anziani che ricordano d’averlo consumato fino a circa sessant’anni fa.

Il suo uso si perde nella notte dei tempi, se pensiamo cheSu Pan'ispeli”, come viene chiamato questo antico prodotto, viene nominato da Plinio il Vecchio nel I secolo D.C., descrivendolo come un pane di ghiande, dal sapore asprigno, impastato con argilla e cenere del quale si nutrivano i Sardi. Dopo di Lui altri studiosi, sardi e non, scrissero e dissertarono su questo “particolare” pane che consentiva la sopravvivenza di Comunità che altrimenti sarebbero perite.

Questa pane, “Manna amara” ma capace di nutrire, viene descritto, anche se a volte in modo contradditorio, dai non pochi studiosi che ne hanno dissertato. Nel XVIII e nel XIX secolo gli scrittori, dal Cetti in poi (1774), descrivevano il pane di ghiande come qualcosa di detestabile e incredibile; altri, come Angelino Usai, lo consideravano “più adatto ad avvelenare un uomo che a nutrirlo”. Particolarmente interessante lo studio effettuato dall’Usai e riportato nel suo libro "Baunei" (Editore Fossataro, 1968), dove afferma che l’usanza del pane di ghiande, che oggi sopravvive solo in Ogliastra, era ‘antica tradizione’ di tutta la Barbagia e di altre zone della Sardegna, dove era chiamato con nomi differenti: oltre a panispeli, lande cottu (Baunei e Triei), lande kin abba e ludu orrubiu (Talana e Urzulei).

Anche il Lamarmora parla di questo prodotto ed afferma non solo di aver assistito alla sua preparazione ma anche di averlo mangiato, ‘senza alcun rimpianto’, però. Altri, come Paolo Mantegazza, hanno scritto che: "Il pane di ghiande deve rimandarsi ad usi e popoli antichissimi, forse ai primi abitatori della Sardegna".

Vittorio Angius nei suoi scritti affermò che "Le donne di Baunei ne portano in altri paesi e lo vendono più caro che se fosse di farina scelta. Se ne manda in dono e si pregia come una cosa singolare...". Osvaldo Baldacci, invece, scrisse: "Fin dal 1938, durante i miei viaggi nell'Ogliastra potei constatare che il pane di ghiande non rientra più nel regime alimentare quotidiano, ma che persiste tuttora come singolarità tradizionale nella mensa di persone povere e facoltose durante le festività paesane". Lello Fadda, infine, ha riportato, nel suo bellissimo articolo "Geofagia in Sardegna", la descrizione dettagliata di un vero e proprio cerimoniale a sfondo religioso effettuato nel Marzo del 1957 a Baunei.

Vediamo anche noi, ora di saperne qualcosa di più su questo ‘antico pane’, partendo proprio dalle ghiande e dal suo possente albero da cui si ricavano questi frutti.

La pianta di cui parliamo è il “Quercus Robur” o Farnia, della famiglia delle Fagacee, divisione Angiospermae. Esso può raggiungere anche i 40 mt. Di altezza con una circonferenza di 12-13 metri e vive a lungo, intorno agli 800 anni. Ha fusto diritto, con rami alti e molto estesi, corteccia scura , foglie caduche e coriacee; i fiori maschili e femminili insistono sulla stessa pianta, sono di colore verde-giallo e su di essi nasceranno e si svilupperanno le ghiande (Acheni).

Il legno è di colore chiaro-brunato, duro, noto come "rovere di Slavonia", e viene usato moltissimo per mobili pregiati, per le famose botti di vino ( solo in queste botti il Cognac assume quel suo particolare" bouquet"), per alimentare forni e caldaie; la corteccia, inoltre, è utilizzata per la concia delle pelli. Il suo frutto, le ghiande, quando mature cadono spontaneamente a terra e sono un ottimo alimento per la selvaggina.

Sul nostro territorio crescono spontaneamente tre distinti tipi di quercia:

Quercia Ilex, non è altro che il notissimo Leccio, sempreverde, bellissimo per l'intenso verde delle sue lucide foglie, con chioma molto sviluppata che può raggiungere oltre i 25-40 mt. Tipico della macchia mediterranea, non ha bisogno di particolari attenzioni.

