Oristano
6 Febbraio 2019
Cari amici,
Oggi voglio calamitare la
Vostra attenzione sugli antichi “PORTALI”, quei monumenti presenti ai bordi
delle strade dell’Oristanese, simboli dell’antica borghesia agraria che con
essi esibiva il proprio stato sociale. Portali che oggi mostrano un pietoso
stato di degrado nella più totale indifferenza, in quanto nessuno si occupa di loro, ipotizzando di fare qualcosa
per cercare di salvarli; indubbiamente, senza un minimo di manutenzione, essi
scompariranno, lasciando alle generazioni future solo il ricordo.
Eppure sono
quotidianamente sotto gli occhi di tutti.
Alcuni, quelli posti all’uscita di Oristano, dirimpetto alla statale 292 verso
Massama, corrono addirittura il rischio di crollo, per i pesanti lavori in atto
per l’allargamento della sede stradale, altri sparsi per le campagne appaiono
come vecchi, laceri mendicanti in attesa della morte.
Questi monumenti, che
rappresentano un’epoca storica, non è giusto che scompaiano senza lasciare
traccia! Il nostro passato non può e non deve essere cancellato
impunemente, a prescindere dal periodo che rappresenta, buono o cattivo che
possa essere stato! In realtà Oristano non è mai stata rispettosa nemmeno delle testimonianze del suo
glorioso periodo giudicale, considerato che fino ai primi del Novecento ha consentito la demolizione
di buona parte dei manufatti dell'epoca (l’ultimo di gran pregio “Porta
a mari”), senza fare nemmeno ammenda. Errori increbili, che oggi ci penalizzano non poco e che consiglierebbero di non procedere ulteriormente su questa strada. Eppure, venendo ai portali, credo che tutto
sommato si stia continuando ad operare in modo simile, visto il degrado che i nostri “Portali” presentano e che mettono in pericolo la loro
precaria esistenza.
Simboli, come detto, dell’opulenza
della borghesia agraria dei secoli scorsi, che
immettevano soprattutto nelle grandi tenute agricole del Campidano di Oristano, di Cabras e
di Milis, questi ingressi monumentali, muniti di robusto cancello, servivano a delimitare e proteggere le vaste proprietà,
impedendo da un lato l’accesso agli estranei e allo stesso tempo erano anche in grado di esibire l'elevato status sociale del proprietario. Proprietà vaste e produttive che, gestite dalla numerosa servitù erano
curate a dovere, con larghi viali alberati che partendo dal cancello
raggiungevano l’ampia dimora del fattore.
All'interno era un continuo via vai
produttivo, effettuato dai vari servitori, “tzaracus” che coltivavano olivi e viti,
orti e alberi da frutto, i cui prodotti con carri e carretti raggiungevano poi la
signorile casa padronale posta, a differenza di altre regioni italiane, non
all'interno della proprietà ma nel centro abitato di residenza. La famiglia proprietaria, infatti, pur
recandosi abitualmente alla tenuta non vi dimorava, in quanto preferiva vivere nella sontuosa abitazione cittadina.
Ora questi simboli, una volta segno di eleganza e raffinatezza, carichi di anni e di ricordi, dopo quasi quattro
secoli rischiano di scomparire, diventare solo un ricordo (magari fotografico) che potrà riempire tuttalpiù qualche
libro di storia.
Il tempo, cari amici, cambia
costantemente la vita e le abitudini dell'uomo. Col tramontare della civiltà contadina questi
ingressi monumentali non rivestono più la funzione originaria di mostrare la
potenza di alcune famiglie, quelle artefici della rivoluzione agricola
nata negli ultimi tempi della dominazione spagnola in Sardegna e
perfezionatasi con l’arrivo dei Savoia nell’Isola.
Con l'arrivo dei Savoia la Sardegna cercò
di uscire definitivamente da un’economia arcaica per entrare in una più
industrializzata, con l’impianto di oliveti, vigneti, agrumeti e quant’altro.
Fu la nota legge piemontese delle chiudende a dare un’ulteriore, grande mano ai già ricchi proprietari
terrieri, che riuscirono con questa legge ad ingrandire ulteriormente i loro possedimenti.
