domenica, novembre 30, 2025

LA VITA SOCIALE NEL TERZO MILLENNIO. IL PASSAGGIO DAL NUCLEO FAMILIARE NUMEROSO A QUELLO SINGOLO. LA RAZZA UMAMA SEMPRE PIÙ SOLITARIA E APPARENTEMENTE FELICE.


Oristano 30 novembre 2025

Cari amici,

Come ultimo post di questo mese ho scelto di dialogare con Voi sull'aridità e la solitudine sempre più presente nella vita di oggi. Lo scorso 11 novembre si è celebrata la  GIORNATA MONDIALE DEI SINGLE (O SINGLES' DAY). L’idea di dedicare un giorno alle persone “SINGLE” è nata in Cina negli anni '90, istituita per celebrare l'indipendenza e l'orgoglio di essere single. La data è stata scelta per via della sequenza dei numeri: 11/11, infatti è una sequenza di 1, e simboleggia proprio una persona sola. La ricorrenza col passare del tempo si è evoluta, trasformandosi nella più grande giornata di shopping online al mondo.

La realtà, come ha ben evidenziato il sociologo americano David Riesman nel suo famoso libro “La folla solitaria” (titolo originale “The Lonely Crowd”), è che l’uomo ha lentamente ma inesorabilmente dismesso i panni del vivere sociale, abbandonando lo svolgersi della vita “insieme agli altri”, al suo gruppo, estraniandosi quindi, e iniziando quella “vita solitaria” che noi oggi, purtroppo, constatiamo in tutta la sua triste evidenza. Si, amici, il protagonista indiscusso di oggi, di questo 2025, anno che chiude il primo quarto di secolo del corrente millennio, è proprio l’uomo solitario, che vive la sua vita sociale estraniato dal contesto che lo circonda.

Oggi il protagonista è il “LONER CONSUMER”, un nuovo, particolare tipo di consumatore che vive e acquista da solo, spinto tanto da un crescente desiderio di autonomia quanto da una diffusa sensazione di solitudine. Il suo è un nuovo modo di vivere, che può essere analizzato come un particolare stato d’animo oppure come una vera scelta di vita. Il Trend Reality Report 2025 di YouGov Shopper ha descritto e fotografato l’ascesa crescente del “Loner Consumer”, che continua senza interruzioni.

La ricerca è stata realizzata in collaborazione con PRESSRELATIONS, e si basa su uno studio strategico condotto su oltre 21.000 individui in 22 Paesi europei. Attualmente nel nostro Paese le famiglie ‘single’ costituiscono il 35,4% del totale delle famiglie italiane, con una crescita ancora più marcata se si considera il lungo periodo: +20% rispetto al 2015. Tuttavia, il Loner Consumer non è un ‘solitario’ nel senso tradizionale: il termine, coniato dal The Economist lo scorso giugno, descrive una tendenza tutt’altro che marginale e che – diffusasi durante la pandemia – esprime il crescente desiderio di indipendenza, di ricerca di spazio personale e di tempo di qualità da dedicare a sé stessi.

Questa scelta di “Vita solitaria”, stando ai dati rilevati dal report di YouGov circa le motivazioni che spingono gli italiani ad isolarsi, è quello di ritagliarsi un momento di solitudine, quello di cercare di riposarsi mentalmente (per il 49% di loro), di avere un momento di introspezione (per il 45%) e di connettersi con sé stessi (per il 41%). I dati del Trend Reality Report di YouGov Shopper evidenziano la cosiddetta Loneliness epidemic, quella crisi di solitudine che da tempo, ormai, colpisce molte società occidentali.

Come spiega la sociologa Roberta Paltrinieri, docente di Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Bologna, «Questa tendenza non deve sorprendere: è un fenomeno descritto molto bene dal sociologo tedesco  Andreas Reckwitz nel suo libro “La società della singolarità”. Non si tratta tanto di un problema di solitudine, ma di individualizzazione: a partire dalla pandemia Covid, e che, complice la tecnologia, viviamo in una dimensione che promuove proprio la singolarità, cioè l’idea che “da soli è meglio”. Concretamente significa vivere da soli, ma anche fare esperienze in solitudine: il messaggio è che attraverso l’autonomia e l’indipendenza, anche e soprattutto nei consumi, possiamo realizzarci.

