domenica, luglio 06, 2014

SOFFRIRE DI SOLITUDINE: ESSERE IMMERSI NELLA FOLLA, STARE TRA LA GENTE E SENTIRSI TREMENDAMENTE SOLI…



Oristano 6 Luglio 2014
Cari amici,
sempre più spesso l’uomo è un vero e proprio paradosso! 
Già nel secolo scorso, ma in particolare  in questo che stiamo vivendo, siamo sempre di più strettamente in contatto con gli altri: col telefonino incollato all’orecchio, attraverso il computer o lo smartphone, in perenne collegamento con gli amici di facebook o di twitter, eppure ci sentiamo soli. Ovunque ci troviamo, insomma, possiamo raggiungere chi vogliamo in qualsiasi del mondo in pochissimo tempo, eppure viviamo in preda alla solitudine! Un dato di fatto incredibile e difficilmente spiegabile, se pensiamo che in questo nuovo millennio stringere nuove relazioni amichevoli è di una semplicità estrema: addirittura è possibile farlo con un semplice click sul computer. Nonostante tutto questo, però, soffriamo sempre più marcatamente di solitudine.
Stare tra la gente, tra la folla, e sentirsi tremendamente soli dentro, è purtroppo una triste realtà: è il terribile male della nostra società globalizzata! Società questa apparentemente opulenta, evoluta, prospera, capace di comunicare in un istante con chiunque in qualsiasi parte del mondo attraverso gli strumenti della comunicazione globale, dell’informatica, degli sms e delle chat, solo per citarne alcuni, ma tremendamente sola. Soffrire di solitudine è un processo interiore complesso, spesso conseguenza di un nostro bisogno continuo di "analisi di noi stessi", alla ricerca di “qualcosa che ci manca dentro”. Nella vita quotidiana ci circondiamo di persone, ci riempiamo di impegni e appuntamenti, facciamo il possibile perché possiamo essere sempre insieme ad altre persone, ma tutto questo non basta ad appagarci, a riempire il vuoto che sta dentro di noi.
Ragionando freddamente, cari amici, la “solitudine” di per sé non è una dimensione  in assoluto negativa; sotto certi versi può costituire invece un momento importante  della nostra esistenza, una necessaria “pausa fondamentale” del nostro essere: essa ci consente di guardarci dentro, di analizzarci, di scoprire chi siamo realmente. La solitudine è quella dimensione in cui ritroviamo noi stessi, quel momento, quello spazio in cui ciascuno di noi può, in tutta tranquillità, riflettere e conoscersi meglio dentro. Il grosso problema è che manca in molti di noi quella capacità di “entrare ed uscire” dalla solitudine senza lasciarci dominare da essa, senza esserne fagocitati.
La difficoltà di amministrare con saggezza e capacità solitudine e vita di relazione, ha portato molti di noi a prese di posizione sbagliate. Con l’obiettivo di scacciare la solitudine spesso abbiamo riempito la nostra vita di una enormità di relazioni formali, nella errata convinzione che queste potessero riempire il nostro gran vuoto interiore; questo ha aggravato invece il precedente problema: alla fine ci accorgiamo di essere sempre di più soli tra la gente. Per non soffrire di solitudine avremo dovuto, invece, cercare di apprezzare di più questo modo stare soli, non di scacciarlo; avremo dovuto imparare ad amarla la solitudine e comprenderla: solo così avremo potuto liberamente convivere sia con essa che con gli altri, perché la solitudine non è l’assenza degli altri, ma un miscelare gli altri nella nostra vita, vivendola con loro.
E’ luogo comune sostenere che se una persona non sta bene con sé stessa, difficilmente potrà stare bene con gli altri. A chi non è capitato di stare in mezzo ad una gran folla, con gli amici, conoscenti o familiari e sentirsi estremamente solo? Si finisce spesso per sentirsi soli perché non si è capaci di stare con gli altri. La risultante è che non si può stare bene con gli altri se non si riusciamo a stare bene con noi stessi. Quale la causa di questo persistente “arido deserto interiore”, sviluppatosi nella vita di relazione degli individui, fin dai primi anni del secolo scorso? Nella prima metà del ‘900, in particolare nella società americana, con l’avvento della grande industrializzazione si formarono aggregazioni urbane di milioni di persone. Questo stare insieme forzato creò negli individui di diversa estrazione sociale e provenienza,  un forte bisogno di “conformismo”. Era una nuova necessità, un bisogno manifestato da buona parte dei nuovi individui urbanizzati di cercare, nei vari modi comportamentali, di uniformarsi agli altri, di avere in qualche modo l’approvazione degli altri, per la paura innata di risultare “diversi agli occhi degli altri”, insomma essere considerati à la page.