Fu una vera “corsa alla
terra”, quella che tra il 1600 e il 1800 rivoluzionò l'Isola e che passò alla storia come la legge "dell'afferra, afferra". Nell'Oristanese fu messa in atto dagli esponenti della nobiltà sarda, dalla borghesia e dagli Ordini ecclesiastici presenti (in particolare Carmelitani e Scolopi), allora
ricchi e potenti. Solo queste categorie, infatti, potevano permettersi il lusso di
pagare le numerose maestranze necessarie per recintare prima e “migliorare” poi, la terra acquisita e farla diventare
produttiva, in modo così da poterne diventare proprietari, come la legge delle
chiudende consentiva.
Il possesso di questi grandi appezzamenti, creati con l'accorpamento di vaste proprietà, fece
nascere nella “nuova borghesia” anche il bisogno di esibire questo nuovo
status sociale. Ecco allora la costruzione dei sontuosi “Portali”, a
simboleggiare la potenza della famiglia e il nuovo alto rango sociale acquisito,
che andava esibito, mostrato, rivaleggiando e gareggiando anche “tra pari”, per cercare di primeggiare, di risultare possibilmente
ancora più in vista!
Il portale, dunque, esteriore
dimostrazione di grandezza, che scatenò anche confronti e sfide serrate tra le ricche famiglie;
una gara a chi costruiva il portale più vistoso, più bello. Oggi ne possiamo
ancora ammirare, fra quelli rimasti in piedi, almeno una quindicina, sorti
nell’arco di circa tre secoli. I più numerosi sono ubicati nelle fertili
pianure a ridosso di Oristano, in maggior numero a Donigala, poi a
Nuraxinieddu, Silì, Cabras San Vero Milis e Milis.
Sarebbe davvero un
peccato gettare alle ortiche queste testimonianze storiche, che rappresentano
anche diverse, preziose esperienze architettoniche portate avanti da validi architetti,
tra cui anche il famoso Giuseppe Viana.
Gli stili che possiamo rilevare in questi portali sono diversi: essi
vanno dal Barocco, al neoclassico, dal neo-romanico al neo-gotico. Il più
maestoso è sicuramente quello di Vitu Sottu; si trova a Donigala nella tenuta
della famiglia Manni. È considerato ‘particolare’: non solo perché è alto più
di otto metri, ma perché appare imponente, in grado quasi di incutere timore e
riverenza; ancora oggi, in chi lo guarda prima di addentrarsi all’interno della proprietà,
sembra quasi ammonire con la sua grandezza: un solido guardiano posto in passato a scoraggiare gli eventuali ladri intenzionati ad entrare furtivamente all’interno della proprietà.
Tra gli altri portali, fra i più
interessanti troviamo quello di ‘Donna Annetta’ a Cabras (uno dei pochi restaurati), che risulta ormai inglobato
nell’agglomerato urbano, mentre la gran parte degli altri sono rimasti
all’esterno delle zone urbanizzate, negletti e trascurati. Quelli attualmente più in pericolo
sono i due che si affacciano sulla statale 292, che, a seguito dei lavori in
corso per l’allargamento della strada, sono costantemente sfiorati dai mezzi in
transito e rischiano più degli altri di scomparire per cedimenti o magari per un banale
incidente d’auto.
Cari amici, personalmente
credo che siamo ancora in tempo per intervenire, per evitare che altri tasselli del nostro
passato, seppure piccoli, vadano perduti, scomparendo nella più totale
indifferenza. Perché continuare a dimenticare il passato disinteressandosi dei
monumenti testimoni di un’epoca che, comunque, è giusto che vada portata a conoscenza delle
generazioni future? Io credo che si possa e si debba intervenire! Ma è necessario fare presto, anche sollecitando
una raccolta di firme, una petizione; magari cercando di coinvolgere con un
unico progetto tutti i comuni interessati, perché questi portali possano continuare a vivere, ricordando alle nuove generazioni un passato storico che essi è
giusto e doveroso che conoscano.
A domani.
Mario
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