Amici, analizzando attentamente il fenomeno possiamo constatare che questo cambiamento non riguarda esclusivamente le nuove generazioni, bensì i 40/50enni: «Il Loner consumer è soprattutto un 50 enne o 60enne, che, avendo un reddito che gli permette di fare una certa spesa, da “consumatore solitario” vuole dimostrare a se stesso di essere una persona realizzata, e lo fa tramite i consumi, perché i consumi sono ormai l’attività prevalente della nostra quotidianità, anche in modo inconsapevole», come ben ha osservato la sociologa Roberta Paltrinieri.

Cari amici, le famiglie monocomponenti, come possiamo constatare, sono sempre in aumento, per cui viviamo sempre più connessi virtualmente ma fisicamente distanti; si preferisce avere spazi propri, comunicando con messaggini e non di persona. In questo senso la tecnologia ci sta allontanando dall’obbligo della reciprocità fisica, in quanto il virtuale rende più semplice la gestione delle relazioni. Viene meno quindi anche il senso di Comunità. L’uomo del Terzo Millennio, dunque, decidendo di distaccarsi dal gruppo, di vivere nell’egoistico isolamento, sta portando l’umanità intera a trasformarsi in quella “FOLLA SOLITARIA” prima ricordata, arida e infelice.

A domani.

Mario

sabato, novembre 29, 2025

SI PARLA TANTO DELL'INVENZIONE DELLA RUOTA, MA IL GRANDE DUBBIO È: "DOVE, COME E PERCHÈ L’UOMO È ARRIVATO A CREARLA?".


Oristano 29 novembre 2025

Cari amici,

Che l'uomo abbia inventato la ruota per facilitare il trasporto di carichi pesanti è una certezza, anche se i ricercatori e gli scienziati continuano ad interrogarsi dove, come e quale sia stato il primo motivo per cui è nata la prima idea di utilizzare del materiale rotante per cercare di alleggerire il peso del trasporto. La quasi certezza è che  l'idea iniziale sia nata dall'osservazione di oggetti che in pendenza rotolavano, come ad esempio i tronchi d'albero. L’osservazione può aver spinto l’uomo preistorico ad utilizzare dei rulli di legno per trasportare i carichi più pesanti, apportandovi poi le ulteriori, successive modifiche.

Sebbene in passato la teoria dei rulli sia stata scartata da diverse ricerche, un nuovo, affascinante studio, basato su simulazioni al computer e condotto da ingegneri aerospaziali, questa teoria è stata ripresa, dimostrando la sua validità; secondo questi nuovi studi la ruota è derivata proprio dai rulli, il cui processo di trasformazione, prima con lo scavo centrale del tronco e poi con l’inserimento di un asse centrale che collegava due dischi di tronchi d’albero, dando così origine alla ruota.

Lo studio prima citato è stato portato avanti da un team di ricerca statunitense, composto da scienziati del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale dell'Università dell'Illinois Urbana-Champaign, del Dipartimento di Storia dell'Università Columbia di New York e della Facoltà di Ingegneria Aerospaziale del Georgia Institute of Technology. Secondo questo studio, tutto sarebbe iniziato circa 6.000 anni fa nelle infernali miniere di rame dei Carpazi, in Ungheria. Proprio qui gli archeologi hanno trovato più di 150 carri in miniatura fatti di argilla, con ruote e una cesta superiore simulata dove venivano riposti i minerali estratti.

I ricercatori hanno ipotizzato che i modellini erano le riproduzioni dei veri carri utilizzati dai minatori dell'epoca, che, con questa soluzione, resero il loro faticosissimo lavoro decisamente più agevole e proficuo. Gli studiosi, coordinati dal professor Kai A. James, si sono convinti che l'ambiente della miniera sia stato ideale per la trasformazione da rullo di legno ad asse con due ruote ai margini. Come lo scienziato ha spiegato in un articolo pubblicato su The Conversation, infatti, “affinché i rulli siano utili, necessitano di un terreno pianeggiante e solido e di un percorso privo di pendenze e curve strette”.

