Oristano
5 Maggio 2014
Cari amici,
un anno fa, il 6 Maggio del 2013, moriva a 94 anni Giulio Andreotti. Credo che nessuno oggi
in Italia, alla domanda “sai chi era
Giulio Andreotti?”, non sappia rispondere almeno che “era stato un uomo
politico”. La sua figura, da sempre un po’ curva, ha attraversato per oltre
60 anni la scena politica italiana, fin dagli albori della nascita della
Repubblica. La sua lunga storia ha qualcosa di romanzesco.
Giulio Andreotti era nato a Roma il 14 Gennaio del 1919. Gracile
di salute (i medici gli avevano dato pochi anni di vita), rimase precocemente
orfano del padre e visse con la mamma ed una vecchissima zia, classe 1854.
Frequentò il ginnasio al "Visconti" e il liceo al "Tasso",
iscrivendosi poi alla facoltà di Giurisprudenza. Escluse la possibilità di
iscriversi in medicina per ragioni economiche (non voleva gravare troppo sulla
madre, che con la sua piccola pensione aveva già fatto miracoli per far
crescere la famiglia, aiutata soltanto dalle borse di studio per gli orfani di
guerra). Iscritto a Giurisprudenza, per mantenersi agli studi entrò a lavorare
come avventizio nell'Amministrazione Finanziaria. Nel corso degli studi
universitari, ragazzo attivo e appassionato di giornalismo, entrò a far parte
della Federazione Universitaria Cattolica Italiana FUCI), che era l'unica
associazione cattolica riconosciuta nelle università durante il fascismo. E’ in
questo periodo che intraprese, quasi casualmente, la carriera politica. Fu
De Gasperi ad introdurlo nella scena politica nazionale, candidandolo alle
elezioni del 1946 per l'Assemblea costituente. Secondo un aneddoto molto
diffuso ma probabilmente falso, i due si conobbero nella Biblioteca Vaticana
dove De Gasperi si era rifugiato durante il fascismo (grazie alla
extraterritorialità).
All'inizio degli anni
quaranta il futuro papa Giovanni Battista Montini, già assistente ecclesiastico
della Fuci e sostituto della segreteria di Stato, aveva notato il giovane
Andreotti, intuendone le potenzialità, e fu Lui nel Maggio del 1947 ad esortare
De Gasperi perché lo nominasse sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,
lasciando di stucco un'intera schiera di vecchi volponi politici che ne affollavano
l'anticamera. Catapultato giovanissimo nelle stanze dei bottoni, Andreotti
divenne parte attiva del quarto governo De Gasperi, venendo poi eletto nel 1948
alla Camera dei deputati. Andreotti mantenne la carica di
sottosegretario alla Presidenza in tutti i governi De Gasperi e successivamente
anche del governo Pella, fino al gennaio 1954. In questa veste firmò alcuni
importanti atti costitutivi della nuova Repubblica come il decreto che adottò
l'Inno di Mameli quale inno nazionale. Seguirono altri innumerevoli incarichi,
tanto che Andreotti fu presente in quasi tutti i governi della Prima
Repubblica. Nel 1954 divenne per la prima volta ministro,
guidando il Ministero degli Interni. A questo primo incarico di ministro ne
seguiranno tantissimi altri nei più svariati dicasteri, sempre della massima
importanza, e, a seguire, quello di Presidente del Consiglio: incarico che
ricoprì la prima volta nel 1972.
Non voglio certo qui ripercorrere
il suo lunghissimo excursus, non basterebbe questo post! Andreotti, politico
longevissimo, sulla scena politica da più tempo della regina Elisabetta, è
stato l'uomo di governo e di partito italiano più blasonato: sette volte alla
guida dell'esecutivo e uno dei leader democristiani più votato dagli elettori.
Non gli mancavano, però, nemici e detrattori: per loro era "Belzebù", circondato com’era da una fama di politico
cinico e machiavellico, che lui stesso, in fondo, amava coltivare. "Nel
1919 sono nati il Ppi di Sturzo, il fascismo e io. Di tutti e tre sono rimasto
solo io", si gloriava negli ultimi anni della sua lunga vita. Due
massime rappresentano la sintesi perfetta del pensiero politico andreottiano e
sono ormai diventate espressioni comuni: "il potere logora chi non ce l'ha"
e "a pensare male si fa peccato ma di solito ci si indovina".
