Oristano 31 marzo 2019
Cari amici,
Il post che chiude le mie riflessioni di marzo credo che evidenzi tutta la preoccupazione che serpeggia nel nostro Paese. L'illusione, come ben sappiamo dura pochissimo, proprio un attimo, e in economia, poi, anche di meno. Se gli inizi di questo mese di marzo a livello metereologico sembravano già entrati nella primavera, è bastato poco per tornare alle gelate invernali. Credo che, economicamente parlando, dopo i primi sprazzi di speranza, allo stesso modo siamo ripiombati nella precedente, triste situazione di precarietà. In realtà ad illuderci era
stato in primo luogo lo stabilizzarsi dello spread, in particolare dopo la seduta del 6 marzo quando i
mercati finanziari in chiusura registrarono un livello di spread tornato ai
livelli del settembre precedente, con la soddisfazione di una bella calmata anche sui tassi dei titoli a
2 anni, quelli maggiormente oggetto di speculazione.
In realtà la tranquillità
dei mercati era dovuta al fatto che Mario Draghi aveva annunciato che la BCE avrebbe
continuato a sostenere l’economia dell’Eurozona, allargando nuovamente i
cordono della borsa. La BCE aveva annunciato
che avrebbe ripreso a finanziare le banche bisognose di liquidità e avrebbe mantenuto
i tassi invariati almeno fino al 2020. Sicuramente una bella boccata d’ossigeno
per le banche di molti Paesi, che però, a differenza dell’Italia, nuotano in
acque meno agitate. Un salvagente, quello lanciato da Draghi, necessario per
tenere a galla economie in stato precario, ma non troppo appesantite, come invece la
nostra, gravata da un debito pubblico esagerato.
A leggere le previsioni
economiche di casa nostra per l’anno in corso, la prevista crescita dell’1,5
per cento del PIL ipotizzata dal governo a settembre, non solo salirà di
quella percentuale ma nemmeno della metà (Bankitalia pronosticava lo 0,6 a
gennaio); crescerà addirittura meno di quanto ipotizzato dalla Commissione
europea, che calcolava a febbraio solo uno 0,2 per cento. L’ipotesi che sta
diventando realtà purtroppo è ben altra: un’Italia ormai in recessione (inutile dire tecnica) non solo
resterà a crescita zero ma vedrà il PIL diminuire dello 0,2 per cento!
Una situazione, la
nostra, davvero ingarbugliata, che vede in difficoltà non solo il nostro Paese
ma diversi altri dell’Unione. Come sostiene l’OCSE nelle sue previsioni, le prospettive
di crescita economica dell’intera Eurozona sono in forte frenata, con un
possibile attestarsi ad una crescita dell’1,1 per cento per quest’anno,
rispetto all’1,7 per cento calcolato solo tre mesi fa. A contribuire a questo
forte rallentamento hanno contribuito sicuramente diversi fattori, tra cui la Brexit
e il confronto- scontro Usa-Cina.
L’eurozona e l’Italia
pagano oggi le decisioni precedentemente ipotizzate dai governi, che calcolavano soprattutto uno
sviluppo basato prevalentemente sulle esportazioni, diventando di fatto, in tale
modo, etero-dipendenti dalle economie extraeuropee. A questo punto, considerato
il rallentamento in particolare del colosso asiatico, secondo i calcoli della
BCE, la domanda estera di prodotti dell’eurozona aumenterà nel 2019 solo del
2,2 per cento e non del 3,1 per cento come previsto solo pochi mesi fa.
Il rallentamento
italiano, dunque, come hanno sottolineato sia l’OCSE che Mario Draghi, è frutto
di fattori misti, esterni ma anche interni, tra cui appunto la recessione sui
consumi di casa nostra. A chi si chiede il perché della frenata della domanda
interna, si può certamente rispondere con buona sicurezza che questo è derivato
in buona parte dall’incertezza politica che grava sul Paese, che ha di fatto
determinato una paralisi di consumi ed investimenti. Quest’incertezza potrebbe
essere superata solo ridando subito fiducia a produttori e consumatori, dando
un'accelerata agli investimenti e alle riforme strutturali, in particolare in chiave
di liberalizzazione e deregolamentazione.