Sempre secondo il professore, i primi pesantissimi carichi di roccia e rame trasportati sui rulli avrebbero piano piano spinto gli inventori dell'epoca a modellare questi rudimentali mezzi di trasporto, rendendoli sempre più pratici e affidabili, fino all'idea di scavare i tronchi al centro e inserire un asse; in questo modo era possibile superare più agevolmente gli ostacoli lungo il percorso. Le modifiche introdotte rendevano i carrelli più facili da spingere e manovrare, in quanto richiedevano meno fatica; e così, gli uomini, modifica dietro modifica, arrivarono ad ottenere la soluzione ideale, con l'asse e i due grandi dischi ai margini.

Amici, secondo gli autori dello studio, le ruote sarebbero dunque nate attorno al 3.900 avanti Cristo nel cuore dei Carpazi, dove l'ambiente minerario era adatto ad influenzare la trasformazione dei rulli  in ruote, in modo non dissimile dalla pressione evolutiva che si verifica nell'evoluzione biologica. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui grandi ed evoluti popoli precedenti, come ad esempio gli antichi egizi, seppure dotati di una cultura molto avanzata, non ebbero gli ingredienti adatti per dar vita all’invenzione della ruota.

Cari lettori, nei millenni l’uomo, passo dopo passo, ha cercato di rendere la propria vita sempre meno pesante e quindi un po’ più facile, e l'invenzione della ruota è indubbiamente una pietra miliare nel millenario percorso dell'umana esistenza. L’INVENZIONE DELLA RUOTA ha letteralmente cambiato la storia dell'umanità, considerato il fatto che anche oggi, dopo i tanti millenni dall’invenzione, la RUOTA gioca un ruolo fondamentale nei trasporti e nelle relazioni umane.

A domani amici lettori.

Mario

venerdì, novembre 28, 2025

LE SFUMATURE DELL’AMORE. AMARE NON SIGNIFICA SOLO VOLER BENE AGLI ALTRI, MA ANCHE A SE STESSI.


Oristano 28 novembre 2025

Cari amici,

L’AMORE non è solo quella freccia, scoccata dal nostro arco, nei confronti degli altri in sintonia con noi, ma significa, allo stesso tempo, "volersi bene", ovvero amare, con la stessa intensità, anche se stessi. Secondo il grande Erich Fromm, psicoanalista, sociologo e filosofo tedesco, "Se un individuo è capace di amare positivamente, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente". Amare gli altri, dunque, è importante, ma lo è molto di più se siamo in grado di amare anche noi stessi, poiché è proprio sull’affetto che si nutre per la propria persona che è possibile gettare le basi per creare legami solidi e duraturi nei confronti degli altri.

Amarsi, volersi bene non è solo importante, è necessario! Se non ci si ama, infatti, si rischia davvero di non riuscire né ad amare né a farsi amare. Proprio per questo, volersi bene, amare se stessi e gli altri, è una strada da percorrere, a volte difficile ma mai da abbandonare. Siamo tutti chiamati a superare le difficoltà che si presentano, e quali passi concreti possiamo fare per coltivare una relazione più sana con noi stessi e, di conseguenza, con il mondo che ci circonda.

Partiamo dalla domanda più comune: “Cosa vuol dire amare sé stessi”? Spesso sentiamo dagli amici battute come “Devi amarti di più”, oppure “Bisogna volersi bene”; sono slogan, certo, ma al di là delle battute, cosa significa realmente amare sé stessi? A cosa ci riferiamo quando parliamo di un amore incondizionato verso la nostra persona? In primis significa avere una profonda considerazione di se stessi e del proprio benessere; amare se stessi significa godere della propria felicità, avere cura dei propri bisogni, oltre che di quelli degli altri.

