mercoledì, febbraio 06, 2019

IL TRISTE ABBANDONO DEI PORTALI DELL’ORISTANESE. SAREBBE UN PECCATO PERDERE QUESTI TESTIMONI DEI FASTI DELLA BORGHESIA AGRARIA DEI SECOLI SCORSI.


Oristano 6 Febbraio 2019
Cari amici,
Oggi voglio calamitare la Vostra attenzione sugli antichi “PORTALI”, quei monumenti presenti ai bordi delle strade dell’Oristanese, simboli dell’antica borghesia agraria che con essi esibiva il proprio stato sociale. Portali che oggi mostrano un pietoso stato di degrado nella più totale indifferenza, in quanto nessuno si occupa di loro, ipotizzando di fare qualcosa per cercare di salvarli; indubbiamente, senza un minimo di manutenzione, essi scompariranno, lasciando alle generazioni future solo il ricordo.
Eppure sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.  Alcuni, quelli posti all’uscita di Oristano, dirimpetto alla statale 292 verso Massama, corrono addirittura il rischio di crollo, per i pesanti lavori in atto per l’allargamento della sede stradale, altri sparsi per le campagne appaiono come vecchi, laceri mendicanti in attesa della morte.
Questi monumenti, che rappresentano un’epoca storica, non è giusto che scompaiano senza lasciare traccia! Il nostro passato non può e non deve essere cancellato impunemente, a prescindere dal periodo che rappresenta, buono o cattivo che possa essere stato! In realtà Oristano non è mai stata rispettosa nemmeno delle testimonianze del suo glorioso periodo giudicale, considerato che fino ai primi del Novecento ha consentito la demolizione di buona parte dei manufatti dell'epoca (l’ultimo di gran pregio “Porta a mari”), senza fare nemmeno ammenda. Errori increbili, che oggi ci penalizzano non poco e che consiglierebbero di non procedere ulteriormente su questa strada. Eppure, venendo ai portali, credo che tutto sommato si stia continuando ad operare in modo simile, visto il degrado che i nostri “Portali” presentano e che mettono in pericolo la loro precaria esistenza.
Simboli, come detto, dell’opulenza della borghesia agraria dei secoli scorsi, che immettevano soprattutto nelle grandi tenute agricole del Campidano di Oristano, di Cabras e di Milis, questi ingressi monumentali, muniti di robusto cancello, servivano a delimitare e proteggere le vaste proprietà, impedendo da un lato l’accesso agli estranei e allo stesso tempo erano anche in grado di esibire l'elevato status sociale del proprietario. Proprietà vaste e produttive che, gestite dalla numerosa servitù erano curate a dovere, con larghi viali alberati che partendo dal cancello raggiungevano l’ampia dimora del fattore.
All'interno era un continuo via vai produttivo, effettuato dai vari servitori, “tzaracus” che coltivavano olivi e viti, orti e alberi da frutto, i cui prodotti con carri e carretti raggiungevano poi la signorile casa padronale posta, a differenza di altre regioni italiane, non all'interno della proprietà ma nel centro abitato di residenza. La famiglia proprietaria, infatti, pur recandosi abitualmente alla tenuta non vi dimorava, in quanto preferiva vivere nella sontuosa abitazione cittadina. Ora questi simboli, una volta segno di eleganza e raffinatezza, carichi di anni e di ricordi, dopo quasi quattro secoli rischiano di scomparire, diventare solo un ricordo (magari fotografico) che potrà riempire tuttalpiù qualche libro di storia.
Il tempo, cari amici, cambia costantemente la vita e le abitudini dell'uomo. Col tramontare della civiltà contadina questi ingressi monumentali non rivestono più la funzione originaria di mostrare la potenza di alcune famiglie, quelle artefici della rivoluzione agricola nata negli ultimi tempi della dominazione spagnola in Sardegna e perfezionatasi con l’arrivo dei Savoia nell’Isola. 
Con l'arrivo dei Savoia la Sardegna cercò di uscire definitivamente da un’economia arcaica per entrare in una più industrializzata, con l’impianto di oliveti, vigneti, agrumeti e quant’altro. Fu la nota legge piemontese delle chiudende a dare un’ulteriore, grande mano ai già ricchi proprietari terrieri, che riuscirono con questa legge ad ingrandire ulteriormente i loro possedimenti.