Politicamente
rappresentava l'ala più conservatrice e clericale della Dc, i suoi avversari
interni erano i fautori del centrosinistra, come Moro e Fanfani. Egli,
però, conosceva perfettamente l’arte della mediazione. I leader della Dc
avevano capito quale era la sua più grande dote: conciliare gli opposti,
smussare gli angoli, digerire le difficoltà. Emblematico il suo rapporto con
Craxi. Il leader socialista non lo vedeva di buon occhio e fu proprio lui,
Bettino, a coniare il soprannome di Belzebù,
considerato anche "la volpe che
finirà in pellicceria". Ma non fu così. Andreotti successivamente
riuscì addirittura a stringere un patto di ferro proprio con Craxi: erano gli
anni del "C A F" (dalle
iniziali di Craxi , Andreotti e Forlani), e l'opposizione di sinistra lo considerava come il peggio
del peggio della politica italiana. Il film "Il Divo" di Sorrentino
lo ha dipinto come un machiavellico stratega, carico di mille nebulose
responsabilità e complicità. Lui, punto sul vivo, stava anche per rispondere
con una querela, ma poi preferì lasciar correre: da vecchio saggio, da ”volpe
furba e scaltra” e dall’alto della sua cinica saggezza, applicò il suo machiavellico
pensiero sull’informazione: "una smentita è una notizia data due
volte...". E da parte sua non ci fu nessuna reazione.
Dopo l’abbandono della
scena politica attiva tanti furono gli attacchi che continuarono ad abbattersi
ripetutamente su di lui. Lottò, sempre a viso aperto contro tutto e contro
tutti: vincendo sempre i confronti, anche quando sembrava, fin dal primo
momento, un perdente.
Meticoloso fino al midollo si era nel tempo costruito un
immenso archivio che nel 2007 donò alla fondazione Sturzo, che oggi lo
amministra. Il Suo è un archivio enorme: quello di un uomo
pubblico che più di ogni altro è riuscito a difendere il suo privato, in modo
totale. Un archivio che oggi è un “mondo
intero di notizie”, fatto di carte riservate e riservatissime e appunti
scritti a mano, accanto ad altre carte diversissime, che raccontano l'uomo curioso e
il collezionista maniacale: di vignette, di menù e perfino di pubblicità su di
lui. Per adesso, però, questo immenso “mare magnum” è ancora tutto da navigare,
tutto da scoprire! L’imponente archivio del “Divo Giulio”, lasciato in dote a
studiosi e curiosi, prima di andarsene a 94 anni da questo mondo (era il 6 Maggio
di un anno fa, pensate, quasi lo stesso giorno di Napoleone, che invece morì il
5 di Maggio…), riserverà certamente non poche sorprese.
Per la curiosità dei
miei lettori aggiungo qualche dato su questo “mare magnum” di carte. Giacciono
presso l'Istituto Sturzo circa 3.500 faldoni (buste in gergo), ordinati in
armadi che scorrono su binari nel seminterrato di via delle Coppelle, a due
passi dal Pantheon. Se quelle carte fossero messe tutte in
fila, sarebbero lunghe più di 600 metri! Esse raccontano la parabola terrena del
Divo Giulio: dalle foto dei genitori a quelle di Lui adolescente, dagli ultimi
discorsi, alle carte giudiziarie e dei processi. Esso costituisce, di
conseguenza, un po’ “la storia d'Italia”, dai primi anni '40 al 2010, passando
per i congressi della Dc, il sequestro Moro, le battaglie pro e contro il
divorzio, fino agli atti del Vaticano, compreso il dibattito sull'Europa unita.
Finora solo 600 dei 3.500 faldoni sono stati inventariati (il 20% circa) e in
parte digitalizzati.
Cari amici, ci vorranno
ancora anni per catalogare tutti i documenti e, chissà, che nelle pieghe delle
decine di migliaia di documenti, che con certosina pazienza verranno esaminati,
non possa essere rintracciato qualcuno degli ipotizzati “segreti” di quel
“Belzebù” di Craxiana memoria! Dubito però che Andreotti, prima di “donare” le
sue memorie, con un autentico gioco di prestigio, abbia “fatto sparire”
magicamente dal suo voluminoso archivio-capello, come per incanto, quei numerosi
“conigli” che tutti affannosamente ancora cercano!
Grazie a tutti
dell’attenzione.
Mario
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