Se a molti volersi bene può sembrare un segno di egoismo, non è proprio così! Volersi bene non è un comportamento egoistico, ma di responsabilità verso sé stessi. Imparare ad amare sé stessi è importante: lo è per poter vivere con maggiore serenità ogni aspetto della propria vita. Amare sé stessi significa accettarsi per come si è, con i propri pregi e i propri difetti. Se siamo orientati solo verso gli altri, se il nostro altruismo trascura noi stessi, mettiamo a rischio anche l’amore che vogliamo dare agli altri.

Non amarsi, non volersi bene, ha conseguenze deleterie, amici lettori. Chi non si ama, in effetti ha di se una scarsa autostima; spesso il nostro umore tende verso il basso e scatta il bisogno di chiuderci in se stessi. Ci sentiamo anche inadeguati, senza la necessaria fiducia nelle proprie possibilità, arrivando in questo modo a sminuire il nostro potenziale. Questa mancanza di fiducia interiore soffoca i nostri talenti, impedendoci di perseguire i nostri sogni e le nostre aspirazioni, con la necessaria, possibile serenità.

Il grande psicanalista e filosofo Erich Fromm, nel suo libro fondamentale “L'arte di amare”, offre una riflessione profonda su questo tema. Fromm evidenzia come la nostra cultura ci spinga a cercare l'oggetto “giusto” da amare, invece di concentrarci sull'imparare ad amare e ad amarci con lucidità. Ci focalizziamo sull'altro come se fosse un salvatore, delegando a lui o a lei il compito di renderci felici, senza comprendere che “AMARE” è qualcosa che deve iniziare da noi. La sua tesi è chiara: è fondamentale amare sé stessi per amare gli altri in modo autentico.

Cari amici, capita sempre più spesso di sentire la frase “Se non ami te stesso, non puoi amare gli altri”; è questa una riflessione che è diventata quasi un mantra, ed ha un grande significato che dovrebbe farci riflettere tutti. Pensiamo dunque sempre positivo, amiamoci in modo convinto, senza mai dimenticare che “CIASCUNO DI NOI È LA PERSONA PIÙ IMPORTANTE DELLA SUA VITA!”-

A domani.

Mario

 

giovedì, novembre 27, 2025

L'ANTICO SIGNIFICATO DELL'INDOSSARE “L'ANELLO AL POLLICE”. UN’USANZA DAI MOLTEPLICI SIGNIFICATI.


Oristano 27 novembre 2025

Cari amici,

Oggi vedere in giro ragazzi e ragazze che portano un anello infilato nel pollice è diventata quasi una normalità, anche se questa moda, fino a mezzo secolo fa, era una vera e propria eccezione. Gli anelli, come ben sappiamo, sono presenti generalmente nel medio o nell’anulare, anche se capita di vedere tutte le dita della mano riempite di anelli! Ad essere indossato nel pollice è di solito un anello di metallo grigio, sovente d’argento, presente più spesso al pollice della mano sinistra, ma anche in quella destra.

Al giorno d’oggi gli anelli al pollice sono indossati sia dai ragazzi che dalle ragazze, e viene da chiedersi come possa essersi diffusa questa consuetudine, essendo noto che, fino a qualche lustro fa, era una moda alquanto rara. Se, però, torniamo indietro nel tempo, scopriamo che “indossare un anello al pollice” in passato non è proprio una novità! Era questa un’usanza abbastanza in auge negli alti ranghi sociali. Gli studi archeologici, infatti, hanno dimostrato che in molte civiltà, principalmente in quella greca e in quella egizia (ma anche in quella orientale), il dito pollice risultava inanellato già millenni fa.

Nell’antico Egitto, per esempio, i Faraoni e gli alti funzionari indossavano anelli al pollice come simbolo di autorità, potere e ricchezza. Nell’antica Grecia, invece, il pollice era associato alla virilità, alla forza e alla dignità. L’anello, inoltre, in diverse civiltà, era utilizzato come sigillo: usato per marchiare e sigillare documenti importanti. Indossare un anello su questo dito era simbolo di potenza, o anche di possedere una personalità tenace e sicura. In alcune culture l'anello al pollice aveva, addirittura, una funzione protettiva: gli arcieri, ad esempio, lo indossavano per evitare ferite causate dalla corda del loro arco.