David Riesman, sociologo, avvocato ed educatore nato in America nel 1909, pubblicò nel 1950 il libro "The Lonely Crowd", in italiano "La Folla Solitaria", che descriveva proprio questo nuovo bisogno di “conformismo”, ovvero il passaggio dell'uomo "moderno" da un modello sociale prima “tradizionale” e poi "autodiretto" ad uno successivo "eterodiretto". Riesman nel libro ha cercato di spiegare il passaggio dall’individualismo al conformismo, esaminando con attenzione le nuove “pulsioni di conformità”, che contagiavano fasce sempre più larghe della popolazione.
 La “Folla solitaria” di David Riesman è una delle opere sociologiche più famose nella storia della sociologia americana. Il suo studio, che ripercorre il tortuoso percorso fatto dal comportamento sociale dell’uomo, passato da quello “diretto dalla tradizione”, a quello “autodiretto”, per arrivare infine a quello “eterodiretto”, guidato proprio dal conformismo a volte esasperato. Nel libro è riepilogato tutto il percorso, a partire dalle origini.
Nelle antiche società, caratterizzate dal prevalere di comportamenti “diretti dalla tradizione”, i figli seguono il sentiero dei genitori: tali società sono immobili e il lavoro è pura fatica senza possibilità di ascesa sociale. La società “diretta dalla tradizione” era tipica del Medioevo. Le successive società “autodirette” emergono invece dal Rinascimento in poi, quando compaiono le prime tecnologie: allora il singolo trova in se stesso la propria bussola e i propri obiettivi. L’uomo “eterodiretto” è invece l’uomo emergente a partire dagli anni ‘40 e ‘50, osservato da Riesman nell’America industrializzata, diventata consumistica e massificata. L’uomo eterodiretto, dice Riesman, cerca l’approvazione degli altri e cerca di essere come gli altri, è un uomo che vive con la paura di non essere accettato.
Cari amici, se mi consentite qui apro una piccola parentesi. Gran parte di Voi sa che sono rotariano da molti anni. Quando Paul Harris fondò il Rotary a Chicago nel 1905 concepì questa associazione proprio per vincere il grande peso della solitudine. Paul era allora un giovane avvocato che iniziava la sua attività forense. In quegli anni dei primi del Novecento Chicago era una città caotica, piena di emigrati provenienti da tutte le parti del mondo. Il trovarsi lontano dalla madrepatria, sentendosi sradicati dai vari Paesi d’origine, creava in Loro un grande vuoto affettivo e relazionale; essi non riuscivano a ricreare gli ambienti che avevano vissuto in precedenza, soffrendo di grande solitudine. Erano questi i primi sintomi di città da “folla solitaria”, dove lo stare insieme, condividere le vivere gioie e dolori della vita era praticamente impossibile. Questo bisogno di annullare, o almeno mitigare, la solitudine interiore dei professionisti dell’epoca, è stata la molla che ha fatto nascere la grande associazione basata sull'amicizia e diffusa in tutto il mondo, che porta il nome di Rotary International e che annovera oggi oltre 1.200 mila soci.
La chiacchierata di oggi, amici miei, che ha cercato di “frugare” all’interno dell’Io di ciascuno di noi, intendeva solo farci riflettere un po’: far in modo che ognuno di noi, esaminando se stesso, possa capire meglio se può ulteriormente mitigare il proprio senso di solitudine.   
La mia convinzione è che se ciascuno di noi non cercherà di riacquistare un piccolo spicchio di “libertà individuale” anche nella vita sociale di relazione, si ritroverà sempre più massificato e solo. Se non cercherà di essere meno egoista e più altruista, cercando di abbandonare l’individualismo esasperato, la solitudine non lo abbandonerà. Proviamo a donare un po’ di noi, partendo da un sorriso, senza pretendere niente in cambio; proviamo a mettere a disposizione dell’altro parte del nostro tempo e delle nostre capacità: ci accorgeremo che quella “folla solitaria” che fino a ieri avevamo ignorato, non ci sarà più sconosciuta, e questo allevierà la nostra solitudine.  Non bastano i social network ad appagare la nostra sete di amicizia, ad annullare la nostra solitudine interiore. Un sorriso, un abbraccio, un gesto di solidarietà, reale non virtuale, potrà davvero rompere quella barriera, quel muro di solitudine, che diventa ogni giorno più spesso!
Cari amici, viviamo di più la nostra vita con gli altri e per gli altri, e indirettamente vivremo meglio e più serenamente con noi stessi.
Grazie dell’attenzione.
Mario

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