Oristano, 20 Dicembre
2013
Cari amici,
senza scomodare le
altre nazioni ci basta osservare quanto avviene nella nostra povera Italia: il
divario esistente tra quella ristretta cerchia di “ricchi sempre più ricchi” e
quella schiera, sempre più larga di “poveri sempre più poveri”, non solo non tende a diminuire, ma si allarga ogni giorno
di più. La lettura di un articolo, recentemente apparso su Panorama, a firma di
Fabrizio Pezzani, professore ordinario di pianificazione e controllo, presso
l’Università di Milano, mi ha fatto meditare molto, oltre che preoccupare, e
vorrei esternare anche a Voi i motivi di questa mia preoccupazione. Scrive
Pezzani nel suo articolo: “La crescente concentrazione della ricchezza è uno
dei temi più dibattuti in questo momento negli USA, grazie anche al recente
articolo apparso sul ‘Sunday Review’ dal titolo ‘’Plutocrats vs Populist’’
(Plutocrati contro Populisti), in cui l’autrice Chrystia Freeland individua la
plutocrazia come fattore di instabilità sociale di implosione del sistema”.
Nel condividere
fortemente questa diagnosi, che, ancorché riferita in modo particolare agli
Stati Uniti, è sicuramente assimilabile alla situazione esistente nel nostro
Paese. Populismo e Plutocrazia
esprimono certamente concetti opposti: il primo evidenzia il ruolo del popolo
nelle decisioni sociali, mentre il secondo individua il “predominio” dei grandi gruppi finanziari, in grado di condizionare
fortemente le politiche del governo del Paese di riferimento. La favorevole evoluzione
socio culturale di un Paese è significativamente dimostrata se le classi
sociali che la formano sono tra loro nel giusto equilibrio. Osservando l’andamento
di un qualsiasi Paese risulta evidente se questo equilibrio esiste: se col
passare del tempo esso rimane stabile, migliora o se peggiora. Analizzando storicamente
l’evoluzione avvenuta negli Stati Uniti d’America, a partire dagli anni ’30 del
secolo scorso (dopo la cristi del 1929, che mise in ginocchio l’economia mondiale),
fino ai giorni nostri, ci rendiamo conto delle diverse “fasi alterne” che hanno
caratterizzato sia l’evoluzione sociale che l’equilibrio, spesso tentato ma non
raggiunto, tra le diverse classi sociali. Negli USA, ad una iniziale operazione
di riequilibrio sociale, avviata dal Presidente americano Franklin Delano Roosevelt
nel 1930, che, con massicci interventi pubblici nell’economia, cercò di mitigare
le disuguaglianze esistenti tra le diverse classi, seguì un periodo di stasi e
di ripresa delle disuguaglianze.
Un nuovo tentativo di uguaglianza, per
l’affermazione della vera democrazia, seguì negli anni ’50: fu il proclama del
“New Deal” di J. F. Kennedy, del quale quest’anno si celebra il cinquantenario
della scomparsa. La grande speranza, riposta in Kennedy dagli americani, che si
sentivano proiettati verso un futuro di maggiore equilibrio tra le diverse classi
sociali, fu però spenta sul nascere, come ben sappiamo. Kennedy,
caduto resto sul campo, ebbe solo il
tempo di lanciare il messaggio per la creazione di una società più giusta, più
coesa e proiettata verso il futuro, perché, dopo di Lui, il messaggio non fu
raccolto da nessuno, tra alterne vicende, fino all’arrivo del democratico
Barack Obama.
Anche in Europa dopo la
seconda guerra mondiale i Paesi come l’Italia, in piena sintonia con l’America
che aveva fornito (con il “Piano Marshall”) i primi aiuti per la ricostruzione,
si mossero verso la creazione di una società più giusta e più equa, dove
capitale e lavoro potessero convivere in un equilibrio più stabile, dove le
differenze economiche tra le classi sociali povere e quelle ricche, lentamente
migliorassero. Negli anni dal 1945 al 1975, gli sforzi fatti fecero si che la
ricchezza della parte più povera del nostro Paese crescesse, anche se
lentamente, più di quella più ricca: le classi povere videro migliorare la loro
ricchezza del 116%, mentre quelle più ricche, pur migliorando la loro ricchezza,
lo fecero in tono minore: per l’86%, consentendo anche al nostro Paese di
alimentare, come scrive il professor Pezzani, "quell'American Dream”, il sogno
americano. Sogno, anche in Italia, presto spento, con la fine dello “Stato
Sociale”, un tempo orgoglio e vanto anche fuori dal nostro Paese.