Le parole purtroppo non
bastano a tranquillizzare produttori e consumatori, ci vogliono i fatti: come è successo per esempio sulle
deregolamentazioni, a partire dalla vicenda delle aperture domenicali dei
negozi. La coalizione gialloverde al governo, invece, ha scelto di puntare sui
consumi, cercando di stimolare la domanda delle famiglie con la concessione del
reddito di cittadinanza. La misura, però, a detta degli economisti, non
riuscirà a spingere il Pil neanche di uno 0,2 per cento, effetto, tra l’altro,
almeno in parte annullato dalla “Quota 100”, in quanto chi va in pensione avrà
meno possibilità di spendere, data la riduzione dell’introito mensile.
E non è tutto, amici. La
recessione in atto rischia di rimettere in discussione il disavanzo concordato
con Bruxelles al 2 per cento del Pil nel 2019. Le previsioni, infatti erano che
lo sviluppo economico (e, in particolare, delle entrate fiscali) sarebbe stato almeno
dell’1 per cento. Che fare ora che le previsioni sono per un meno 0,2 per cento
come pronosticato dall’Ocse? Non solo c’è il pericolo di andare oltre quel 2,4
per cento già negato, ma corriamo il rischio di superare quel tetto
invalicabile del 3 per cento!
Sarà certamente
necessaria una nuova manovra (anche se si cerca di negarla), che
dovrebbe essere vicina ai dieci miliardi di euro, per riportare il disavanzo al
2 per cento come inizialmente previsto. Ma un intervento di questa portata
riproporrebbe il paradosso dell’austerità, già visto in questi anni. Bruxelles
chiede all’Italia di tamponare deficit e disavanzo, perché teme un contagio sui
mercati finanziari e conseguenti problemi per l’euro. Ma una manovra all’insegna di tagli e
tasse aggraverebbe la recessione e, dunque, anche il bilancio dello Stato.
Che fare allora? Credo che l’Italia sia in
un ‘cul de sac’ dal quale non sarà
facile uscire, se pensiamo che ormai è già partito e sarà presto operativo il
reddito di cittadinanza e i prepensionamenti derivanti da quota 100. E non è tutto.
A questo, poi, ci sarebbe anche da aggiungere anche la “Flat Tax”, che a quanto si dice potrebbe addirittura costare 50 miliardi di euro. Dove potremo mai trovare tutti questi soldi? Sara forse una tremenda, pesante patrimoniale a provare a risolvere il problema? A breve ne sapremo certamente di più, anche perché entro il 10 Aprile, sei settimane prima delle elezioni europee, dovrebbe essere varato il Documento di economia e finanza con cui il Ministero del Tesoro mette nero su bianco la strategia per il 2020, e in queste condizioni viene difficile capire come farà a far quadrare il bilancio.
A questo, poi, ci sarebbe anche da aggiungere anche la “Flat Tax”, che a quanto si dice potrebbe addirittura costare 50 miliardi di euro. Dove potremo mai trovare tutti questi soldi? Sara forse una tremenda, pesante patrimoniale a provare a risolvere il problema? A breve ne sapremo certamente di più, anche perché entro il 10 Aprile, sei settimane prima delle elezioni europee, dovrebbe essere varato il Documento di economia e finanza con cui il Ministero del Tesoro mette nero su bianco la strategia per il 2020, e in queste condizioni viene difficile capire come farà a far quadrare il bilancio.
Cari amici, credo che in
tanti si siano già posti la domanda: Sopravviverà l’attuale governo al “dopo
elezioni europee”? È un passaggio difficilissimo quello che attende il governo
in carica, ma anche noi poveri cittadini che con grande difficoltà cuciamo un mese
con l’altro, ed è perciò che siamo seriamente preoccupati. Le quotidiane schermaglie delle
due diverse forze che ci governano, le convulsioni a cui stiamo assistendo in
queste ore, a partire dalla TAV per finire alla Flat Tax, potrebbero essere
solo una pallida anticipazione di quello che ci aspetta nei prossimi mesi.
A domani.
Mario
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