Quercia spinosa, tecnicamente Coccifera , cosi chiamata perché il Coccus, un insetto simile alla cocciniglia nidifica sovente tra le foglie. Una curiosità: dalle larve anticamente veniva estratto un unguento rosso usato per dipingere. La Coccifera non cresce molto, raggiunge al massimo i 3 mt. di altezza ed è utile come siepe per via delle sue foglie spinose e dure.

Quercia Suber, da Sughero, molto diffusa in Sicilia e Sardegna, dalla cui corteccia rugosa si ricava il sughero ( circa ogni 10 anni). In Sardegna per anni ha alimentato l’importante industria sugheriera del Nord Sardegna. C’è anche una varietà minore, detta “Roverella” (Quercia Pubescens).

Albero superbamente maestoso, la quercia è originaria dell'Europa centrale. Nel passato già gli antichi romani, i greci e i Druidi lo consideravano sacro. Per le sue grandi chiome verdi e l'imponenza strutturale, viene da sempre considerato l'albero della saggezza. Moltissime sono le leggende su questo albero: le Isolane di Samo prestavano giuramento sotto di esso; addirittura Zeus si diceva che lo avesse adottato e che in un bosco di querce avesse sposato Era.

Per gli antichi rappresentava sia il Sole che il cielo plumbeo, carico di pioggia, tanto che gli Arcadi pensavano che per far piovere bastasse scuotere uno dei suoi rami e pensavano, addirittura, che gli esseri umani prima di diventare uomini fossero delle querce. Per i Greci le querce erano" le prime madri" ( mangiare i suoi frutti era ritenuto propiziasse sia la procreazione che la fecondità), dove i Dioscuri ellenici trovarono rifugio per sfuggire ai loro nemici; si racconta che sia stato il primo albero a crescere sulla terra, producendo non solo le ghiande, ma anche il miele (attraverso le api). Altra antica credenza era che un tronco di quercia bruciato la vigilia di Natale significasse rinnovamento, rinascita , ritorno alla luce dopo il buio.

Tutte le parti della pianta erano considerate preziose; il vischio ricavato dalle querce era considerato anticamente un buon rimedio contro la sterilità delle donne, un potente afrodisiaco, oltre che un antidoto contro i veleni o le malattie in generale. Questo attribuito potere curativo fece si che i Druidi definissero quest’albero " curatutto" e lo amavano e adoravano come adoravano la propria casa. Una bellissima leggenda narra che l'Aurora(Medea) ed il Sole (Giasone) si incontrano in cielo e viaggiano tutta la notte su una nave, dove Atena figlia di Zeus aveva portato un truciolo di quercia di Dodona per salvare gli Argonauti dal naufragio. Una curiosità astrologica, infine, narra che i nati il 21 Marzo sono protetti, secondo l'oroscopo celtico, dalla quercia.

Dopo aver esaminato l’albero, vediamo ora i suoi frutti.

I frutti della quercia, gli acheni, sono comunemente chiamati ‘ghiande’. Esse sono lunghe fino a 4 cm, di forma ovale-allungata, con cupola ruvida e ricoperta di squame romboidali che le ricopre per circa un quarto. Il colore va dal verde chiaro al marrone con il procedere della maturazione. Crescono singolarmente o a gruppi di fino 4 ghiande su lunghi gambi (da 3 a 7 cm). Maturano l'autunno seguente alla fioritura. Le ghiande rappresentano un'importante parte della dieta di molti animali: uccelli (come ad es. le ghiandaie, i piccioni, alcune papere e molte specie di picchi), piccoli mammiferi (es. topi, scoiattoli). Altri mammiferi di grossa e media taglia come cinghiali, orsi e cervi si nutrono di ghiande che possono rappresentare fino al 25% della loro dieta autunnale. Le ghiande contengono, in percentuali variabili a seconda della specie, una grande quantità di proteine, carboidrati e grassi, minerali e vitamine. E’ proprio la scoperta da parte dell’uomo di questa buona capacità nutritiva che, nonostante la scarsa appetibilità, che ha fatto si che questo frutto sopperisse alla mancanza di altri alimenti più pregiati e qualificati per il suo nutrimento.

