Oristano 29 Dicembre
2013
Cari amici,
in Sardegna proprio
noi, abitanti della pianura di Oristano, abbiamo assistito, agli inizi del
secolo scorso, all’introduzione del riso in Sardegna. La coltivazione nella
nostra isola del riso risale, infatti, al 1927, quando, nel corso della bonifica
dalla quale è nata Arborea (allora
Mussolinia), fu avviata - in via sperimentale – una cultura di questa
graminacea nei terreni acquitrinosi del Sassu, cultura capace di accelerare il necessario
processo di lisciviazione delle acque.
Quell’esperimento, che impiantò per la
prima volta il riso in Sardegna, fu il felice inizio di una bella iniziativa,
in quanto le pianure del nostro Campidano si rivelarono un territorio ideale
per la produzione del riso. Vediamo ora, insieme, questa storia interessante,
partendo dalla conoscenza di questa pianta.
Il “Riso”, (Oryza
sativa L.), dal greco antico òryzha, όρυζα, è una pianta erbacea annuale della
famiglia delle Graminacee, di origine asiatica. Insieme alla Oryza glaberrima,
dal pericarpo pigmentato rosso coltivata in Africa, è una delle due specie di
piante da cui si produce il riso. L' Oryza sativa è la specie maggiormente
coltivata, in quanto utilizzata su circa il 95% della superficie mondiale coltivata
a riso. In quale parte della terra il riso abbia avuto origine non è dato
sapere con certezza: si ritiene, però, che le varietà più antiche siano
comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell'Himalaya. L’unica certezza,
sulle origini di questo alimento, è che era presente in Asia, precisamente in
Cina, verso il VI millennio a.C.. Fin da allora il riso costituiva il cibo
principale per quelle popolazioni, e oggi, teniamo conto che circa la metà
della popolazione mondiale si nutre di riso, ormai coltivato in quasi tutti i
paesi del mondo.
Il riso, partendo dall’oriente,
raggiunse il bacino del Mediterraneo in epoca classica, probabilmente a seguito
della conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno (356-323 a.C.). Fu Teofrasto (371-287 a.C.) a scrivere per
primo su questa graminacea. In epoca romana il riso era un prodotto raro e
costoso e veniva utilizzato solo per scopi medicinali. In Italia (così come in
Spagna) il riso venne verosimilmente introdotto durante la dominazione araba, e
coltivato inizialmente in Sicilia. Durante quasi tutto il Medioevo questo
cereale, pur circolando, era considerato una delle tante spezie che giungevano
dall’Oriente con le navi arabe, genovesi e veneziane, non un prodotto
alimentare vero e proprio. La cucina europea iniziò ad utilizzare il riso come
ingrediente solo nella seconda metà del XV secolo. Fu verso la fine XV secolo
che, grazie alle prime risaie impiantate da Ludovico il Moro e Galeazzo Sforza,
in Lombardia e in Piemonte, che il riso iniziò la sua storia alimentare in
Italia. Gli inizi non furono facili: come altri prodotti d’importazione, nel
corso del tempo il riso ebbe momenti di successo e di involuzione. Nel XVII
secolo venne accusato dai medici di essere portatore della malaria, ma nel
secolo XVIII, essendo state riconosciute le sue preziose qualità alimentari, il
riso, tornò in auge.
Oggi l’Italia è il primo
paese produttore di riso nell’Unione europea, in quanto con i suoi 235.000
ettari coltivati (rif. 2012), rappresenta il 52% dell’intera superficie coltivata
a riso nell’Unione stessa, pari a oltre 450.000 ettari. Lombardia, Piemonte,
Veneto ed Emilia Romagna sono le regioni a più alta vocazione risicola, che
oggi forniscono oltre il 90% della produzione italiana. La pianura padana ed in
particolare il delta del Po, costituiscono la “zona ideale” per la produzione
del riso di alta qualità e per questo motivo il riso del Delta del Po ha
ricevuto dalla Comunità Europea il primo
Igp di Indicazione Geografica Protetta, già reso operativo.
In Sardegna, dopo
l’esperimento effettuato nel 1927 nel Sassu (da agricoltori veneti), nei
decenni successivi la coltivazione si estese, interessando buona parte dei
terreni prima occupati dalle acque dello Stagno del Sassu. Ultimate le opere di
bonifica e modificati gli ordinamenti colturali, la coltivazione del riso si spostò
e si diffuse nel circondario: fu la piana di Oristano a fare da cavia, mettendo
il riso a dimora nei terreni di Oristano, Palmas Arborea, Cabras, Simaxis, e
altri. Accertata la buona capacità di questi terreni a recepire la nuova
coltivazione, gli ettari coltivati aumentarono, fino a raggiungere e superare i
3.000 ettari (nell’annata agraria 2003-2004), Nella fase iniziale
dell’introduzione della coltura, la trasformazione del prodotto per uso
alimentare avveniva a livello familiare con l’impiego di sbramini artigianali;
solo alla fine degli anni ’50, ad Oristano, si realizzò una riseria che consentì
la standardizzazione dei processi di trasformazione.
