Oristano
11 Luglio 2014
Cari amici,
sfido chiunque a
sostenere che nella sua vita non è mai stato invidioso. Chi più chi meno ha
avuto a che fare con questo sentimento che riesce a bruciarci dentro come
nessun altro. L’invidia è un sentimento nato con l’uomo, anche se sicuramente
difficile da gestire, specialmente quando, superando i normali livelli della competizione, diventa
un male patologico e pericoloso.
Definita fin dal lontano passato “uno dei 7
vizi capitali”, l’invidia è un sentimento complesso: da Caino ad Abele, da
Cenerentola a Biancaneve, tante anche nel passato le “storie” e le leggende che
hanno portato alla ribalta questo sentimento, capace di rendere la vita
impossibile sia a chi lo prova che a chi lo subisce.
L'invidia è un
forte sentimento possessivo, che genera grande dolore in chi la prova, ma anche una vera
infinita tristezza, nell’ osservare l’altro che possiede le cose che lui non ha:
dall’aspetto fisico della persona invidiata ai beni materiali da questa
posseduti, dal desiderio di possedere la donna dell’invidiato, all’avere la
fortuna che sembra arridere al fortunato. Una grande tristezza, quella che
pervade l'invidioso, causata da quella che lui reputa una disparità, una
inferiorità, rispetto al soggetto invidiato; differenza che lo porta a provare odio
nei suoi confronti, a usare la maldicenza e la diffamazione per sminuirlo, e a
provare soddisfazione per le disgrazie che gli capitano.
L’invidioso anche iconograficamente
viene raffigurato come un soggetto triste, sofferente, dedito a spiare da
lontano, con il viso accigliato, quel fortunato felice possessore delle cose
che lui non ha e che vorrebbe avere. Egli augura al fortunato tanta sofferenza,
cosa che, invece, come in un contrappasso, colpisce lui.
Dante Alighieri (Purgatorio,
XIV, vv.82-84), a proposito di invidia, cosi definisce questo sentimento: “Fu
il sangue mio d'invidia sì riarso che se veduto avesse uomo farsi lieto, visto
m'avresti di livore sparso”. Invidia, insomma, come rammarico e
risentimento che si prova per la felicità, la prosperità e il benessere altrui,
sia che l'interessato si consideri ingiustamente escluso da tali beni, sia che
già possedendoli, ne pretenda l'esclusivo godimento! Sentimento particolarmente
intenso, dunque, desiderio frustrato per ciò che non si è potuto raggiungere
per difficoltà o ostacoli non facilmente superabili, ma che altri, nello stesso
ambiente o in condizioni apparentemente analoghe, ha ottenuto con manifesto
successo.
La psicologia moderna chiama questo senso di astio, meglio definito come invidia, uno stato d’animo che nasce dall’interazione di due aspetti
fondamentali: il primo per il fatto che “l’altro”, l’invidiato, possiede
dei requisiti che l’invidioso desidererebbe ma non può ottenere; il secondo, che ne è la conseguenza, per
la successiva pulsione interiore di togliere o distruggere ciò che
l’altro possiede. L’invidioso prova dentro di se una sensazione di profonda e
malcelata inquietudine, osservando l’altro (che lui considera più fortunato ma
meno degno), raggiungere mete da lui agognate o acquisisire cose o addirittura onori,
a lui negati. Tanta ostilità nei confronti dell’invidiato, non si manifesta
solo per il possesso di beni strettamente materiali: anzi è maggiormente
oggetto di invidia ciò che non può essere ottenuto col potere o col denaro,
come ad esempio la serenità , il sorriso, la felicità, la semplicità. E’ per
questi motivi che talvolta si arriva perfino a godere delle disgrazie altrui.
Un tipico atteggiamento
della persona invidiosa è lo screditamento di ciò che non si può ottenere, ad
esempio attraverso il disprezzo dell'altro, l’insulto o addirittura la calunnia. Le
ragioni profonde dell’invidia, cari amici, sono molteplici e possono avere radici molto profonde.
Gli
studi hanno messo in luce che le persone particolarmente invidiose hanno
sofferto in età infantile di traumi di non poco conto. La mancanza di affetti, un’infanzia difficile,
scarsa autostima, frustrazione, desideri irrealizzati, sono tutti fattori che
possono aver creato le condizioni favorevoli all'installarsi dell'invidia, addirittura a livelli patologici, ben debordanti dai semplici livelli di una sana competizione con gli altri.
Cari amici, l’invidia è
una brutta bestia! Oggi, in questo terzo millennio arido e tecnologico, essa può essere considerata il vero motore
del mondo (l’amore universale, quel motore che avrebbe dovuto guidare le Comunità umane
purtroppo non si è mai sviluppato), che unito alla conseguente cattiveria, lotta per distruggere anziché costruire, anziché operare
per creare una sana vita comunitaria di relazione e di progresso condiviso. Inoltre, cosa estremamente importante, essere
invidiosi non crea danno solo all'invidiato, ma è particolarmente
stressante anche per chi l’invidia la esercita: essa comporta un grande dispendio
di energie, spese in processi distruttivi, oltre che
tormentare e creare grande infelicità all'invidioso. Nei casi patologici si
sviluppa una vera e propria ossessione, che può portare il soggetto a comportamenti
pericolosi, messi in atto in danno della persona invidiata.
Cari amici, nei
millenni, purtroppo, nulla è cambiato. L’invidia, che fin dalle sue origini ha
avviluppato l’uomo nelle sue spire, continua imperterrita a tenerlo preda dei
suoi malefici. Per Sant'Agostino questo
male era il «peccato diabolico per eccellenza», poiché, come nota San
Basilio, Caino, vittima e discepolo del diavolo, ha fatto sì che «la morte è
entrata nel mondo per invidia del diavolo». Oggi la malevola erba dell’invidia
cresce sempre più rigogliosa; la troviamo indifferentemente in tanti posti
della nostra vita quotidiana: nel nostro condominio, nel nostro posto di
lavoro, nel nostro club, nei vari aspetti della nostra vita sociale. Non
facciamoci fagocitare da essa: utilizziamola come una medicina: solo come spunto per una sana e
rispettosa competizione, e la nostra vita scorrerà più serena, alla faccia
dei tanti invidiosi!
Ciao a tutti.
Mario
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