La mia innata curiosità mi ha portato a cercare di scoprire come, questo pane cosi diverso dal solito, veniva preparato; quale era o quali erano le ricette che, nel tempo, si erano studiate per la sua panificazione, trasformando la ‘farina’ ricavata dalle ghiande in quel pane particolare, dopo una lunga e laboriosa preparazione. Ecco come, nella zona della Sardegna dove era maggiormente consumato, l’Ogliastra, questo pane veniva con sapienza preparato.

Questo “pane”, come ricordano gli anziani, è stato consumato per secoli ed il suo uso si è protratto fino a circa sessanta anni fa. Nei testi che descrivono l’Ogliastra del passato sono spesso riportati diversi metodi per la sua preparazione, ma tutti sono accomunate dagli stessi ingredienti: ghiande (Quercus ilex), ceneri, in particolare di vitigno, e argilla. Nel libro dal titolo Città e villaggi della Sardegna dell'Ottocento, l’Angius descrive con queste parole questa antica arte: “…L’arte di questo panificio di ghiande è contenuta ne’ seguenti semplici procedimenti, sbucciamento delle ghiande, bollimento delle medesime in acqua schietta, ribollitura delle medesime già ammollite per la prima operazione in acqua, cui si appropriò la viscosità d’un’argilla rossa, con cui fu mescolata, versamento sopra il vaso bollente d’una lissivia fatta con le ceneri del sarmento o del leccio. Allora la ghianda stracotta precipitava al fondo della caldaja, e quindi quella pasta si forma in tavolette dalle quattro alle sei once e se ne fa tanta quantità che possa bastare per sei mesi…”.

Le ricerche condotte da Agugliastra, il sito dell’Ogliastra, (sito internet Agugliastra.it), cercano di riassumere i punti comuni di questa antica tradizione, a volte variabile da zona a zona, e di chiarire gli aspetti più controversi. Gli ingredienti erano semplicemente dati dalle ghiande ( in genere il cosiddetto "lande 'e pena"}, argilla, acqua e ceneri di vitigni. Una recente ricerca, frutto degli studi fatti dall’Università di Firenze, ha messo in luce che esisteva ed ancora esiste in Ogliastra un particolare tipo di Quercia capace di dare un frutto meno amaro, sa “Lande Durche”. Questi particolari lecci sono ancora presenti nel complesso di “Silana” a Urzulei e danno, come frutto, delle ghiande particolarmente ‘dolci’, rispetto alle altre. Secondo gli esperti potrebbe trattarsi di un ibrido introdotto dalle popolazioni caucasiche che diedero origine alla civiltà nuragica. «Infatti - si legge in una ricerca - certe querce caducifoglie del Medio Oriente, per esempio la quercia del Libano, si ibridano con una facilità estrema con il leccio dando origine a questo ‘speciale ibrido’ che acquisisce questa particolarità: la produzione di ghiande dolci, particolarmente adatte ed utilizzate da millenni per fare proprio il pane di ghiande con la sua farina.

La preparazione, come ha messo in luce la ricerca summenzionata, richiedeva all'incirca dalle cinque alle sei ore e seguiva una sequenza di fasi dettagliate, inizialmente precedute da un rituale a sfondo religioso.
Le ghiande, precedentemente sgusciate e fatte asciugare, venivano versate in un sacco di pelo di capra (60x40 cm), detto "sa taxedda de pistadorgiu", e sbattute su pietra, sino a quando non si otteneva la perfetta pulitura del frutto. Una volta pulite, si versavano in un tegame di rame, "caddargiu". A parte, in un contenitore di terracotta, 's'impastera', si versava dell'argilla ('torco'), e con un mestolo di legno si girava l'impasto per scioglierne gli eventuali grumi, aggiungendovi pian piano acqua fredda. Circa tre quinti del liquido ottenuto venivano spostati nel paiolo contenente le ghiande. Quest'ultimo era adagiato sul fuoco, dando così inizio alla cottura, durante la quale il colore delle ghiande da rosso-marrone diventava nero. Per facilitare la cottura si aggiungevano ceneri di vitigni.
A cottura ultimata le ghiande rimaste intere venivano sistemate in vassoi a raffreddare, mentre il resto dell'impasto veniva lasciato ulteriormente cuocere sino a ottenere un composto denso, simile alla polenta, suddiviso poi in piccole focacce adagiate a raffreddare su fogli di sughero.