L’Oristanese, dunque, si
è rivelato il centro sardo della risicoltura. Tra alti e bassi, come spesso
accade nelle produzioni agricole, a dispetto della crisi che più volte ha
investito il settore risicolo, malgrado i costi di produzione che negli ultimi
anni sono saliti alle stelle, tanto da diventare, ad esempio nel caso
dell’acqua, proibitivi soprattutto per i piccoli agricoltori, le coltivazioni
di riso nelle nostre pianure non hanno ceduto alla crisi e non hanno gettato la
spugna. Semmai, in controtendenza, le coltivazioni sono aumentate, acquisendo
un trend positivo ininterrotto, a partire dal 2006, anno della grande crisi,
quando dai 4.310 ettari coltivati nel 1997, si era scesi ad appena 2.388. Già
nell’anno successivo, nel 2007, gli ettari a risaia in provincia erano saliti a
2.676, per crescere ancora nel 2008 a quota 2.912. Una risalita che nel 2009 ha
portato ad estendere la coltivazione a 3.280 ettari, quota ormai stabilizzata.
Nel 2011 gli ettari coltivati sono stati 3.524, con una produzione di 253.640
quintali.
La Sardegna è stata
sempre capace di sperimentare nuove produzioni: lo è stato anche per riso. Nuovi
esperimenti di questa cultura sono in corso nel cagliaritano. Considerati i
grandi costi di produzione, soprattutto dell’acqua, elemento base ed
indispensabile nella produzione di questa graminacea, si stanno sperimentando
culture con basso apporto di acqua. Nel Campidano di Cagliari, in particolare nei
terreni di Samassi e Sanluri, da anni dediti alla monocultura del carciofo, è
da poco iniziato l’esperimento della semina del riso con nuove metodologie.
La
nuova coltura, avviata su circa duecento ettari a Samassi e Sanluri, sembra
abbia dato risultati già positivi. "La produzione del riso costa di più ma
genera ricavi significativamente più alti" dicono gli esperti. A fare da
guida nella coltivazione del riso in questi terreni, prima dediti al carciofo,
sarà uno dei massimi esperti di risicoltura nell'Isola, il prof. Pietro Spano
(del
Dipartimento di Scienze agronomiche della facoltà di Agraria di Sassari), che
istruisce gli agricoltori ammonendoli che "Dalla preparazione del terreno,
che deve essere accurata, alla scelta varietale e alla semina, dall'irrigazione
all'uso degli anticrittogamici: è necessario dimenticare i metodi usati sulle
colture precedenti, perché il riso è un'altra cosa". Invito, quello
rivolto, teso a stimolare gli agricoltori alla determinazione ma anche alla
prudenza; il prof. Spano, senza nascondere ai prossimi risicoltori di Samassi e
Sanluri le difficoltà di una coltivazione “diversa” da quella del carciofo, ha
voluto precisare che la nuova cultura ha in se "un grande potenziale. Se
darà risultati favorevoli il nuovo metodo di irrigazione (anziché allagare il
terreno (metodo a sommersione), usando il metodo ad aspersione, per mezzo di
micro irrigatori, con evidente risparmio d’acqua), i risultati non mancheranno.
A Samassi il riso sarà
coltivato con quest'ultimo metodo, cosiddetto in asciutto, con minori spese: utilizzi
d’acqua da 28 mila a 78 mila metri cubi per ettaro, con rese che vanno dagli 85
ai 110 quintali ad ettaro a seconda della varietà, e prezzi che sfiorano i 50
euro al quintale. Dati questi che sembrano incoraggiare molto i coltivatori.
"Ho in programma di coltivare due ettari e mezzo", dice Ferruccio
Cauli, samassese, che si augura "che il riso possa rappresentare una
valida alternativa alla monocultura del carciofo". Il riso, insomma, mantiene
nei sardi una buona vocazione agricola, nonostante la crisi.
