Oristano
30 Maggio 2014
Cari amici,
oggi per Carloforte è
giornata di gran festa: inizia ufficialmente l’edizione 2014 del “GIROTONNO”,
manifestazione che attrae turisti da ogni dove e che festeggia la pesca di un
pregiatissimo tonno, quello definito “rosso”, il tonno di corsa, il migliore!
Per molti anni questa pesca è stata un grande business per la colonia ligure che
da secoli è presente nell’isola di S. Pietro, da loro colonizzata. Prima di
parlarvi di tonno e dell’economia di questa particolare isola sarda, vediamo
insieme la sua storia.
Carloforte è una “Colonia”
ligure in terra di Sardegna. U Paise,
come i nativi chiamano Carloforte, ha poco meno di 300 anni di storia. Fu
fondata nel 1738 da genovesi provenienti da Tabarka, isolotto della costa
tunisina, dove a metà del XVI secolo una colonia di pescatori provenienti da
Pegli (Liguria) venne autorizzata a pescare il corallo e gestire traffici
commerciali nel Mediterraneo occidentale. Esauriti i banchi di corallo i
pegliesi si trovarono in difficoltà economiche e chiesero al re Carlo Emanuele
III, re di Savoia, di poter colonizzare l’isola di San Pietro, la seconda isola
per grandezza dell’arcipelago sardo-sulcitano. Guidati da Agostino Tagliafico, capo
della colonia, ottenuta l’autorizzazione, si trasferirono nell’Isola di S.
Pietro, fino ad allora disabitata. Estesa circa 50 kmq, “l’isola degli
sparvieri” (Accipitrum Insula), come la definivano i romani, con lo
straordinario lavoro e la tenacia dei liguri, fu lentamente colonizzata: prima venne
messo su un modesto nucleo di abitazioni, e pian piano le case che oggi, a
dispetto della localizzazione sarda, sono molto più simili ai borghi marinari
della Liguria, come Portofino o Lerici. Oggi quest’isola, più ligure che sarda,
è popolata da poco più di seimila abitanti e Carloforte è definito uno dei
borghi più belli d’Italia.
Chi per visitare l’Isola
sale sul traghetto, ascoltando le conversazioni a bordo ne ha un impatto particolare.
Una miscela di parole sarde, con la “esse” rafforzata, unite ad altre in antico
genovese con commistioni di napoletano, danno vita ad un linguaggio particolare,
il tabarkino, il dialetto di Carloforte. La “genovesità” dell’isola di San Pietro è la risultante di anni d’isolamento,
rotto solo in passato dall’andirivieni delle barche; tutto in quest’isola parla
di Liguria: i nomi delle strade, chiamate “carruggi”, la cucina dove il pesto,
insieme al pesce, predomina su tutto, senza dimenticare a fainò (la farinata),
una sorta di focaccia sottile, fatta con la farina di ceci, tipica della
Liguria (la ritroviamo per altre ragioni anche a Sassari) e le gallette,
focacce non lievitate che ben conservate venivano utilizzate dai marinai, che
per giorni lontani da casa non potevano avere il pane. Anche il lungo soggiorno
a Tabarka ha lasciato ricordi arabeggianti, come “u cashcà”, la variante tabarkina del cuscus fatto con verdure e
carne lesse.
Il connubio più
classico, però, parlando di Carloforte, è quello che lega l’isola al tonno.
Tonno d’eccellenza quello pescato, il migliore, quello rosso, il più pregiato.
Le sue tonnare stanziali, quelle che già i fenici disponevano ogni anno al
passaggio dei grandi pesci pelagici, sono ancora attive, anche se oggi si
trovano in seria difficoltà, per il discutibile meccanismo delle quote
assegnate a livello europeo e che limita le catture. Così facendo una
tradizione millenaria rischia di scomparire. Le due società operanti nel
Sulcis, nell’ultimo biennio, hanno continuato a catturare i tonni portandoli,
però, a “ingrassare” in grosse gabbie a Malta, dove i compratori esteri, per lo
più giapponesi, pagano a peso d’oro il tonno, venduto quasi fresco nel Sol
Levante. A ricordare gli antichi fasti di questa pesca, a Carloforte da dieci
anni si celebra “Il Girotonno”,
manifestazione gastronomico-culturale con al centro il tonno in tutte le sue
varianti. La prestigiosa tonnara di Carloforte cattura i tonni
da maggio a giugno, periodo in cui tonni costeggiano la Sardegna per andare a deporre
le uova. Da questi tonni rossi blufin, i più pregiati al mondo, si ottengono
prelibati tagli che vengono confezionati sott'Olio d'Oliva al fine di
conservarli a lungo. Del tonno, come il maiale, non si butta nulla: tre i diversi
"tagli": quello classico, che corrisponde alla parte dorsale
dell'animale, che è la parte più magra; quello ventrale (nota come ventresca),
più ricca di grassi e più morbida e, infine il filetto (o tarantello), a metà
tra Tonno e Ventresca, molto saporita anche se più magra rispetto alla
Ventresca.