Ciò che si otteneva erano alla fine due prodotti diversi, ma altrettanto nutrienti: da una parte il 'lande', che costituiva il prodotto robusto e nutriente destinato agli uomini per il loro sostentamento nei lavori pesanti; dall'altra la "fitta", che costituiva, invece, il prodotto più delicato, in genere destinato agli ammalati e ai bambini, poiché considerato quasi un dolce.

La ricetta aveva non poche varianti. Un’altra similare utilizzava il seguente procedimento:

scelta la quantità necessaria di ghiande ben mature, queste venivano sbucciate e si ponevano a cuocere in una specie di lisciva, ottenuta filtrando l'acqua di cottura attraverso uno strato di argilla speciale, ricca di ferro, e della cenere di alcune erbe aromatiche. La cenere serviva a togliere l'aspro e l'amaro del tannino delle ghiande, e l'argilla dava il glutine necessario a legare l'impasto. Entrambi questi ingredienti contribuivano a render più gustoso e digeribile su pan'ispeli. Quando le ghiande, per effetto della cottura, raggiungevano la consistenza della polenta, assumendo quasi il colore del cioccolato, si stendevano su tavole a rassodare, per poi venir tagliate a fette o a pani. Seccato al sole o al forno, su pan'ispeli veniva quindi consumato come un pane qualsiasi, col solito companatico nostrano, formaggio, lardo ecc.

Molti, ritengono che il pane di ghiande avesse un alto valore nutritivo e una notevole azione rinfrescante. Le analisi sia delle ghiande essiccate che della farina estratta evidenziano un alto valore energetico (circa 450 kcal per 100g), contengono proteine (6-8%), grassi (prevalentemente insaturi, 25-35%) e carboidrati (50-60%), sono ricche di calcio, fosforo e potassio, oltre che di diniacina (vitamina PP). Le analisi chimiche, condotte su del pane di ghiande fatto preparare a Baunei (nel 1957 e 1984) e riportate dalla rivista “Studi Ogliastrini”, evidenziano, però, la presenza nel pane di una elevata percentuale di materiale inorganico per via delle ceneri e dell’argilla con cui veniva preparato. La valutazione globale della composizione di quest’antico pane, consumato in particolare dagli ogliastrini, darebbe ai suoi abitanti, a ragion veduta, la patente di ‘geofagi’, ovvero di ‘mangiatori di terra’.

La farina di ghiande, quindi, risorsa estrema, quale succedaneo alimentare di farine più nobili, che per molto tempo riuscì a sostituire egregiamente grano, orzo e avena, ma non solo. Le classi meno abbienti sfruttarono questa risorsa anche come succedaneo del caffè, in miscela con l’orzo.

Il caffè a base di ghiande tostate fa la sua comparsa nel diciottesimo secolo, come eredità dei primitivi decotti, quando si diffonde il consumo del vero caffè ma questo è un genere troppo costoso per le classi meno abbienti. Succedanei come l’orzo e la cicoria vengono largamente impiegati in sostituzione del più nobile prodotto e in queste miscele è sempre presente la farina tostata di ghiande, che impartisce il gusto amaro apprezzato dal consumatore. La fortuna di questi succedanei è altalenante e dipende dalle vicende dell'importazione del caffè da Africa e Sudamerica: in Italia, i succedanei ritornano popolarissimi nel periodo fascista (dopo le sanzioni nei confronti del nostro Paese) ed ancora nel primo dopoguerra. E naturalmente in questo caffè non c'è caffeina! La saggezza dei nostri progenitori, abituati a utilizzare sempre al meglio quanto la natura donava all’uomo, utilizzava le ghiande anche a scopi terapeutici, oltre che alimentari.