Col passare dei secoli, l’utilizzo dell’anello nel pollice in gran parte abbandonò la vecchia funzione, allontanandosi dall’antico uso, per rivestire, invece, dei panni simbolici. Nella storia occidentale moderna, in particolare nel XIX secolo, le donne impegnate nel movimento femminista lo indossavano come atto di sfida ai codici patriarcali, quei codici presenti e associati ai legami, come quelli del fidanzamento e del matrimonio (le fedi nuziali). Questo piccolo gioiello indossato dalle femministe, era diventato, quindi, un gesto di sfida, un riappropriarsi di una libertà a lungo desiderata, un tempo alquanto vincolata dai matrimoni più imposti che liberi.

Amici, nel contesto moderno, l’anello usato nel pollice assomma diversi significati simbolici. Un primo significato è quello indicante la “Personalità”: chi porta l'anello al pollice è spesso visto come una persona sicura di sé, assertiva e con una forte personalità. Può significare anche “Dominanza” e audacia: Il pollice è visto come un dito di potere (come lo era in passato); simbolicamente, dunque, l'anello può essere un modo, per chi lo porta, di affermare la propria autorità e indipendenza. Infine, un anello al pollice destro può evidenziare, talvolta, anche un soggetto alquanto vanesio, con un forte gusto estetico. Infine, può simboleggiare anche astuzia e acume.

In realtà, amici lettori, non possiamo dimenticare che il pollice, a differenza delle altre dita, è opponibile: ciò consente di afferrare, manipolare e creare! Per questo, nel simbolismo corporeo, questo dito incarna la forza, la volontà e la capacità di agire. Per esempio, alzare il pollice è da sempre un gesto associato all'approvazione e al successo; al contrario, abbassarlo evoca condanna. Mettere l’anello nel pollice, dunque, è una scelta tutt'altro che banale. E forse è per questa ragione che indossarlo diventa un atto di affermazione: "Sono libero, ho il potere di scegliere”.

Cari amici, fin dai tempi più remoti l’anello è stato un grande strumento sociale: come la cintura, è un segno di alleanza, di legame, un segno di appartenenza ad un gruppo, ad una Comunità, oppure a un dio. L’anello veicola il segno di appartenenza, come lo è nello scambio degli anelli matrimoniali, così come per i cristiani sta a simboleggiare la fede, la fedeltà a Dio. L’anello, amici lettori, è veramente un simbolo straordinario, che nel corso dei secoli e dei millenni, continua a rappresentare un forte legame familiare e sociale.

A domani, amici lettori.

Mario

mercoledì, novembre 26, 2025

LE MERAVIGLIE DELLA NATURA. ALLE GALAPAGOS I POMODORI SFIDANO LA LEGGE DELL'EVOLUZIONE DI DARWIN. LO STRANO CASO DI UN’INVOLUZIONE, CON IL RITORNO AL PASSATO.


Oristano 26 novembre 2025

Cari amici,

Credo che praticamente tutti, ormai, conosciamo “LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE”, che Charles Darwin presentò alla Linnean Society nel 1858, esponendo i meccanismi alla base della mutazione casuale e selezione naturale. Secondo la teoria darwiniana (una teoria evoluzionistica sviluppata insieme ad altri autori), tutte le specie viventi derivano dalla selezione naturale di piccole caratteristiche ereditate, le quali, per sopravvivere e riprodursi, incrementano le proprie abilità e capacità.

Ebbene, l’evoluzione è nata, dunque, per la sopravvivenza, proseguendo gradatamente nel cambiamento, ovvero spingendo sempre in avanti la selezione; tuttavia, a quanto pare, alla regola può capitare, però, di vedere l'eccezione. Ecco un esempio. Di recente, su alcune isole dell’arcipelago delle Galapagos (proprio quelle dove Darwin studiò l’evoluzione) la specie selvatica di pomodoro (il Solanum Pennellii) ha invertito il processo di selezione, riattivando un lontano meccanismo di difesa primitivo. Anche se non si parla di una vera e propria regressione, questo “ritorno al passato” ha meravigliato non poco gli scienziati.