Il tonno cosi detto “rosso”
(thunnus thynnus, Linneo), definito il re dei tonni, vive nell’Oceano Atlantico
ed entra nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra in primavera per
riprodursi in mari più caldi e meno profondi. Azzurro scuro sul dorso, bianco
argento i fianchi e il ventre, pinne maggiori scure e minori gialle, può
arrivare a 3 metri di lunghezza per 700 chili di peso, anche se quelli pescati
abitualmente superano raramente i 200 kg; è longevo, fino a 50 anni di età. La
sua velocità di crociera è di circa 30 km/h, con punte, in fase di attacco o di
fuga, di 70 km/h. Il tonno è un instancabile nuotatore: nel mese di maggio i
tonni si raggruppano in grossi banchi, risalendo verso la superficie e
avvicinandosi alle coste per riprodursi. Il periodo scelto per la cattura è
certamente il più indicato: i tonni sono pronti per la deposizione delle uova e
quindi ricchi di più sostanze nutritive, cosa che rende le loro carni
particolarmente saporite. Questa pesca a Carloforte continua ancora oggi nonostante
tutto, e nel suo mare il rito della cattura si svolge come secoli fa, con la
differenza che l’80% del pescato parte direttamente per il Giappone, dove viene
usato per preparare sushi e sashimi e raggiunge prezzi ragguardevoli, fino a
800 euro al kg. Senza andare fino in Giappone, al ristorante del Tonnara
Camping anche noi possiamo gustare il tonno in una varietà di modi, tutti
saporiti!
Il lavoro in tonnara è
rimasto quasi immutato nel tempo. Il lavoro della “gente
di tonnara” non è semplice e decisamente faticoso. La “flotta”
di pesca prendeva anticamente il nome di barcareccio: si trattava di una quindicina di
imbarcazioni, dai nomi caratteristici: il
vascello, un grosso barcone, in legno massiccio, lungo anche 25 metri, dove
prendevano posto i tonnarotti e dove veniva issato il pescato; il capo-rais, simile al vascello,
soltanto un po’ più corto; la bastarda,
lunga 10 metri, che serviva per controllare reti e tonni durante i giorni della
pesca; lo schifetto, che assolveva
alle stesse funzioni della bastarda, nelle notti; il palischermotto, di circa16 metri di lunghezza, che serviva per il
trasporto di reti, ancore, cavi e per calare e salpare le reti; la musciara, di medie dimensioni, era
l’ammiraglia dove saliva il rais, il capo dei tonnarotti; nel barbariccio, più piccolo, 4/5 metri,
prendeva posto il rais durante la mattanza; indispensabile era infine il rimorchiatore, che oggi va a motore,
ma anticamente funzionava con motore … umano: venti e più vogatori! Il capo
indiscusso, il rais, guidava e guida tutte le operazioni (svolte oggi da meno
personale, circa 20 tonnarotti in tutto) ed è un ruolo che si tramanda spesso
di padre in figlio. La ciurma di terra, costituita da una decina di persone, lavora,
invece nello stabilimento per la pulitura e la preparazione dei tonni.
E’ ovviamente il rais a
impartire gli ordini: “in nome di Dio,
molla” è il segnale per l’accesso alla camera della morte, “leva” è il comando per sollevare la
rete mobile di fondo che costringe i tonni a salire in superficie. Scaramanzia
vuole che le cerate usate dai tonnarotti siano vecchie, il più possibile sempre
le stesse, consumate dalle molte battaglie. La “morte”, la speciale rete in
canapa che viene usata per la “camera della morte” nella tonnara di Carloforte
ha quasi cent’anni, e per tradizione, nessuno può toccarla di martedì e
venerdì, e comunque mai prima dell’avvistamento dei primi tonni. Si racconta
che l’idea del complesso sistema di reti necessarie per la cattura dei tonni
sia venuta a un pastorello sardo, che, dall’alto, pascolando il suo gregge,
abbia osservato i loro movimenti e, osservando una tela di ragno, abbia avuto
la folgorazione. Prima dell’inizio della pesca si recitano preghiere
beneauguranti a Sant’Antonio, a san Pietro perché la pesca sia abbondante, a
San Giorgio perché allontani gli squali, a San Liberto per proteggere i
tonnarotti dagli infortuni, a San Gaetano e alle anime del Purgatorio. Quando i
primi pesci sono stati catturati, la chiesa di Portoscuso suona le campane a
stormo.
Anche quest’anno, cari
amici, il “Girotonno” ha preso il
via. Carloforte con le sue antiche tradizioni continua caparbiamente a resistere nel tempo, e
spera che la sua cultura, le sue tradizioni ed il suo fascino possano ancora
continuare ad esistere per lunghi anni. E’ una speranza che tutti noi condividiamo.
Grazie amici della
Vostra attenzione
Mario
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