Oristano
21 Dicembre 2017
Cari amici,
Nella quinta edizione del
concorso Babel Film Festival, recentemente
svoltosi a Cagliari, non si è parlato solo di grande cinema (la sezione
ufficiale del Festival era riservata ai film espressi nel gergo delle “lingue
minori”, quelle locali, parlate nelle diverse zone delle nazioni europee), ma
il discorso si è allargato anche alla “cultura delle lingue minoritarie” in
genere. Lingue minori che al momento appaiono abbastanza trascurate non solo
nella nostra Itala ma in tutta l’Europa. Il convegno tenutosi a Cagliari dal 4
al 9 Dicembre, ha avuto modo di mettere in luce proprio quanto risultino
trascurate in tutto il Continente Europeo queste “lingue secondarie”, considerate inutili, ma che
comunque risultano parlate da oltre 50 milioni di cittadini europei.
Nella mia riflessione di oggi, però, non voglio parlarvi del successo avuto dai film partecipanti al concorso (73 opere interessanti, di cui 64 in concorso e 9 fuori concorso), seppure importante. “Alla
prima edizione, portata a Cagliari nel 2010, avevamo 64 richieste di
partecipazione, oggi sono 180 – ha spiegato Antonello Zanda, direttore
della Cineteca sarda e direttore artistico del Festival insieme a Tore Cubeddu
e Paolo Carboni – i numeri di Babel sono in costante crescita”. Qui voglio
riflettere con Voi su quanto è avvenuto diciamo “dietro le quinte" del film
festival.
L’incontro di Cagliari, infatti,
non ha riservato attenzione solo al cinema, ma anche alla musica e alle lingue trascurate, con una serie di convegni e dibattiti, orientati sempre
sul tema delle culture trascurate o ignorate. Filo conduttore del convegno “The future of
minority languages”. Mass media and performing arts”, ovvero, in sintesi, il futuro delle
lingue minoritarie.
Un convegno, insomma, che ha voluto avviare una seria riflessione sullo stato attuale delle lingue regionali. Si è preso anche atto che questi ‘linguaggi minori’ sono parlati da oltre 50 milioni di cittadini della vecchia Europa, cosa certo di non poco conto! Queste "lingue tagliate", però, ora possono, con l’avvento delle nuove tecnologie, non solo mantenersi in vita, ma avere addirittura più spazio, rispetto ad un passato fatto solo di negazioni e divieti.
Un convegno, insomma, che ha voluto avviare una seria riflessione sullo stato attuale delle lingue regionali. Si è preso anche atto che questi ‘linguaggi minori’ sono parlati da oltre 50 milioni di cittadini della vecchia Europa, cosa certo di non poco conto! Queste "lingue tagliate", però, ora possono, con l’avvento delle nuove tecnologie, non solo mantenersi in vita, ma avere addirittura più spazio, rispetto ad un passato fatto solo di negazioni e divieti.
Grazie alla
collaborazione fornita dall’ELEN (European Language Equality Network), i
dibattiti su queste lingue hanno goduto della presenza di accademici, giornalisti,
registi e rappresentanti delle Istituzioni, che, insieme, hanno non solo messo
a fuoco la situazione, ma cercato di trovare una soluzione capace di garantire
protezione ai linguaggi delle piccole Comunità. La ‘questio’, è stato detto,
non può che trovare un riscontro ed un supporto in un’autorità sovranazionale, come è la Comunità
Europea, che dovrà non solo prendere atto della situazione, ma cercare di trovare la giusta
soluzione per la loro protezione.
Le striminzite
protezioni attualmente in essere per queste “lingue neglette” sono: la Carta
europea per le lingue regionali o minoritarie del 1992, la carta europea dei
diritti fondamentali del 2.000 e la Risoluzione del Consiglio sulla diversità
linguistica del 2002, che, comunque, non sono assolutamente sufficienti. Come
scrive il giornalista Luca Mascia (presente al convegno) sull’Unione Sarda, “Ancora
molto deve essere fatto per scongiurare le discriminazioni linguistiche e
sostenere le misure di tutela. Ad esempio una rete delle lingue di tutto il
Vecchio Continente”.
Cari amici, i linguaggi
locali sono qualcosa di molto importante, un segno di forte radicamento
identitario, qualcosa da proteggere, da non abbandonare: sarebbe un delitto
farlo!
Considerata la mia età, ricordo che negli anni 50 del secolo scorso, quando frequentavo le scuole elementari, il regime scolastico di allora vietava in tutti i modi l’uso della lingua sarda, non solo incentivando ma “obbligandoci” a parlare in italiano. Era sicuramente uno dei modi per “tagliare le nostre radici”, per cercare di omologarci ad un popolo che non era il nostro; insomma, un metodo per cancellare dalla nostra mente la conservazione dei nostri valori, partendo dal taglio della lingua!
Considerata la mia età, ricordo che negli anni 50 del secolo scorso, quando frequentavo le scuole elementari, il regime scolastico di allora vietava in tutti i modi l’uso della lingua sarda, non solo incentivando ma “obbligandoci” a parlare in italiano. Era sicuramente uno dei modi per “tagliare le nostre radici”, per cercare di omologarci ad un popolo che non era il nostro; insomma, un metodo per cancellare dalla nostra mente la conservazione dei nostri valori, partendo dal taglio della lingua!
Oggi stiamo provando a
riprenderci, almeno in parte, il nostro patrimonio culturale e identitario; ci
vorrà del tempo, ma dobbiamo essere tutti uniti per farlo: non c’è tempo da
perdere! E lo dobbiamo fare “insieme” agli altri territori, che in Europa
vivono la nostra stessa condizione. Come hanno sostenuto gli organizzatori del
Convegno di Cagliari: “Il tema delle lingue europee minoritarie
mette in gioco la credibilità stessa e il futuro dell’Unione Europea. Le
minoranze linguistiche debbono affrontare la sfida non più in solitudine ma
organizzandosi in rete, dal basso, rivendicando i propri diritti universali in
tutte le sedi, locali, nazionali ed internazionali…”.
Amici, credo che sia
arrivato il momento di abbandonare un passato fatto di sudditanza, per
riprenderci finalmente la nostra identità. Non sarà facile, ma almeno dobbiamo
lottare per provarci.
A domani.
Mario
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