Il direttore della sede
di Oristano dell’Ente nazionale risi, Sandro Stara, recentemente intervistato
sostiene che “i risicoltori, nonostante le difficoltà comunque esistenti,
puntano ancora su questa produzione”. Anche l’industria che si occupa di
commercializzare il riso locale, conferma: «Per fortuna nell’Oristanese la
risicoltura non sembra affatto in via di dismissione, la produzione qui è pari
al 95% del totale - dice Cesello Putzu di “Riso della Sardegna” - e lasciare,
sarebbe un errore, data l’elevata qualità raggiunta. Ovviamente le difficoltà non
mancano, a partire dagli elevati costi di irrigazione. I canoni del Consorzio
di Bonifica sono in continua ascesa ed i margini di guadagno per gli
agricoltori si fanno sempre più risicati.
La speranza di tutti i
sardi è che la ripresa economica sia ormai vicina e che la Sardegna riscopra
sempre di più la sua vocazione agricola. In passato l’Isola è stata il
“granaio” dei romani, ed oggi, con il riso, può continuare ad essere un punto
di riferimento agricolo di qualità. Se lo augurano tutti i sardi, perché i
prodotti della nostra terra, oltre ad essere fra i più buoni al mondo, possono
rappresentare un miglioramento sensibile nella nostra attuale magra economia.
Per finire, cari amici, dato che abbiamo parlato di riso e della sua storia, riporto
due ricette, dove il buon riso sardo può essere davvero gustato in tutta la sua
fragranza e bontà. La prima ricetta lo lega ai nostri asparagi selvatici, la
seconda ai porcini e alla bottarga.
Risotto agli asparagi selvatici (sardi)
Ingredienti: 400 g riso carnaroli, un mazzetto di
asparagi selvatici, brodo vegetale, cipolla, aglio, olio extravergine di oliva,
vernaccia giovane, formaggio pecorino fresco grattugiato, sale e pepe.
Dopo aver pulito gli
asparagi selvatici, (per chi non lo sa…si spezzettano con le mani finche non
fanno resistenza e ciò che è duro si scarta), si lasciano in ammollo in acqua
con un pizzico di bicarbonato per un'oretta, si sciacquano e si mettono da
parte le punte; il resto invece viene tritato finissimo con coltello affilato
su un tagliere di legno. Si fa un buon brodo con: pomodori, bietola, carote,
cipolla, patate, prezzemolo e sedano per circa un paio d'ore, gran parte del
sapore del risotto dipende da un buon brodo. In una pentola dai bordi alti,
soffriggere uno spicchi d'aglio con mezza cipolla, dopo aggiungere il tritato
di asparagi e far insaporire per qualche minuto, mescolando spesso, a pentola
coperta. Aggiungere il riso, farlo tostare per qualche minuto, versare della
vernaccia giovane e farla lentamente evaporare; a questo punto aggiungere il
brodo caldo un po’ per volta, a metà cottura aggiungere le punte e finire di
cuocere il risotto. Servire ben caldo e, a piacere, spolverare con formaggio
pecorino dolce fresco grattugiato grosso.
Risotto ai porcini e bottarga di Cabras.
Ingredienti: 400 g riso
carnaroli, 400 g di funghi porcini, 1,5 l di brodo di carne, 1 cipolla, 1
spicchio di aglio, olio extravergine di oliva, vernaccia giovane, bottarga di
muggine di Cabras, prezzemolo tritato a piacere, sale e pepe.
Preparazione: Con
l’aiuto di un coltello rimuovere la base dei gambi dei funghi porcini, in modo
tale da ripulirli dai residui di terra. Pulire i funghi strofinandoli
leggermente con della carta assorbente inumidita con acqua, rimuovendo in
questo modo eventuali granelli di terra rimasti e pezzetti di erba o foglie.
Tagliare a striscioline i gambi e le cappelle, cercando di mantenere uno
spessore costante di 3-4 mm. In un tegame antiaderente far soffriggere uno
spicchio d’aglio smezzato in un po’ d’olio. Unire i funghi precedentemente
preparati e farli soffriggere per non più di 10 minuti aggiungendo sale, pepe,
prezzemolo. Aggiungere il riso e farlo tostare qualche minuto, mescolandolo
affinché non attacchi. Versare nella pentola un po’ di vernaccia e lasciar
sfumare. Quando il vino si è asciugato, continuare la cottura aggiungendo un
po’ alla volta il brodo bollente, precedentemente preparato, avendo cura di
mescolare con continuità per evitare che il risotto attacchi. A cottura
ultimata, aggiungere il prezzemolo fresco tritato finemente e lasciar mantecare
per un paio di minuti. Prendete ora le baffe di bottarga e grattugiatele al
momento.
Che ne dite? Buon
appetito e…Buon Anno!
Mario
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