Oristano
4 Maggio 2014
Cari amici,
le statistiche, come
ben sappiamo sono impietose! Una delle più recenti, elaborata dal CENSIS, ha rilevato che i 10 “Paperoni”
più ricchi d’Italia dispongono di un patrimonio di circa 75
miliardi di euro, pari a quello di quasi 500.mila famiglie operaie messe
insieme. Poca cosa, insomma! Non solo: poco meno di 2.mila italiani "i
meno poveracci, insomma", membri del club mondiale degli ultraricchi,
dispongono di un patrimonio complessivo immenso: si spartiscono "una
torta" molto golosa, da 169 miliardi di euro, senza contare gli immobili. Tradotto,
sempre in termini statistici, significa che lo 0,003% della popolazione
italiana possiede una ricchezza pari a quella del 4,5% del totale. Una vera e
propria indagine sulla disuguaglianza sociale, quella del Censis, che brutalmente
ribadisce il concetto che “i ricchi
diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri”!
Il divario sociale è incredibilmente
in continuo aumento. Oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente è pari
a 5,6 volte quello di un operaio, mentre vent’anni fa era
pari a circa 3 volte. Il patrimonio di un libero professionista è pari a 4,5
volte quello di un operaio (4 volte vent’anni fa). In aumento anche quello di
un imprenditore: è pari a oltre 3 volte quello di un operaio, vent’anni fa era
di 2,9 volte. Sono cifre, davvero, che fanno paura. In
sostanza, dice il Censis, chi più aveva, più ha avuto. Addentriamoci ancora
dentro le statistiche. Rispetto a dodici anni fa, il reddito annuo di una
famiglia di operai è diminuito del 17,9%, quello degli impiegati del 12%, per
gli imprenditori del 3,7%, mentre i redditi dei dirigenti sono aumentati
dell’1,5%. Di conseguenza “la cinghia” si è stretta in modo molto disuguale
(per alcuni proprio per niente): negli scorsi anni della crisi (tra il 2006 e il
2012), i consumi familiari annui degli operai si sono ridotti del 10,5%, quello
degli impiegati del 4,5%, mentre i consumi dei dirigenti hanno registrato solo
un -2,4%. In questa situazione - è l’allarme lanciato dall’istituto guidato da
Giuseppe De Rita - è alto il rischio di un ritorno al conflitto sociale,
piuttosto che alla cultura dell’armonia e dello sviluppo, come presupposto per
un maggiore benessere.
Ora staremo a vedere
l’impatto che potranno avere gli 80 Euro in busta paga, che decorreranno
proprio dal corrente mese di Maggio. Lo vedremo dopo il 27 (il fatidico giorno di paga),
alla
“prima uscita” della busta paga "gonfiata" del bonus Irpef: come
verranno impiegati gli 80 euro al mese dai 10 milioni di italiani che ne
beneficeranno? Dipende, dice il Censis, se il bonus Irpef sarà permanente
oppure una tantum. Nel primo caso, viene stimato un utilizzo pressoché totale del
bonus, destinandolo ad incremento della spesa per i consumi, che in 8 mesi vedrebbe
un aumento superiore a 3,1 miliardi di euro, il 15% in più rispetto al caso in
cui il bonus non venisse confermato come permanente. Senza la garanzia del
mantenimento per il futuro, almeno 5 milioni di beneficiari useranno il bonus
per impieghi diversi dai consumi (risparmieranno, pagheranno debiti, ecc.), sottraendo
ai consumi un ammontare di 3,3 miliardi di euro.
L’impietosa ricerca del
Censis ha evidenziato, insomma, la disintegrazione sociale avvenuta negli
ultimi anni: la scomparsa della classe media, da sempre indice del benessere di
una società. La politica italiana dovrebbe, ora, cercare di porvi rimedio:
operare in direzione di un “ricompattamento
sociale”, mettendo in atto serie politiche che favoriscano appunto la
classe media, la numericamente più consistente, e, soprattutto, quella
maggiormente in grado di segnare un’inversione di tendenza nella contrazione in
atto di spese e consumi. Di troppa austerity si può morire. Lo sanno bene gli
italiani, che ora sono stufi di "tirare la cinghia". E che dire
dell’immensa schiera di giovani che, giorno dopo giorno, sempre più delusi,
nonostante preparazione e cultura, continuano a dipendere dai propri genitori?
A breve ci saranno le
elezioni europee. Credo che dalle urne usciranno grandi sorprese. Mai come ora
l’Unione Europea è stata in così serio pericolo. Forse a causa di una politica
fortemente sbagliata: la mancanza di solidarietà tra nazioni, così come la
troppo fretta nell’ammettere nazioni “non pronte” ad entrare, alla pari, nella
competizione dei mercati molto più evoluti del loro. Anche la troppo fretta
nell’introduzione dell’Euro, che ha devastato e impoverito, in alcuni casi,
l’economia locale, ha accentuato la repulsione verso un’Unione che, almeno in
apparenza, aiuta “i grandi” e continua ad impoverire i “piccoli”.
Se i tanti
elettori, che continuano a vedere un’Europa dominata e diretta dalla Germania,
manderanno a Strasburgo un gran numero di rappresentanti “euroscettici”, pronti
a sfasciare un’Unione che appare più un danno che un guadagno, potrebbe
succedere un terremoto. Sarebbe la fine di un sogno, quel grande sogno di Robert
Schuman, che oltre 60 anni fa aveva concepito e messo in moto: una vera Unione
Europea, grande Stato federale.
Cari amici, quando
l’egoismo allontana la solidarietà, quando la cura del proprio orticello (come
continua a fare la Germania) diventa un problema più importante della cura di
tutto il vasto terreno seminato dagli altri (il resto d’Europa), la situazione
non può durare: lo abbiamo visto anche recentemente nelle elezioni in Francia e
nelle diverse richieste di referendum che sono state avviate per “uscire
dall’Euro” e dall’Unione.
La storia, cari amici,
dimostra che il popolo affamato è capace di tutto: anche di distruggere cose di
cui, poi, si pentirà amaramente.
Grazie a tutti
dell’attenzione.
Mario
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