Si, amici, in quelle isole Galapagos, dove Darwin intuì il meccanismo della selezione naturale quasi due secoli fa, un piccolo pomodoro selvatico sembra aver riavvolto il nastro della propria storia genetica, compiendo 'un passo indietro' nell'evoluzione! Questo Solanum selvatico ha attirato l'attenzione di un gruppo di ricercatori dell'Università della California-Riverside, impegnati in uno studio sugli alcaloidi, composti naturali che agiscono come pesticidi biologici. Durante le analisi, qualcosa non tornava: i campioni provenienti dalle isole più giovani, a ovest dell'arcipelago, producevano sostanze chimiche che non si riscontravano nei pomodori moderni da milioni di anni.

Confrontando questi esemplari con quelli delle isole più antiche, gli scienziati hanno scoperto che le piante orientali avevano un sistema di difesa 'attuale', mentre quelle occidentali sembravano essere tornate ad uno stadio primitivo. "Non è molto comune osservare un caso di evoluzione inversa", ha spiegato Adam Jozwiak, biochimico molecolare e coautore dello studio pubblicato su Nature Communications. "Forse le condizioni ambientali hanno spinto questi pomodori a tornare indietro. La natura è più flessibile di quanto pensassimo: non tutto procede in avanti".

Analizzando oltre trenta campioni di Solanum Pennellii, i ricercatori hanno trovato un'impronta molecolare simile a quella delle melanzane, parenti strette nella grande famiglia delle Solanacee. I pomodori moderni avevano smesso di produrre quegli alcaloidi tossici, ma Solanum pennellii li ha in qualche modo riattivati. L'origine del fenomeno potrebbe essere legata alla geologia delle isole: le più giovani, nate dal vulcanismo meno di mezzo milione di anni fa, sono povere di suolo e di nutrienti. In un ambiente tanto ostile, la pianta avrebbe forse riscoperto antiche difese per sopravvivere. Un piccolo "esperimento naturale" che ribalta una convinzione radicata nella biologia: la cosiddetta Legge di Dollo, secondo cui un tratto perduto non può ricomparire identico.

Anche il biologo evoluzionista Eric Haag, operativo presso l'Università del Maryland, ha commentato che il caso "rappresenta una sfida interessante" alla legge darwiniana, anche se parlare di evoluzione al contrario resta fuorviante. "Dal momento che l'evoluzione non ha un obiettivo prestabilito, è problematico definirla in termini di avanti o indietro. Il cambiamento è semplicemente cambiamento", ha detto. Lo studio, oltre al valore simbolico di smentire in parte l'idea di un'evoluzione lineare, potrebbe avere implicazioni pratiche: capire come i geni ancestrali si riattivano, potrebbe aiutare a progettare colture più resistenti, ricavare pesticidi naturali o persino dei nuovi farmaci.

Cari amici, credo che questo caso di “ritorno al passato” possa essere motivo e stimolo per studi approfonditi, atti a ricavarne possibili benefici. Adam Jozwiak non nasconde la fascinazione di fronte al paradosso darwiniano: "L'evoluzione è sempre guidata dall'ambiente e dalla competizione. Forse i tratti che un tempo erano perfetti per sopravvivere, possono tornare utili quando le condizioni si ripetono". La natura, amici, è una immensa enciclopedia del sapere, di cui noi umani ancora conosciamo ben poco!

A domani.

Mario

martedì, novembre 25, 2025

LE CURIOSITÀ DEL NOSTRO CERVELLO. PERCHÈ, SPESSO, CI TROVIAMO IN DIFFICOLTÀ NEL RICORDARE NOMI, DATE, LUOGHI, ETC.?


Oristano 25 novembre 2025

Cari amici,

A chi di noi non è mai capitato di trovarsi in difficoltà nel non ricordare il nome di un amico, di non trovarci in tasca il cellulare e non ricordare dove lo avevamo appoggiato, oppure di entrare in una stanza e non ricordarne il motivo per cui ci eravamo lì diretti, o addirittura dove avevamo parcheggiato l’auto, solo per citare i casi più frequenti? Sono situazioni curiose che capitano a chiunque e che, magari, ci fanno venire la seria preoccupazione che il nostro cervello stia andando il tilt.