Fu una vera “corsa alla terra”, quella che tra il 1600 e il 1800 rivoluzionò l'Isola e che passò alla storia come la legge "dell'afferra, afferra". Nell'Oristanese fu messa in atto dagli esponenti della nobiltà sarda, dalla borghesia e dagli Ordini ecclesiastici presenti (in particolare Carmelitani e Scolopi), allora ricchi e potenti. Solo queste categorie, infatti, potevano permettersi il lusso di pagare le numerose maestranze necessarie per recintare prima  e “migliorare” poi, la terra acquisita e farla diventare produttiva, in modo così da poterne diventare proprietari, come la legge delle chiudende consentiva.
Il possesso di questi grandi appezzamenti, creati con l'accorpamento di vaste proprietà, fece nascere nella “nuova borghesia” anche il bisogno di esibire questo nuovo status sociale. Ecco allora la costruzione dei sontuosi “Portali”, a simboleggiare la potenza della famiglia e il nuovo alto rango sociale acquisito, che andava esibito, mostrato, rivaleggiando e gareggiando anche “tra pari”, per cercare di primeggiare, di risultare possibilmente ancora più in vista!
Il portale, dunque, esteriore dimostrazione di grandezza, che scatenò anche confronti e sfide serrate tra le ricche famiglie; una gara a chi costruiva il portale più vistoso, più bello. Oggi ne possiamo ancora ammirare, fra quelli rimasti in piedi, almeno una quindicina, sorti nell’arco di circa tre secoli. I più numerosi sono ubicati nelle fertili pianure a ridosso di Oristano, in maggior numero a Donigala, poi a Nuraxinieddu, Silì, Cabras San Vero Milis e Milis.
Sarebbe davvero un peccato gettare alle ortiche queste testimonianze storiche, che rappresentano anche diverse, preziose esperienze architettoniche portate avanti da validi architetti, tra cui anche il famoso Giuseppe Viana.  Gli stili che possiamo rilevare in questi portali sono diversi: essi vanno dal Barocco, al neoclassico, dal neo-romanico al neo-gotico. Il più maestoso è sicuramente quello di Vitu Sottu; si trova a Donigala nella tenuta della famiglia Manni. È considerato ‘particolare’: non solo perché è alto più di otto metri, ma perché appare imponente, in grado quasi di incutere timore e riverenza; ancora oggi, in chi lo guarda prima di addentrarsi all’interno della proprietà, sembra quasi ammonire con la sua grandezza: un solido guardiano posto in passato a scoraggiare gli eventuali ladri intenzionati ad entrare furtivamente all’interno della proprietà.
Tra gli altri portali, fra i più interessanti troviamo quello di ‘Donna Annetta’ a Cabras (uno dei pochi restaurati), che risulta ormai inglobato nell’agglomerato urbano, mentre la gran parte degli altri sono rimasti all’esterno delle zone urbanizzate, negletti e trascurati. Quelli attualmente più in pericolo sono i due che si affacciano sulla statale 292, che, a seguito dei lavori in corso per l’allargamento della strada, sono costantemente sfiorati dai mezzi in transito e rischiano più degli altri di scomparire per cedimenti o magari per un banale incidente d’auto.
Cari amici, personalmente credo che siamo ancora in tempo per intervenire, per evitare che altri tasselli del nostro passato, seppure piccoli, vadano perduti, scomparendo nella più totale indifferenza. Perché continuare a dimenticare il passato disinteressandosi dei monumenti testimoni di un’epoca che, comunque, è giusto che vada portata a conoscenza delle generazioni future? Io credo che si possa e si debba intervenire! Ma è necessario fare presto, anche sollecitando una raccolta di firme, una petizione; magari cercando di coinvolgere con un unico progetto tutti i comuni interessati, perché questi portali possano continuare a vivere, ricordando alle nuove generazioni un passato storico che essi è giusto e doveroso che conoscano.
A domani.
Mario

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