Oristano
17 Dicembre 2017
Cari amici,
Che lo stato di salute
dell’economia di uno Stato si misuri tenendo conto del “tasso di disoccupazione”, ovvero della percentuale dei ‘senza
lavoro’, coloro cioè che non trovano, pur cercandolo, un impiego, credo sia giusto e doveroso; il dato statistico, come risultante, espone chiaramente che una nazione dove la percentuale
di inoccupati risulta molto bassa, ha un'economia forte e sana, e che la popolazione che vi risiede gode di una tranquillità socio economica
di buon livello.
È l’ISTAT, il nostro Ufficio Centrale di Statistica, l’Istituto
delegato a fare queste rilevazioni che monitorano il mercato del lavoro. Le
informazioni sono rilevate attraverso dei parametri che mettono a confronto i
due tassi: quello di occupazione e quello di disoccupazione, percentuali che vengono
calcolate tenendo conto di determinati fattori. Vediamo quali.
Il
tasso di occupazione è ottenuto dal rapporto percentuale
esistente tra gli occupati e la popolazione delle classi di età presenti: dai
15 ai 64 anni. Secondo l’indagine, una persona è definita "occupata" se,
nella settimana di riferimento in cui viene effettuata l'intervista, ha svolto
almeno un’ora di lavoro retribuito, oppure ha svolto almeno 1 ora di lavoro
presso l'azienda di un familiare o ancora è stata assente dal lavoro (ad
esempio per ferie, malattia, cassa integrazione), ma ha mantenuto il posto di
lavoro.
Il
tasso di disoccupazione è ottenuto, invece, come rapporto
percentuale tra la popolazione di 15 anni e più in cerca di occupazione e le forze di lavoro presenti. Una persona
è considerata "in cerca di occupazione" se rispetta due criteri: ha effettuato
almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle 4 settimane precedenti
l’intervista ed è disponibile a lavorare nelle due settimane successive all'intervista.
Se questi due criteri non sono soddisfatti la persona è considerata
"inattiva". Le forze di lavoro sono date dalla somma degli occupati e
delle persone in cerca di occupazione.
Detto questo, le
statistiche che vengono pubblicate tengono conto esclusivamente di questi due parametri,
che però risultano non esaustivi, in quanto non rispecchiano in pieno la reale
situazione. In che senso, direte Voi? Qual'è la cosa importante che sfugge al calcolo per poter evidenziare le reale
situazione di disoccupazione? Il dato importante che viene ignorato è quello dei molti inattivi prima menzionati, che risultano “invisibili” alle statistiche ufficiali
prese in esame sul mercato del lavoro. Si, amici, la statistica ufficiale IGNORA, non prende in considerazione, gli inoccupati che hanno rinunciato a cercare
un lavoro, che non sono pochi (sono meglio definiti NEET, acronimo inglese di "not (engaged) in education, employment or training", che, detto in italiano, indica le persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione), fornendo statisticamente in questo modo un
quadro della realtà migliore di quanto effettivamente sia!
L’amara realtà è che,
giorno dopo giorno, lo scoraggiamento di chi ha bussato invano a mille porte, si
trasforma in depressione e spinge l'individuo alla rinuncia: ci si lascia andare senza
più voglia di combattere. Ci si arrende, insomma! In questo modo, le persone da
lungo tempo disoccupate, psicologicamente esauste e scoraggiate, sono portate a
rinunciare alla ricerca. In questo modo spariscono dalle statistiche ufficiali
e diventano "invisibili". Invisibilità che di conseguenza porta a
calcoli errati: questi "fantasmi" non vengono presi in considerazione nemmeno nel calcolo globale della
percentuale di disoccupazione!
Il problema risulta abbastanza grave, ed
è generalizzato in molte nazioni, tanto che alcuni economisti americani stanno effettuando
degli studi appositi sul fenomeno; i più recenti hanno rilevato che negli USA esistono
milioni di inattivi che risultano “invisibili” alle statistiche ufficiali sul
mercato del lavoro. Nei soli Stati Uniti sarebbero almeno 10 milioni. E secondo
gli stessi studiosi in Italia il problema sarebbe ancora più grave.
L’analisi fatta dagli
esperti americani ha messo in luce che a fronte dei dati ufficiali, che
attribuiscono all’economia Usa un tasso di disoccupazione del 4,1 per cento,
con circa 6,5 milioni di disoccupati, non è veritiero; in realtà i dati
ufficiali non tengono conto di altri 7 milioni di adulti inattivi, con una età
compresa tra i 25 e 35 anni, che diventano 10 milioni se si estende la fascia
di età fino ai 54 anni. Mica roba di poco conto!
La risultante è un
quadro della situazione degli inoccupati ben diverso dal dato diffuso dal
Bureau of Labor Statistics! Al danno statistico, poi, si aggiunge ulteriore danno reale. Questi “invisibili”
costituiscono una seria e concreta emergenza sociale nascosta. L’economista Angus
Deaton ha affermato che tra gli inattivi è altissima la percentuale di coloro
che finiscono con l’abusare di alcol, droga e psicofarmaci. Anche i tassi di
suicidio risultato nettamente superiori alla media. Una vera e propria
emergenza sociale che rimane lontana dagli occhi dei media in quanto “simbolo
della crisi del sogno americano”. E Noi italiani, credo, che siamo attraversati
dagli stessi mali!
A sentire certe voci, in
Italia i problemi sarebbero addirittura maggiori rispetto agli USA. Secondi gli
economisti Nicholas Eberstadt e Alan
Krueger, fuori dall’America ci sarebbe una nazione con problemi ancora maggiori
di quelli americani e, purtroppo per noi, sarebbe l’Italia. Fuori dai dati
ufficiali dell’Istat, che danno la disoccupazione ufficiale all'11,1%, ci
sarebbe un esercito di adulti inattivi che vive di espedienti o di aiuti
familiari e che da tempo ha rinunciato a cercare un lavoro.
Cari amici, la
situazione a quanto pare sarebbe più triste delle sttistiche ufficiali e le soluzioni migliorative, purtroppo, non appaiono a portata
di mano. Addirittura, secondo gli studiosi, questi dati sono destinati a
peggiorare negli anni a venire a causa della crescente robotizzazione del
mercato del lavoro, che espellerà dal mercato altre consistenti cifre di
lavoratori.
Che fare dunque? Gli studiosi sono concordi nel dire che da questo
grande dramma si potrà uscire solo superando gli attuali modelli di
organizzazione del lavoro e di stato sociale (ancorati alle logiche del mercato
del XX secolo), adeguandoli alle nuove condizioni economiche e tecnologiche del
secolo in corso, primo del Terzo Millennio.
C'è da aver paura, perchè sarà certamente una riforma ineluttabile
e forse alquanto dirompente! Personalmente penso che potrebbe essere non solo uguale ma addirittura peggiore, di
quella epocale avvenuta agli inizi del XX secolo con la nascita del “fordismo”.
Nessuno di noi ha la "sfera di cristallo" (credo sia abbastanza difficile fare delle serie previsioni), ma, credetemi, il futuro non appare proprio roseo...
Nessuno di noi ha la "sfera di cristallo" (credo sia abbastanza difficile fare delle serie previsioni), ma, credetemi, il futuro non appare proprio roseo...
A domani.
Mario
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