Non pochi i composti utili alla nostra salute. Anche se le ghiande contengono delle sostanze polifenoliche (tannini) che danno il caratteristico sapore amaro (ecco spiegato l'uso come succedaneo del caffè), è anche vero che alte concentrazioni di sostanze fenoliche interferiscono con l'assorbimento e l'utilizzazione delle proteine; i polifenoli, inoltre, con la loro attività antiossidante, costituiscono una difesa preventiva per alcune forme tumorali! Ecco dunque le nostre ghiande rientrare nella dieta moderna, come ingrediente nutraceutico o preparato ad attività farmacologica! Senza parlare, poi, tornando al pane di ghiande, dei componenti aggiuntivi, in primis l’argilla.

Tralasciando gli aspetti rituali e magici della geofagia (esiste un rapporto tra geofagia e geofilia, o attrazione alla terra), oggi è possibile trovare anche nelle farmacie delle nostre città, per fini benefici e curativi, elementi presenti normalmente nei suoli quali l'argilla; si ritiene infatti che l'argilla purissima, da bere sciolta in acqua, contribuisca a mantenere ben regolato l'organismo.

I benefici prodotti dall'argilla sono legati, oltre che alla sua capacità di scambio cationico, anche alla sua capacità adsorbente, cioè alla proprietà che essa possiede di attirare e trattenere ioni di carica positiva, e che le consente di intrappolare batteri, microbi, tossine e scarti del metabolismo intestinale, gas e veleni. L'argilla ha, quindi, un alto potere disintossicante. Non assorbe invece i nutrienti, come vitamine e minerali, grazie a un'adsorbenza selettiva. Inoltre, fornendo essa stessa numerosi minerali e oligoelementi, può essere considerata anche remineralizzante.

I disturbi per i quali può essere consigliato l'uso interno dell'argilla sono in particolare la gastrite, il meteorismo addominale e i borborigmi, l'insufficienza digestiva e l'acidità di stomaco, l'aerofagia, l'ernia iatale, la colite, la stipsi. Mica poco!

Cari amici che dire? I nostri saggi antenati hanno sempre contato sulla straordinaria capacità della natura di essere, sempre, in grado di trovare i rimedi di cui l’uomo necessitava. Successivamente, quando con il nostro orgoglio di “pessimi meccanici” abbiamo cercato di modificare il mondo per piegarlo alle nostre voglie, a volte esso si è ribellato.

Non esageriamo con la ‘fuga’ verso il futuro. Il mondo è la cosa più bella che ci è stata affidata, lasciamolo integro per i nostri figli e le successive generazioni.

Grazie dell’attenzione.

Mario


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie Mario. Alcune informazioni mi sono state molto utili. E poi grazie anche per il lavoro di ricerca che hai fatto.

Antonio
lanuovapoesia@libero.it

leodp ha detto...

La cottura con argilla e cenere non è per caso un procedimento effettuato per rimuovere i tannini?

Nel Don Chisciotte sono descritte pietanze a base di ghiande dolci (Bellotas dulces). In Spagna e nelle Baleari ci sia una varietà di Quercus Ilex, subsp. Ballota o anche Rotundifolia che produca delle ghiande particolarmente dolci che non hanno bisogno di particolari trattamenti per essere mangiate. Sardegna e Baleari condividono gran parte di flora e fauna. Mi sa che si parla delle stesse tradizioni. Qui ho trovato qualche informazione in più (in spagnolo):
http://jardin-mundani.blogspot.ie/2014/01/bellotas-dulces-un-manjar-de-dioses.html?showComment=1436450948900#c7416761735243946960

Anonimo ha detto...

Non risulta che in Sardegna la Qurcus Robur sia diffusa, probabilmente le ghiande che si usano provengono dalla Roverella o Quercus Pubescens