In realtà non è proprio così, perché il motivo non è che il nostro cervello è andato in avaria, ma la ragione è alquanto più semplice, e, soprattutto non è il sintomo di un danno. Si, il cervello, che amministra molti miliardi di dati, lavora per “precedenze”, nel senso che da priorità alle cose più importanti, accantonando, in determinati momenti impegnativi, le cose semplici, che a noi appaiono  dimenticate. Spesso siamo fortemente impegnati nel nostro lavoro, e lo eseguiamo  in preda a stress e stanchezza, tutti fattori che sovraccaricano la nostra mente, facendole perdere quei dettagli ritenuti meno importanti, e che, invece, a noi appaiono come preoccupanti dimenticanze.

Il nostro cervello, vero super-computer, come accennato prima, tende a dare precedenza alle informazioni basilari, ritenute più rilevanti, lasciando in secondo piano dei dettagli, come nomi, luoghi o la posizione di oggetti che non sono emotivamente o contestualmente importanti in quel momento. A lasciare indietro certi “dettagli” contribuiscono anche fattori esterni, come le distrazioni create dai rumori, dall’operatività del cellulare, o dai troppi pensieri della nostra mente, rallentando così l'elaborazione e la memorizzazione di nuovi dati.

Si, una delle dimenticanze più comuni e quella relativa  ai nomi: questi per il nostro cervello sono spesso astratti e poco ricorrenti, il che li rende più difficili da tenere in memoria rispetto ad altre informazioni. Anche altre dimenticanze, come ricordare dove siamo diretti o dove abbiamo parcheggiato l’auto, oppure l’ora di un appuntamento, sono possibili: quando la mente è impegnata in elaborazioni ritenute più importanti, il resto può finire accantonato, facendoci pensare che la nostra mente lo abbia dimenticato.

Amici, ciascuno di noi può aiutare la propria mente a svolgere il suo lavoro al meglio, cercando di non crearle troppo sovraccarico. Evitiamo, nei limiti del possibile, di accumulare stress e stanchezza, in quanto si riducono le funzioni cognitive, tra cui l'attenzione e la memoria. Lo stress cronico può portare a uno stato di "nebbia mentale" che peggiora la capacità di ricordare i dettagli quotidiani. Un aiuto alla nostra memoria lo possiamo dare se ci concentriamo attivamente su ciò che stiamo facendo o dicendo. Per evitare il sovraccarico, quando è possibile, riduciamo le distrazioni e cerchiamo di non avere troppi pensieri in testa quando dobbiamo memorizzare qualcosa di importante.

Amici, ecco un breve elenco delle cose che “dimentichiamo” più spesso. Oltre i nomi delle persone ci sono le PASSWORD! Ognuno di noi ha una password importante che di norma riesce a ricordare. Tuttavia, quando il sito ci chiede di aggiungere una lettera maiuscola, un numero e qualche carattere speciale, tutto inizia ad andare storto. A quel punto dobbiamo rispondere a una domanda memorabile, e probabilmente non riusciamo a ricordare nemmeno quella!

Un ultimo esempio. Quando usciamo di casa a fare la spesa, abbiamo in mente un bell’elenco di cose da comprare. Una volta al supermercato, di quell’elenco resta poco o niente e si torma a casa con un sacco di cose di cui non si aveva bisogno, e solo aprendo il frigorifero o la dispensa ci si rende conto di non aver preso ciò che realmente ci serviva! Un’altra dimenticanza importante è quella delle medicine da prendere. A tavola, seduti a mangiare spesso ci chiediamo ho preso le medicine?  Spesso non lo ricordiamo!

Cari amici, potrei citare molte altre cose che spesso “dimentichiamo”, ma l’elenco diventerebbe troppo lungo e Voi lettori Vi annoiereste alla grande! Non ricordare queste cose non troppo importanti non è un danno così grave, ma se aiutiamo il nostro cervello anche questo elenco si ridurrebbe!

A domani.

Mario