In Italia, finito il “boom
economico”, dopo il 1975, il modello culturale si orientò verso un liberismo
economico senza paletti e senza barriere, senza freni inibitori, nella segreta
speranza che il liberismo, la piena libertà di mercato, accelerassero ancora di
più il benessere e la sua ridistribuzione. Così, come ben sappiamo, non è
stato, perché il liberismo assoluto non crea redistribuzione, non crea una
società più giusta! Perché, come sempre è stato, il più forte domina il più
debole! Inoltre l’alleanza tra i più forti ha creato le lobby, le grandi
strutture economiche internazionali che, fuori da ogni controllo, sono quelle
che non solo dominano ma governano, sostituendosi allo Stato, diventato
figura minimale, di facciata, che apparentemente, sulla carta, continua a
governare la nazione. Lobby potentissime, che, attraverso il mercato mondiale
globalizzato, continuano a svuotare il potere prima saldamente detenuto dagli
Stati. Quale il reale pericolo? Che alla fine la società nel suo insieme
finisca per implodere. Ci basti sapere che dal 1972 ad oggi la crescita della
ricchezza dei più poveri è stata molto vicina allo zero, mentre quella dei più
ricchi ha superato il 130%, trasformando l’apparente formale democrazia
ufficiale in oligarchia. Facendo questa amara considerazione il professor
Pezzani dice che: “…quando la stratificazione di una società verso l’alto cresce troppo,
vengono a mancare gli ascensori sociali,
la parte in basso vede sempre più lontano e irraggiungibile quella in alto e la
classe media salta; ma se crolla l’architrave della Società, finisce per
crollare tutto, come 6 mila anni di storia dell’uomo dimostrano…”.
Il crescente populismo,
che attraversa strati sempre più ampi della società, derivato dalla supposta certezza,
da parte degli aventi diritto al voto, di non avere la forza di poter cambiare
le cose, porta conseguentemente alla sfiducia. Sfiducia che continua a crescere
e che ha allontanato e continua ad allontanare dalle urne una importante fetta
di elettorato, che ormai ha superato il 40% del corpo elettorale. Male oscuro quello
di “rinunciare” ad esprimere col voto la propria opinione politica, che,
invece, dovrebbe sempre essere esternata. Errore terribile, populismo che in un
passato recente, nella prima metà del Novecento, condusse determinati Paesi, compreso
il nostro, alla tragedia del fascismo e del nazismo. Questa volta, certo, la
malattia di cui le Nazioni come l’Italia soffrono è diversa, ma non meno grave.
Quando il contesto sociale raggiunge un livello di disuguaglianza tale da
impedire la risalita, ancorché lenta e faticosa, il populismo avanza in modo
deleterio e l’equilibrio tra le classi sociali salta. Con conseguenza
pericolosissime.
L’Italia, unitamente ad
altre nazioni che soffrono degli stessi problemi, dovrà seriamente riflettere e
mettere in atto soluzioni tali che tamponino una situazione che si avvia verso
il punto di non ritorno. Una cosa importante da fare sarà quella di far comprendere
alle grandi lobby che ci governano dietro le quinte, che sia la classe operaia che
la classe media sono allo stremo delle forze; se le lobby non si rendono conto
che “far morire la gallina che continua a fare l’uovo, nonostante sia in grandi
ristrettezze”, non è conveniente per nessuno, anche loro perderanno tutto. Il
precipizio che c’è davanti ingoierà tutti. Spero che l'uomo
recentemente eletto capo del maggior partito, sia in grado di portare avanti il cambiamento, senza
indugio, attraverso quei provvedimenti ormai improcrastinabili. L'Italia dovrà, davvero "cambiare verso": Lavoro, ripresa economica,
lotta agli sprechi, all’evasione, riduzione dell’apparato burocratico, questi i
problemi più importanti sul tappeto, oltre che cambiare la maialesca "legge elettorale". Credo che per fare tutto ciò, per
rimettere in moto la macchina, bisognerà colpire quelle classi elevate che non
vogliono rinunciare a privilegi anacronistici, classi che, “gattopardescamente”,
parlano di cambiamento ma in realtà non lo vogliono. Dobbiamo ritornare dalla
Plutocrazia alla Democrazia!
Se Renzi, Letta, Alfano
& Co., non porteranno avanti con forza e determinazione tutto questo (anche
facendo la voce grosso in Europa) la battaglia non potrà essere vinta. Non sarà
facile, lottare contro le lobby, ma alla fine, come è successo negli USA con
scontro tra Obama ed i repubblicani, il buon senso mi auguro che prevarrà.
Grazie dell’attenzione.
Mario
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